Cinema roberto recchioni

Un dialogo immaginario per raccontare Indiana Jones a chi di Indiana Jones non sa niente

Pubblicato il 27 giugno 2023 di Roberto Recchioni

Ehi, ciao!

Ciao…

Indovina?

È uscito un nuovo Indiana Jones e tu vuoi saperne di più…

Come hai fatto a capirlo?

L’ho inventata io la scusa per questi articoli.

Ah, già, è vero… io sono solo un personaggio frutto della tua fantasia, utile solo a farti domande su cose di cui vuoi parlare. È piuttosto svilente, sai?

Ognuno ha la sua croce, amico mio.

Cominciamo?

Cominciamo. Prima di tutto devi sapere che George Lucas e Steven Spielberg non sono sempre stati George Lucas e Steven Spielberg.

Che intendi dire?

Prendi Lucas, quando concepisce il personaggio di Indiana Jones nel 1973 (lo spunto gli viene guardando il poster di un vecchio film seriale degli anni quaranta) è ancora un regista e sceneggiatore dal futuro incerto: il suo primo film (THX 1138 – L’uomo che fuggì dal futuro) è andato molto male, il secondo (American Graffiti) molto bene. Hollywood lo aspetta al varco con il terzo, per decidere se sia un vincente o un perdente.

E lui decide di realizzare Indiana Jones?

No. Decide di realizzare Indiana Smith, le avventure di un archeologo che deve il suo nome a quello del cane di Lucas, Indiana, appunto. Visto che però non ha le idee abbastanza chiare sulla storia, coinvolge in fase di scrittura il suo amico Philip Kaufman, che apporta dei cambiamenti importanti al protetto…

Del tipo?

Piccole cose, come il non fare di Indiana Smith, oltre che un archeologo e un avventuriero, anche il proprietario di un bar e un seduttore incallito…

Sul serio?!

Lucas era un grande appassionato di Casablanca, all’epoca…

E che altre idee portò Kaufman?

Il periodo storico, l’Arca dell’Alleanza, i nazisti…

Ma ha creato tutto lui, allora!

No, no. Molte idee fondamentali per il film arrivarono dopo, anche perché Lucas non portò avanti il progetto e si distrasse con un altro film che, ugualmente, giocava con i serial cinematografici degli anni quaranta ma, questa volta, quelli di fantascienza…

Questa la so! Star Wars!

Esattamente.

A quel punto, Lucas fece una barca di soldi, chiamò il suo amico Spielberg e… BAM! I predatori dell’arca perduta!

Non proprio. La lavorazione di Star Wars ebbe non pochi problemi e nessuno credeva nel progetto, così, un Lucas praticamente sull’orlo di una crisi di nervi si prese una pausa per passare qualche giorno alle Hawaii, assieme al suo amico Spielberg che, anche lui, era decisamente in ansia per l’uscita del suo primo grande progetto cinematografico, un altro film che aveva avuto una produzione piuttosto travagliata: Lo squalo. I due decisero che, visto che la loro carriera era probabilmente destinata a naufragare, avrebbero dovuto mettere in cantiere un nuovo film, prima che i loro rispettivi futuri insuccessi raggiungessero le sale, precludendogli ogni futuro. Spielberg disse a Lucas che avrebbe tanto desiderato dirigere un film di James Bond (cosa impossibile per lui, essendo un regista americano) e al suo amico George venne in mente quell’idea sviluppata con Kaufman che si sarebbe potuta adattare allo schema dei film di 007.
Discusso un poco della trama generale, Spielberg coinvolse un giovane sceneggiatore che gli era stato presentato da John Milius, Lawrence Kasdan, e tutti assieme si misero a lavorare sul progetto. Kasdan cambiò il nome del protagonista da “Smith” a “Jones” e disse ai due soci che lo avevano coinvolto che l’idea di fare di questo Indiana Jones un esperto di kung fu, alcolizzato e giocatore d’azzardo non era così buona e che il personaggio avrebbe dovuto rappresentare un vero eroe, per quanto fallibile e imperfetto. Lucas suggerì che, quantomeno, nel passato di Indiana Jones ci doveva essere una storia d’amore con una bambina di undici anni di nome Marion. Lui venti, lei undici. Ma Spielberg disse che forse sarebbe stato meglio alzare l’età della ragazza a sedici.

Aspetta, mi sta dicendo che abbiamo corso il rischio di avere, al posto di Indiana Jones, un personaggio che si chiamava Indiana Smith, che era un archeologo, un avventuriero, il gestore di un bar, un maestro di arti marziali cinesi, un alcolizzato, un ludopatico e un pedofilo?

Sì. Sul finire degli anni settanta gli autori erano strani…

Sono turbato. Vai avanti…

Cinque mesi dopo, Kasdan consegnò lo script, che era buono ma troppo lungo. Alcune porzioni vennero eliminate (ma poi reintrodotte nel film successivo) e parecchi elementi limati. A quel punto, George iniziò a fare il giro degli studios per trovare qualcuno interessato a produrre il film. Intanto, Lucas aveva mandato in sala sia Star Wars che L’impero colpisce ancora e Spielberg era forte non solo del successo de Lo Squalo, ma anche di quello di Incontri ravvicinati del terzo tipo

Immagino che le case di produzione fecero a botte per accaparrarsi Indiana Jones…

Per nulla. Prima di tutto perché Lucas chiedeva un budget stratosferico per l’epoca (venti milioni), di avere il totale controllo creativo e di tenersi tutti i diritti di merchandise (cosa che era riuscito a ottenere con Star Wars perché nessuno si aspettava che sarebbe diventato il successo che poi era diventato). E poi perché Spielberg era ritenuto un regista a rischio, dopo l’enorme insuccesso di 1941 – Allarme a Hollywood.

George Lucas e Steven Spielberg non riuscivano a vendere un film?

Te l’ho detto, nonostante i loro successi, non erano ancora gli autori che conosciamo oggi. Comunque sia, la Paramount trovò un complesso compromesso con Lucas (che comprendeva la regia di Spielberg, imposto dall’amico) e il film entrò in una complessa e lunghissima fase di pre-produzione (durata oltre un anno) che coinvolse artisti straordinari come Jim Steranko, che creò graficamente il personaggio di Indiana Jones. Anche la fase di casting ebbe i suoi problemi e per il ruolo di Jones vennero scartati attori come Bill Murray, Nick Nolte, Steve Martin, Chevy Chase, Jack Nicholson, Jeff Bridges e Sam Elliott.

Bill Murray, Steve Martin e Chevy Chase?!

Te l’ho detto, erano anni strani. Comunque, alla fine si arrivò a un nome: Tom Selleck.

Chi?!

Beata gioventù. Tom Selleck, all’epoca, era un divo televisivo, protagonista della serie Magnum P.I.

E perché poi non è diventato lui Indiana Jones?

In estrema sintesi, perché i suoi obblighi contrattuali con la serie televisiva glielo impedirono.

Che sfiga.

Eh, sì. Ma che fortuna per Harrison Ford, che comunque era un attore molto caro a George Lucas e che divenne l’unica scelta possibile per il dottor Jones.

Questa chiacchiera sta diventando tremendamente lunga…

Scusa. Sintetizzo. Spielberg, coadiuvato alla fotografia da Douglas Slocombe, riesce a stare nei tempi e nel budget. Un paio di mesi di montaggio (di Michael Kahn) e di post-produzione per gli effetti speciali (realizzati dalla ILM di Lucas), poi le musiche di John Williams e il film arriva nelle sale nel 1981, diventando un successo di critica e pubblico immediato. La cosa divertente è che, anticipando di anni autori come Tarantino e i suoi emuli, Spielberg realizza un film pienamente post-moderno…

Che intendi dire?

Che non c’è praticamente nessuna scena de I predatori dell’arca perduta che non derivi da qualche altro vecchio film del passato. Spielberg le ha smontate e rimontate assieme, creando qualcosa di nuovo. Se ti interessa, QUI puoi trovare tutti i parallelismi.

M-ma… ma è un furto!

No, è post-modernismo. Solo che, all’epoca, nessuno usava quella parola. E non c’era neanche Internet per andare a spulciarsi i vecchi film e controllare chi aveva copiato cosa.

Va bene, e poi, che succede?

Successo mondiale, nascita di un nuovo franchise. Viene messo in cantiere un secondo film, Il tempio maledetto, che esce tre anni dopo e che va bene, ma non bene come Spielberg e Lucas speravano (al botteghino di quell’anno viene battuto tanto da Beverly Hills Cop, quanto da Ghostbusters).

Come mai?

Secondo Spielberg e Lucas perché il secondo film è troppo cupo e violento. E, nel 1989, il terzo capitolo, L’ultima crociata, chiude il debito con James Bond portando a schermo Sean Connery come padre di Indy. Un successo clamoroso e, secondo alcuni, il miglior film della trilogia e perfetta conclusione per le avventure del nostro archeologo.

Che però una conclusione non è…

No. Indiana Jones continua a vivere nel mondo delle serie televisive, dei fumetti e, soprattutto, dei videogiochi fino a 2008, quando Lucas, Spielberg e Ford decidono di spolverare cappello e frusta e realizzano Il regno del teschio di cristallo.

È un bel film?

Preferisco non parlarne. Diciamo che il suo prologo, quella cold opening che Indiana Jones ha rubato a James Bond, faceva ben sperare (sì, la scena del frigo a me è piaciuta) ma che poi il film, si perde. Ecco, mettiamola così.

È il capitolo con il figlio interpretato da Shia LaBeouf, giusto?

Ti ho detto che non ne voglio parlare.

E siamo a oggi e a questo Quadrante del destino.

George Lucas e Steven Spielberg sono fuori (ma accreditati, ovviamente, come produttori esecutivi). In cabina di regia c’è il bravo James Mangold e lo script è affidato a, più o meno, sette milioni di persone. Accanto a Harrison Ford ci sono Phoebe Waller-Bridge e Mads Mikkelsen e la storia dovrebbe essere, questa volta davvero, il capitolo conclusivo di Indiana Jones, almeno dell’Indiana Jones interpretato da Harrison Ford?

Credi che, prima o poi, rilanceranno il personaggio con un altro attore?

Penso che, nel lungo periodo, sarà inevitabile. Ma molto dipende anche dalla fortuna economica di questo quinto film.

Il quinto Indiana Jones…

Sì, insomma, mettila come vuoi.

Che intendi dire?

Che, per quello che riguarda me, Indiana Jones è una meravigliosa trilogia.

Non credevo che questo fosse un pezzo critico…

Infatti non lo è. Ed è pure finito.