Sapevo che sarebbe successo. Ho visto gli oltre trenta film giapponesi di Godzilla più e più volte. E per quanto riesca a considerarne solo una manciata delle pellicole davvero riuscite, la saga di Gojira continua ad attirarmi a sé, dandomi quasi sempre qualcosa di interessante a ogni visione. Il trailer del nuovo film, Godzilla Minus One, non ha fatto altro che alimentare la scorsa settimana un fuoco atomico che non si è praticamente mai spento, sin da quando, da ragazzino, guardavo sulle reti private i capitoli più improbabili di questa epopea di tute di gomma e diorama bellissimi fatti detonare con i raudi. Questa è Godzillopedia, e uno dopo l’altro, a cadenza più o meno settimanale, esamineremo tutti i film giapponesi di Godzilla. Cominciando, ovviamente, da uno dei più belli in assoluto: il primo.
È un discorso che abbiamo già fatto in passato, ma nel caso non foste già qui ai tempi, sarà bene riprenderlo: contrariamente a quello che credono in tanti, il primo Godzilla (Gojira), film diretto e co-sceneggiato nel 1954 da Ishirō Honda, non rappresenta le due atomiche piovute sul Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. C’entra sì la paura atomica, c’entra un incidente radioattivo, e la guerra aveva lasciato le sue cicatrici, pure sul volto di un carismatico protagonista del film. Ma Godzilla era già in giro da due milioni di anni, e l’incidente radioattivo in questione, quello che lo ha spinto ad attaccare il Giappone, è avvenuto anni dopo la fine del conflitto.
Va precisato innanzitutto, a beneficio di chi non lo sapesse, che nella lunghissima saga di pellicole giapponesi di Godzilla prodotte dalla Toho, non esiste un solo Godzilla, ma tante interpretazioni diverse dello stesso concetto, dello stesso personaggio. Diverse linee temporali e collane di film, tradizionalmente suddivise in varie epoche (Showa, Heisei, Millennium, Reiwa). Il che spiega le modifiche al look del mostro, il suo continuo “cambio di allineamento” (distruttore, salvatore, neutrale, cataclisma incontrollabile, nemico, amico) e più in generale le variazioni nette di tono da una serie di pellicole all’altra. Detto questo, tantissimi film di Gojira si ricollegano direttamente all’originale del ’54, presentandosi come seguiti diretti di quegli eventi, magari a distanza di oltre cinquant’anni.
Si torna quindi spesso, nel mito in continua trasformazione di Godzilla, alla sua prima apparizione, un film che nasce sulle ceneri di un’idea precedente. La Toho aveva infatti in cantiere una pellicola ambientata durante l’occupazione giapponese dell’Indonesia, da girare lì. Ma il progetto viene reso impraticabile per le pressioni dell’opinione pubblica sui politici di Giacarta: i giapponesi non hanno lasciato dei buoni ricordi, diremo con un enorme eufemismo, alla popolazione indonesiana. Il produttore Tomoyuki Tanaka pensa di puntare su un monster movie, sulla scia di quelli statunitensi, che spopolano sull’altra sponda del Pacifico sin da King Kong (1933) e che pure in Giappone hanno cominciato a generare alcuni emuli. Sedici anni prima dell’arrivo di Gojira, c’era già stato già un fantomatico film oggi noto con il titolo internazionale di King Kong Appears in Edo, un film muto del 1934 poi andato perduto.
In particolare, per Gojira viene preso come modello dalla Toho l’appena uscito Il risveglio del dinosauro (The Beast from 20,000 Fathoms), un film del 1953 di Eugène Lourié, ispirato al racconto La sirena da nebbia di Ray Bradbury. La storia? Quella di un dinosauro risvegliato da un test atomico.
Sulla traccia, con la carta carbone, del film statunitense, s’innesta però all’improvviso l’attualità, sempre legata alla paura delle radiazioni, tema che popolerà il fantastico degli anni 50 e 60, generando tra una cosa e l’altra una sfilza di super-eroi. L’1 marzo del ’54, un peschereccio giapponese, il Daigo Fukuryū Maru, viene raggiunto dal fallout di un test termonucleare condotto dagli Stati Uniti nell’Atollo di Bikini. Il test noto con il nome in codice di Castle Bravo. L’equipaggio se la vede male a causa delle radiazioni, viene fuori che altri pescherecci hanno subìto un impatto simile, e in Giappone scoppia la polemica per il pesce di queste imbarcazioni che sarebbe finito sul mercato, e soprattutto per la gestione dell’incidente da parte del governo di Tokyo.
Tutto questo è evidente nel Godzilla di Honda. Il mostro attacca per prime delle imbarcazioni, poi un’isola di pescatori; più volte si fa menzione del problema del “pesce contaminato”, si discute della necessità di divulgare o meno l’accaduto, delle possibili “ripercussioni internazionali” di una denuncia pubblica. Alcune delle pellicole successive, che si riallacciano come detto agli eventi di questo primo film (ad esempio Godzilla, Mothra and King Ghidorah: Giant Monsters All-Out Attack, nel 2001), riprenderanno esplicitamente la vicenda del Daigo Fukuryū Maru.
Detto questo, nel primo film la nascita del mostro non ha nulla a che fare con le atomiche, di qualsiasi tipo. Nella lunga attesa della comparsa del kaiju – che mostra la sua capoccia solo dopo una ventina di minuti – è dapprima un pescatore dell’isola di Odo a spiegare che questo Godzilla (in originale Gojira, cioè – ma lo sapete già – una contrazione di gorira e kujira, gorilla e balena) esiste “sin dai tempi antichi”. Quando ha fame, racconta il vecchio, il mostro attacca il villaggio, e per tenerselo buono un tempo gli offrivano in sacrificio delle giovani. Pratica fortunatamente soppiantata nel tempo da un più sobrio rito religioso di esorcismo.
Va inoltre precisato che solo in un secondo momento la produzione ha deciso di dare al protagonista quel look da dinosauro bipede: quando viene ingaggiato per occuparsi degli effetti speciali, Eiji Tsuburaya – un uomo a cui si dovrà uno spicchio importante dell’immaginario fantastico giapponese negli anni a venire – prova riciclare una piovra gigante che ha ideato qualche anno prima…
Torniamo al film. Poco dopo, nel lungo spiegone con cui il paleontologo Kyohei Yamane (il Takashi Shimura di Rashomon e I sette samurai) illustra ai parlamentari del Palazzo nazionale della Dieta da dove diavolo sia saltato fuori questo essere alto cinquanta metri, si scopre che la storia è iniziata moooolto tempo prima. Godzilla, come si evince dai trilobiti che si lascia dietro con le sue impronte, “è in giro da due milioni di anni, quando c’erano i brontosauri, cioè dal Cretaceo”, dice il professore, con l’ausilio dei grafici su una lavagna. Cretaceo che in realtà si è concluso 66 milioni di anni fa, e pure la faccenda del trilobita e del brontosauro è un attimo anacronistica di centinaia di milioni di anni, ma non divaghiamo. Gojira ha vissuto da allora nelle profondità oceaniche indisturbato. Finché a disturbarlo, dopo tutto questo tempo, non hanno pensato “le esplosioni degli esperimenti nucleari”. Come il suo collega statunitense dell’anno prima.
Uguale uguale, non fosse che qui il tema del fallout radioattivo per i test statunitensi era fresco di soli pochi mesi e ancora dibattutissimo: Godzilla lo girano nelle settimane della polemica anti-nucleare per gli esperimenti USA, ed esce ufficialmente a novembre dello stesso anno. E infatti il bestione non è nato per le radiazioni, ma da queste è stato potenziato. E via di fiatella atomica in grado di sciogliere i tralicci e devastare il diorama in cui Tsuburaya fa camminare il povero Haruo Nakajima (e il collega Katsumi Tezuka), con addosso, tutta intera o in parte, una tuta sfiancante che all’inizio pesava 100 chili.
Poi, ovvio, nel ’54 la ferita della guerra era ancora fresca per il Sol Levante. Per tutto il film la corsa ai “puzzolenti” rifugi è, viene ricordato, un triste ritorno alle abitudini di alcuni anni prima. La Tokyo lasciata “in un mare di fiamme” dalla prima passeggiata del kaiju per Ginza e dintorni non è troppo diversa dalla Tokyo rasa al suolo dalle bombe incendiarie americane. L’eroico Dottor Serizawa (Akihiko Hirata) è guercio perché ha perso un occhio nel conflitto. Personaggio affascinante, scienziato reso dannato dalla sua stessa conoscenza, alla fine del film Serizawa si sacrifica per sconfiggere il mostro con la sua bomba, l’Oxygen Destroyer, ma senza lasciarla cadere in mani altrui. Brucia i suoi piani, perché quel tipo di esperimenti può portare solo distruzione, dice. E alla fine resta lì, in fondo al mare, mentre la creatura che ha sconfitto s’inabissa. Tutti lo piangono, e il Dr. Yamane mette in chiaro che potrebbero essercene altri come Gojira, e che “se gli esperimenti nucleari continueranno, un altro Godzilla potrebbe riapparire da qualche parte nel mondo”.
La storia non molla mai un attimo, è tensione pura per un’ora e mezza, sposata a un evocativo bianco e nero. Non c’è spazio per note allegre e personaggi di contorno comici. Si muore e bisogna ribadire il concetto del pericolo.
Non a caso, Godzilla viene sconfitto da un ordigno perfino più letale, e chi lo ha creato fa di tutto perché non ci sia un bis. Il pericolo non è più la guerra, ormai passata e superficialmente metabolizzata dal Giappone giovane, americanizzato, che galoppa verso il suo boom economico: è lo sfoggio della scienza spinta nella direzione sbagliata dalla Guerra Fredda. Chi ha vinto, alla fine, in Godzilla? Nessuno, perché siamo tutti in pericolo, e per cortesia stiamo attenti, dice Yamane e attraverso di lui Honda. Un concetto, come vedremo, portato all’ennesima potenza da capitoli successivi come Godzilla VS Destroyer (Gojira VS Destoroyah, 1995), in cui si supera il tema stesso della bomba: Godzilla è una centrale nucleare potentissima ambulante, e il suo meltdown minaccia di spazzare via l’intero Giappone.
Da allora, dal ’54 a oggi – e vedremo anche questo – in film e produzioni di ogni tipo, Godzilla è diventato anche tanto altro. Personaggio puccettoso con gli occhi da cucciolo per film rivolti principalmente ai bambini, protagonista di serie animate, oggetto di reboot continui in patria e nuove versioni negli USA. Ma il fatto che tanto spesso la saga sia tornata alle origini non è solo nostalgia: il primo Godzilla del ’54 (arrivato in Italia tre anni dopo, nella versione più breve e rimaneggiata dagli americani) resta diverso, speciale, di una potenza rara, anche a distanza di quasi settant’anni. Oltre che una preziosa testimonianza di un’epoca e delle sue paure, infilate in una storia di mostri con gli ultimi trilobiti incollati sotto ai piedi.