Spider-Man: Across the Spider-Verse, la recensione

Spider-Man: Across the Spider-Verse, la recensione

Di Lorenzo Pedrazzi

“L’animazione è cinema” ripetono da decenni gli studiosi di questa forma d’arte, il cui enorme sommerso – come in quel famoso meme con l’iceberg – è ben più consistente della punta. Se nella parte visibile ci sono Disney, Pixar, Dreamworks, Studio Gibli, Hanna-Barbera, Looney Tunes e poco altro, sotto la superficie dell’acqua troviamo artisti giganteschi come Norman McLaren, Aleksandr Alekseev, Caroline Leaf e Oskar Fischinger, che forgiavano capolavori mentre le grandi platee relegavano l’animazione a intrattenimento per bambini. Non c’è quindi da stupirsi che servano colossal come il Pinocchio di Guillermo Del Toro o questo Spider-Man: Across the Spider-Verse per ricordarci che non soltanto l’animazione è cinema, ma può giocare nello stesso campo dei blockbuster “dal vivo”, e fare molto meglio rispetto a loro.

Stupirsi che il cinema animato possa sperimentare con il suo linguaggio è quantomeno ingenuo, ma è pur vero che le produzioni mainstream ci hanno abituato a ben poche innovazioni che non fossero esclusivamente tecnologiche. Di contro, vedere un simile grado di sperimentazione a livello commerciale, in un film che punta a guadagnare centinaia di milioni di dollari, non è affatto scontato. Così, se Into the Spider-Verse aveva indicato la strada, al sequel spetta invece il compito di percorrerla fino in fondo, dimostrando che quel primo spettacolo era solo una prova generale. Ed è tanto più sbalorditivo se pensiamo che tutto ciò avviene in un cinecomic, genere che altrove sembra aver quasi esaurito le risorse, saturando in egual misura il pubblico e il mercato. Eppure, i registi Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson ce l’hanno fatta, anche grazie alla sceneggiatura di Phil Lord, Christopher Miller e David Callaham.

“Stavolta facciamo le cose in modo diverso”

L’incipit è un lungo prologo dedicato a Gwen Stacy / Spider-Woman (Hailee Steinfeld), praticamente un cortometraggio che narra la sua storia e copre la distanza tra il primo e il secondo film. Facciamo quindi la conoscenza di Miguel O’Hara / Spider-Man 2099 (Oscar Isaac) e Jessica Drew / Spider-Woman (Issa Rae), membri della Spider Society: un’organizzazione che riunisce gli Arrampicamuri di tante realtà alternative, impegnata a rintracciare chiunque sconfini oltre il proprio universo. Il suo scopo primario è preservare il “canone”, concetto che assumerà una grande importanza nell’economia della storia e nel suo discorso metanarrativo, ma che inizialmente viene citato senza spiegazioni.

Mentre Gwen si unisce al gruppo, Miles Morales (Shameik Moore) continua a vivere su Terra-TRN700, ignaro di tutto. Fra alti e bassi, è ormai diventato l’unico Spider-Man del suo universo, e cerca di tenere in equilibrio la vita personale con l’attività supereroistica. Non è facile, però: suo padre Jefferson (Brian Tyree Henry) e sua madre Rio (Luna Lauren Vélez) lo vedono assente, e i conflitti sono inevitabili. Nel frattempo, in città fa capolino un nuovo nemico, la Macchia (Jason Schwartzman). Ex scienziato della Alchemax, la Macchia ha la pelle bianca ricoperta di pois neri, e incolpa Spider-Man della sua condizione. Staccando i pois, è in grado di aprire dei portali per spostarsi nello spazio, e poi anche fra gli universi.

Il suo piano di vendetta nei confronti di Miles può avere effetti catastrofici, e infatti attira l’attenzione della Spider Society, determinata a combattere ogni anomalia nel multiverso. Questo, però, conduce a un durissimo scontro fra Miguel O’Hara e lo stesso Miles, convinto di poter salvare sia l’universo sia le persone che ama, senza dover fare una scelta. Se Miguel è convinto che il “canone” debba rimanere com’è, il nostro eroe vuole invece ribellarsi a un destino già scritto.

Spider-Man: Across the Spider-Verse

Il canone degli Arrampicamuri

Chiunque conosca la storia editoriale di Spider-Man sa bene che la sua vita è costellata di drammi, al punto da farne il supereroe più tragico e complesso di tutti. Non c’è mai tregua per il povero Peter Parker: a cadenze più o meno regolari, un nuovo trauma interviene nella sua esistenza per rinnovarne il senso di colpa, motore delle sue azioni. Il trauma fa di lui ciò che è, lo spinge ad anteporre il bene altrui al proprio, in una sfida costante per onorare la celebre lezione dello zio Ben su potere e responsabilità. Ebbene, Spider-Man: Across the Spider-Verse attinge proprio a questo concetto: il “canone” che Miguel O’Hara vuole preservare è la linfa stessa dell’identità ragnesca, il motivo della sua missione. Se non c’è trauma, non c’è Spider-Man; se non c’è lutto, non c’è sacrificio.

È ammirevole come Lord, Miller e Callaham abbiano preso questo elemento cardine della mitologia ragnesca per integrarlo nella trama, peraltro senza alcuna forzatura. Spider-Man: Across the Spider-Verse è una riflessione metanarrativa sulla genesi dell’Uomo Ragno e sui topoi ricorrenti della sua storia. I Tessiragnatele della Spider-Society sono quasi tutti delle varianti di Peter Parker, ma non Miles: lui è un’eccezione, e in quanto tale può ribellarsi alla sorte. Così, Miguel e la Spider Society divengono l’espressione di un potere conservatore, mentre Miles rappresenta il progresso. È uno scontro generazionale, oltre che di opinioni. Il nostro eroe è ancora adolescente, e la sua visione del mondo è influenzata dall’età: d’altra parte, è proprio nell’adolescenza che s’infiammano le tendenze più rivoluzionarie, prima che l’età adulta imponga gli spettri della moderazione e del compromesso. Il cambiamento può arrivare solo da lì, non certo dall’esausto disincanto di Miguel.

Lo stesso discorso vale per Gwen, la più vicina per età a Miles, e quindi anche più attrezzata per capirlo. Non a caso, i due adolescenti vivono situazioni analoghe nel rapporto con i genitori, dove le incomprensioni nascono spesso dall’atteggiamento iperprotettivo di questi ultimi. Entrambi hanno bisogno di vivere le loro vite, ma la madre di Miles lo avverte: là fuori, nessuno lo amerà e supporterà come lei e suo padre. Con acume, Spider-Man: Across the Spider-Verse mette in scena un passaggio formativo che corrisponde a una presa di coscienza, laddove andare per il mondo significa anche accettarne i pericoli.

Spider-Man: Across-Verse

Tutto, ovunque, nello stesso momento

Questa focalizzazione generazionale è un filo rosso (di ragnatela) che attraversa l’intero film, non solo i personaggi e i loro propositi di crescita. Le soluzioni estetiche dimostrano infatti di parlare la stessa lingua del pubblico di riferimento: pur rivolgendosi a una platea molto trasversale – come già facevano gli Spider-Man di Sam Raimi – questa saga ha in mente soprattutto la Generazione Z, di cui rievoca il sovraccarico sensoriale e i ritmi al fulmicotone. Le inquadrature sono spesso rapidissime, le animazioni sono guidate da una frenesia nervosa, mentre lo schermo si riempie di scritte, luci, colori, sfondi brulicanti e disegni dal tratto ben visibile. Across the Spider-Verse non dissimula la finzione, ma si diverte a mostrarci i fili che muovono i burattini: anche per questo, gli artifici del fumetto sono palesi (onomatopee, didascalie, ripartizione del quadro in tavole), ma senza mai risultare gratuite.

Il punto è che, fin dal primo capitolo, Sony Pictures Animation ha capito che sarebbe stato inutile replicare pedissequamente l’impostazione dei film in live action. Al contrario, ha deciso di sfruttare fino in fondo l’unicità e le potenzialità dell’animazione, usandone i codici per caratterizzare ogni universo. C’è quello ad acquerello di Gwen Stacy, quello fatto di LEGO, quello manga di Peni Parker, quello in bianco e nero di Spider-Man Noir, quello ispirato alle fanzine di Spider-Man Punk, e così via. Ogni stile di animazione, ogni tratto si amalgama con naturalezza, mantenendo sempre la sua personalità.

Ne deriva una consapevolezza postmoderna che, rispetto ad altri blockbuster, non è un mero artificio: al contrario, si integra con la trama e con il linguaggio del film, perché lavora sugli strumenti dell’illustrazione grafica e del fumetto. Il suo essere un “meta-prodotto” dell’industria culturale – ovvero un’opera che riflette sulle caratteristiche stesse dell’industria che l’ha generata, sui suoi mezzi e linguaggi – si allinea con lo spirito dei tempi. L’epoca in cui viviamo ha ormai assorbito i supereroi nell’immaginario collettivo, ed è quindi pronta a decostruirli, ad analizzarli nelle loro componenti basilari: il medesimo processo che lega ogni società alla sua mitologia, insomma. Spider-Man: Across the Spider-Verse lo fa senza bisogno di ricorrere all’umorismo crasso o alla satira distruttiva, ma scommettendo sulla corrispondenza tra forma e contenuto, tra le soluzioni visive e la storia che raccontano.

Spider-Man: Across the Spider-Verse

“Tutti non fanno altro che dirmi come dovrebbe andare la mia storia”

Ma non si tratta solo di parlare la lingua di una generazione che non si ferma mai, abituata all’accumulazione di stimoli visivi e uditivi; il film ne condivide anche la sensibilità e l’impegno civile, nella misura in cui ricostruisce un vibrante ambiente sociale. Miles legge James Baldwin, indossa le Air Jordan, ascolta A$AP Rocky: insomma, è calato in una temperie culturale che gli appartiene, e che lo caratterizza come un personaggio a tutto tondo. È un giovane che prende il destino nelle sue mani, deciso a smentire chi pretende di imporgli una storia. “Farò a modo mio” risponde a Miguel O’Hara in una scena cruciale, quando Miles raggiunge la piena coscienza di sé.

La sua non è solo una battaglia contro la Macchia, cattivo di terz’ordine qui trasformato con arguzia in minaccia universale; è una lotta per autodeterminarsi. Se consideriamo l’idea che la Spider Society ha di lui, non è difficile vedervi un parallelo con le idee della fanbase più conservatrice, che parla di “politicamente corretto” e altre assurdità. È anche in questo continuo rimando tra finzione e realtà che risiede la grandezza di Spider-Man: Across the Spider-Verse, film che riempie gli occhi di trovate mai gratuite, mentre i suoi easter egg ripercorrono sessant’anni di vita del supereroe più grande di tutti. Un personaggio che non invecchia mai davvero, ma si evolve nel tempo per continuare a rapportarsi con i suoi lettori e spettatori.

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