Ruby Gillman, la ragazza con i tentacoli, dal 5 luglio al cinema, segna il ritorno sul grande schermo di quella DreamWorks Animation di cui avevamo tutti sentito enormemente la mancanza in virtù della sua capacità di essere diversa dalla norma, di sapere capovolgere i pilastri dell’animazione scolastica. Soprattutto, ha saputo conquistare intere generazioni con un espediente semplice ma geniale: prendere i perdenti, gli sfigati, addirittura i cattivi e renderli protagonisti di un nuovo modo di concepire la narrativa.
Tutto cominciò nel 1998, con Z la Formica, arrivato apparentemente sull’onda di Toy Story ma capace di dimostrare l’impronta tipica di quello che sarebbe diventato sostanzialmente il terzo incomodo nell’universo della nuova animazione targata CGI: saper parlare del rapporto tra singolo e società, ma soprattutto il rovesciare i canoni estetici e semantici del concetto di protagonista. Woody Allen, nei panni di questa formica rachitica, sfigata, ma incredibilmente intelligente, diversa dalla norma nel senso più positivo del termine, avrebbe poi aperto la strada a tutta una serie di film che, pur variando, avrebbero spaziato in ogni angolo della fantasia. Dalla mitologia cristiana al fantasy, dalle leggende del lontano Oriente fino alla trasfigurazione totale della favola europea, la DreamWorks ha cercato di farci guardare l’altro lato della medaglia di quella divisione manichea tra bene e male, che da millenni bene ha caratterizzato gran parte della nostra narrazione, da quella che si narrava nelle grotte, a ciò che sul piccolo e grande schermo è parte della nostra quotidianità. Shrek, uscito a braccetto con il nuovo millennio, può sicuramente rivendicare il fatto di essere uno dei più importanti film mai fatti in generale e non solo d’animazione.
Quell’orco misantropo e intrattabile, assolutamente privo di empatia e capacità di stare assieme agli altri, avrebbe aperto le porte non solo a una operazione di demitizzazione di certe figure fiabesche e cinematografiche, ma soprattutto a ciò che poi è stato il punto cardine della civiltà del XXI secolo: guardare oltre le apparenze, oltre il concetto di vincente o perdente, ma soprattutto smetterla di pensare che vi sia solo un canone estetico, che l’immagine sia tutto, così come si predicava negli anni ‘90.
Ruby Gillman, kraken sedicenne, indocile rispetto al destino che la sua civiltà si aspetta per lei, è solo l’ennesima variazione del concetto di diverso dalla norma, inteso però non tanto meramente dal punto di vista estetico, come la Pixar e anche la Disney hanno abbracciato in modo anche troppo insistente in questi anni, ma come mentalità, come punto di vista sul mondo. Se guardiamo a film come Shark Tale e Madagascar, La Gang del Bosco, Giù per il Tubo e soprattutto Kung Fu Panda, ci accorgiamo che proprio il pensiero laterale è sempre stato al centro della produzione della DreamWorks, capace di portarci assieme ai protagonisti ad abbracciare la certezza che non vi è solo un modo per diventare chi si è destinati ad essere. Non tutto è come ci è sempre stato insegnato perché l’essenziale, citando Antoine de Saint-Exupéry, è sempre invisibile agli occhi. Proprio Kung Fu Panda, omaggio meraviglioso, ironico ed elegante al cinema di arti marziali e alla civiltà dell’antico Oriente, in questo è stato capace di raccogliere l’eredità di Shrek e di spingersi verso una nuova concezione di eroe. Un eroe fatto della capacità di mettersi in discussione, di auto migliorarsi senza autodistruggersi. Il fatto che Po, sovrappeso, timido, pasticcione, goloso senza freni sia diventato uno dei più grandi eroi della generazione Z, conferma anche che la DreamWorks è sempre stata anche capace di cogliere lo spirito dei tempi, sovente anche di anticiparlo. Da questo punto di vista, Il Gatto con gli Stivali, tornato sul grande schermo pochi mesi fa con un film a dir poco straordinario, ha saputo ricordarci un’altra piaga della civiltà moderna: il narcisismo, l’egocentrismo ma soprattutto il rifiuto delle proprie emozioni, quando queste contrastano con l’immagine pubblica che si vuole dare di sé.
Abbracciare la qualità rispetto alla quantità, anche se magari si sono prolugnate a volte saghe come quella di Madagascar, forse anche di Trolls, un po’ eccessivamente, è sempre stato il mantra della DreamWorks. Irriverente, a volte in modo semplicemente folle come dimostrato da film come Capitan Mutanda, Baby Boss, Turbo, la DreamWorks Animation ha saputo anche spingersi verso la mitologia.
Dragon Trainer ha mostrato il mondo norreno ma soprattutto, ha saputo rinnovare una creatura come il drago, di cui pensavamo di aver visto ogni possibile declinazione sul piccolo e grande schermo. Saga tra le meglio articolate, sviluppate e sorprendenti di questo secolo, è stato anche un racconto di formazione unico per maturità, per capacità di prendere due perdenti e dimostrare che erano loro da prendere come esempio. Abbiamo due metà spezzate che fuse assieme, possono creare qualcosa di incredibilmente potente. Fatto ancora più importante, non vi è mai stata la tendenza a ripetersi, a sposare il cliché, ma soprattutto la DreamWorks ha saputo sempre trattare il proprio pubblico come bisognerebbe sempre fare: con rispetto. In tutti i suoi film d’animazione, si possono scorgere fortissimi legami con tematiche come la paura della morte, della solitudine, dell’emarginazione, la mancanza di libertà nella società moderna, la vergogna verso sé stessi e il proprio corpo, la volontà di superare l’identità che ci viene appiccicata addosso dagli altri non da noi. Ecco perché non vediamo l’ora di vedere il film di Kirk DeMicco e Faryn Pearl: perché sappiamo che comunque vada, usciremo di sala con quella soddisfazione che deriva dall’aver avuto qualcosa di nuovo e allo stesso tempo di familiare. Una risorsa che il cinema ultimamente non riesce più a dare come in passato.
Quest’estate, DreamWorks Animation si tuffa nelle turbolente acque del liceo con una commedia d’azione esilarante e commovente su una timida adolescente che scopre di far parte di una leggendaria stirpe reale di mitici Kraken e che il suo destino, nelle profondità degli oceani, è più grande di quanto abbia mai immaginato.
La dolce e imbranata sedicenne Ruby Gillman (Lana Condor) cerca disperatamente di integrarsi alla Oceanside High, ma si sente invisibile.
Fa da tutor di matematica al ragazzo che le piace (Jaboukie Young-White), che sembra apprezzarla solo per i frattali, Ruby non può frequentare i ragazzi più fighi della spiaggia perché la sua supermamma iperprotettiva (Toni Collette) le ha proibito a di avvicinarsi all’acqua.
Ma quando Ruby infrange la regola n. 1 di sua madre, scoprirà di essere una discendente diretta delle regine guerriere Kraken e di essere destinata a ereditare il trono della nonna (Jane Fonda), la Regina Guerriera dei Sette Mari.
I Kraken hanno giurato di proteggere gli oceani dalle vanitose e ambiziose sirene che combattono contro i Kraken da eoni. C’è però un grosso e inatteso, problema: la bella e popolare nuova ragazza della scuola, Chelsea (Annie Murphy) è proprio una sirena. Ruby dovrà alla fine accettare chi è e affrontare grandi imprese per proteggere chi ama di più.