Transformers – Il risveglio, la recensione di Roberto Recchioni

Transformers – Il risveglio, la recensione di Roberto Recchioni

Di Roberto Recchioni
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Quando, nel 2007, Steven Spielberg volle unire le forze con Michael Bay per realizzare il primo film live-action sui Transformers, sembrò quasi che il regista de Lo Squalo (e di mille altri film straordinari) avesse riscoperto l’uovo di Colombo: usare la sua esperienza, la sua sensibilità, il suo tocco magico, per focalizzare l’esplosivo talento tecnico e visivo del regista più pazzo ed estremo di Hollywood e mettere le sue capacità al servizio della storia.

E funzionò. Il primo Transformers divenne un film capace di unire il meglio di due approcci cinematografici apparentemente distanti e creare un blockbuster perfetto, divertente, incredibilmente epico e spettacolare, ma pure pieno di cuore e di tanti tocchi d’umanità.

In seguito, Spielberg, forse perché convinto di aver tracciato una strada abbastanza chiara da seguire, fece qualche passo indietro rispetto al suo coinvolgimento diretto, e Bay si ritrovò a cercare di replicare dei meccanismi che non erano proprio nelle sue corde. Transformers – La vendetta del caduto del 2009 divenne quindi una specie di maionese impazzita in cui tutti gli elementi che ben si amalgamavano nella prima pellicola sembravano fare a cazzotti nella seconda.

Le cose andarono molto meglio nel 2011, con Transformers III, forse il capitolo più estremo e autoriale della serie (e, se lo chiedete a me, anche il migliore), in cui Bay decise, semplicemente, di fare quello che gli pareva, al massimo delle sue capacità, portando all’estremo il suo stile, spingendo la sua visione oltre ogni confine e costruendo uno spettacolo visivo che, per intensità (e assurdità) ancora oggi non ha eguali. Ovviamente la cosa ebbe un prezzo e il terzo capitolo della guerra tra Autobot e Decepticon divenne uno dei film più costosi della storia di Hollywood che, pur incassando tantissimo, sollevò parecchie preoccupazioni sulla sostenibilità economica del franchise.

Transformers 4 – L’era dell’estinzione, del 2014, fu quindi concepito come un film più misurato, più furbo in termini di budget e, inevitabilmente, più piccolo e modesto come impatto e visione. Andò bene, ma Bay non si divertì poi molto. Così, per chiudere in bellezza il suo lunghissimo ciclo, nel 2017 arrivò Transformers – L’ultimo cavaliere, un’altra follia visiva, esagitata ed estrema, nel pieno stile del regista di Bad Boys, Armageddon e The Rock. Qualcosa però si era spezzato con il pubblico o, semplicemente, era cambiato il gusto e la sensibilità, fatto sta che la pellicola non andò bene come ci si aspettava, portando a un generale ripensamento del franchise. Bay fece un passo indietro, ammettendo di aver girato troppi film della serie (e, in effetti, se avesse chiuso con il terzo si sarebbe alzato da vincitore dal tavolo da gioco) e, pur rimanendo uno dei produttori (assieme a Spielberg, sempre nominalmente sulla barca), accettò di buon grado che la serie fosse ripensata. L’anno successivo arrivò quindi Bumblebee, scritto da Christina Hodson, e diretto da Travis Knight, una rilettura in salsa Autobot dell’E.T. di Spielberg, che si pose tanto come spin-off e prequel della saga principale, quanto come ripartenza, all’insegna di una sensibilità nuova, meno maschile, meno estrema, meno tossica, più inclusiva. Misurato nel budget e negli obiettivi, Bumblebee si portò a casa (anche abbastanza sorprendentemente rispetto al sentiment che sembrava dominare in quel periodo) un cospicuo bottino, abbastanza soldi per rassicurare Paramount, Hasbro, Lorenzo di Bonaventura (storico produttore della serie) e i partner cinesi della Tencent sulla salute del franchise e sul fatto che il pubblico non si era ancora stancato di vedere film su automobili trasformabili. Ma come andare avanti? In un primo momento si pensò di sviluppare un sequel diretto di Bumblebee e di fargli seguire, a stretto giro, un reboot-prequel della saga principale, poi si semplificò l’idea e si decise di realizzare una pellicola che unisse questi due concetti in uno solo, andando anche a recuperare una linea secondaria legata ai Transformers che avrebbe avuto una certa presa su quella fetta di pubblico nata tra gli anni novanta e duemila (dove, invece, i Transformers classici muovevano le loro leve nostalgiche su quelli nati tra gli anni settanta e ottanta): Beast Wars (da noi conosciuta come Biocombat). E siamo a oggi e a questo Transformers – Il risveglio.

Diretto da Steven Caple Jr. (già messosi in luce con Creed II) il film segue gli avvenimenti di Bumblebee, spostando tutto di una decina d’anni più avanti (dai tardi anni ottanta agli anni novanta, quindi) e introduce nuovi protagonisti. Ci sono, ovviamente, alcuni degli eroi classici della serie (Bumblebee e Optimus Prime su tutti), ma a farla da padrone sono i Maximal (i “cugini” degli Autobot, capaci di trasformarsi in animali biomeccanici invece che in mezzi di trasporto e da combattimento). Anche il cast umano è rinnovato e adeguato nel segno dell’inclusività, con Anthony Ramos e Dominique Fishback chiamati a rappresentare due eroi moderni, multi-etnici e body positive (nessuna polemica: mi sembra una buona cosa l’avere, finalmente, dei protagonisti diversi dai soliti schemi a cui Hollywood ci ha sempre abituato). La pellicola cerca di fare una crasi tra l’approccio morbido di Bumblebee e la spettacolarità delle pellicole di Michael Bay e, devo dire che le riesce abbastanza bene. Sia chiaro, il film, anche nei suoi momenti spettacolari migliori, più ispirati e meglio girati, non arriva neanche vicino agli estremismi visivi del regista losangelino, ma oscura tranquillamente qualsiasi produzione Marvel degli ultimi anni e non è poco per una produzione non così estrema in termini di budget (siamo sui duecento milioni). Anche il lato umano (tradizionale tallone d’Achille della serie dal secondo capitolo in poi) è valorizzato e ben integrato in una trama che, pur partendo dalla solita minestra (un artefatto mistico da ritrovare, capace di ricondurre gli Autobot al loro pianeta d’origine ma pure di far arrivare nel nostro mondo una sorta di divoratore di pianeti in stile Galactus), introduce elementi interessanti, amplia il cast dei personaggi (i Maximal funzionano davvero bene a schermo) e pone le basi per un futuro interessante. Funziona tutto? No. L’idea di far partecipare un essere umano (in un’armatura in stile Iron Man) agli scontri tra gigantesche creature robotizzate è poco felice, il personaggio di Dominique Fishback, nonostante l’evidente buona volontà di dargli un risalto, è la solita figurina femminile senza spessore che, quando arriva il momento di combattere, viene relegata nelle seconde file dell’azione e, soprattutto, non tutti gli effetti visivi sono all’altezza (in particolare c’è un problema di dimensioni con il personaggio di Arcee), ma sono difetti veniali per un film che riesce a ritrovare quel tocco umano che aveva caratterizzato il capostipite della serie, senza per questo mettere in secondo piano la spettacolarità. E poi, ed è la cosa che conta di più in un film dei Transformers, ci sono almeno un paio di scontri tra robot davvero molto interessanti sul piano visivo (penso a quello sul declivio e a una larga porzione del combattimento finale).

Ultima nota, il mecha design, che, continuando la strada intrapresa da Bumblebee, ci propone degli Autobot più semplici e puliti rispetto a quelli di Bay, in qualche maniera vicini a quella G1 che tanto si fece amare nel cartone animato.

In conclusione, questo Transformers – Il Risveglio, pur non potendo contare sul tocco autoriale di Bay, si rivela come un prodotto solido, divertente e bello a vedersi, un ottimo esempio di onesto intrattenimento e un buon modo per celebrare e rilanciare il franchise.

Ultimissima segnalazione, finalmente il finale del film introduce un’idea che tutti chiedevano a gran voce da decenni e che, dopo una straordinaria serie di tentativi falliti, sembra finalmente aver trovato la strada giusta per ottenere il successo che merita… il poche parole (attenzione SPOILER): YO JOE!

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