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American Gladiators, la storia di un fenomeno televisivo che masticava i suoi protagonisti

Pubblicato il 05 luglio 2023 di DocManhattan

È facile, non sapendone nulla, bollare American Gladiators – uno dei programmi di maggior successo della TV USA nei primi anni Novanta – come un altro baraccone simile al wrestling, pieno di tizi palestrati che in quegli anni non si gonfiavano solo con le vitamine. Il documentario American Gladiators – La storia non autorizzata (titolo originale: Muscles & Mayhem: An Unauthorized Story of American Gladiators), disponibile su Netflix, racconta però il tutto in modo diverso. Attraverso la voce di chi quello show lo ha messo in piedi e di chi ne è stato protagonista, quella che scorre sullo schermo in cinque episodi è la storia di uno sport multievento inventato dal nulla, senza niente più all’inizio che un titolo d’effetto, e di come quest’ultimo sia riuscito a superare negli ascolti televisivi negli States perfino il football americano. Senza la benché minima premura per la salute dei suoi atleti, pagati una miseria e lasciati a sbrigarsela da soli in caso di infortuni.

Se il wrestling è infatti una forma di spettacolo dai risultati predeterminati, una coreografia in cui si cerca di simulare gli impatti fisici minimizzandone in ogni modo i danni per i lottatori coinvolti, American Gladiators era una sorta di Takeshi’s Castle, o se vogliamo di Giochi senza frontiere, in cui buona parte dei giochi erano proprio incentrati su due tizi o tizie che si placcavano, si spintonavano o prendevano a randellate con i cotton fioc giganti della giostra (un gioco ispirato a un vecchio episodio di Star Trek).

Ritmi massacranti resi ancora più tali da un lungo tour tra una stagione e un’altra, mentre questi uomini e queste donne tutti muscoli e dai nomi aggressivi (Nitro, Gemini, Laser, Ice, Turbo…) diventavano delle star ospitate nei talk show e citate da innumerevoli serie TV (dai Simpson a 8 sotto un tetto), finivano sui portapranzo dei ragazzini, in una linea di giocattoli Mattel, in un videogioco tutto loro e così via. Venendo pagati però sempre e solo poche centinaia di dollari ad episodio, perché quello era il contratto firmato all’inizio, quando nessuno immaginava il successo di cui American Gladiators avrebbe goduto, e non c’era verso di rinegoziarlo. Tanto che quando i volti più famosi del programma, i suoi Gladiatori e Gladiatrici più celebri, hanno provato a strappare almeno una percentuale sulla macchina da soldi del merchandising, li hanno licenziati in tronco e soppiantanti.

E al di là della parabola di questo fenomeno televisivo, sbarcato ai tempi anche in Italia e commentato da Dan Peterson (per capitalizzare sul pubblico che lo aveva seguito nelle telecronache della WWF), a rendere interessante questo documentario sono proprio le vicende dei Gladiatori. Alcuni dei quali intravisti poi in film e serie TV, senza che nessuno sia mai riuscito a crearsi una carriera nello showbiz. Ventenni che ai tempi, per restare in forma, si riempivano di steroidi e anabolizzanti – con tanto di controllo antidoping fasullo intervenuto a un certo punto perché la produzione potesse lavarsene le mani con gli sponsor – conducevano una vita folle a base di sesso e droga, e si volevano bene. Qualcuno, come Nitro, racconta le cose senza peli sulla lingua, qualcun altro è un po’ più reticente ad aprirsi su cosa accadeva dietro le quinte, ma di profili umani interessanti ce ne sono tanti. E non solo per i culturisti in tuta.

Basti pensare che tra i primi autori dello show c’era lo stuntman Branscombe Richmond (noto soprattutto come il Bobby della serie Renegade) e che l’ideatore di American Gladiators era un tipo che nella vita faceva il sosia professionista di Elvis Presley. Senza contare il concorrente cattivissimo dello show, che prendeva a gomitate i Gladiatori e, terminata la sua avventura con American Gladiators, ha pensato di fare i soldi facili come trafficante di essere umani al confine con il Messico. No, sul serio.

Il documentario a volte si dilunga un po’ troppo, arrivando a riciclare pure gli stessi cliffhanger in diversi episodi (“E ora gli steroidi! Ma te ne parliamo nella prossima puntata. Anzi, in quella dopo”), ma nel complesso scorre, è molto piacevole da seguire e dura il giusto (cinque episodi, di durata compresa tra la mezz’ora e i quarantacinque minuti). Soprattutto se volete vedere che ne è stato di Gemini, Laser, Blaze, Turbo, Ice e gli altri e le altre. Magari qualcuno di voi aveva pure le loro action figure.