Johnny Depp compie sessant’anni e lo fa in un momento molto particolare della sua vita e della sua carriera, in cui vi è stata una parziale risalita a Cannes, dopo gli scandali, i processi, la perdita di importanti collaborazioni cinematografiche, il palesarsi anche fisicamente di problematiche legate all’alcolismo.
Eppure è intatta l’ammirazione nei suoi confronti, l’amore del pubblico, per un attore che è tra i più iconici del panorama mondiale e della sua generazione, che è stato capace di conquistarsi una popolarità in virtù di interpretazioni incredibili per intensità e credibilità. Quelle che seguono sono 5 con cui ha saputo ritagliarsi un posto nella storia del cinema.
Non si può che partire che con lui, con l’idolo di una saga che nessuno si aspettava potesse avere il successo che ha avuto, e se ciò è successo è stato grazie a lui, a Johnny Depp. Il pirata Jack Sparrow è senza ombra di dubbio il bucaniere più famoso della storia del cinema, lo è in virtù di un lavoro di ricerca ed espressività che partiva da personaggi storici come Calico Jack e giungeva fino a Keith Richards, alle rockstar che Johnny Depp ammirava. La sua entrata in scena, spavalda e allo stesso tempo ridicola, è tra le più iconiche che si ricordino, così come la sua capacità di rendere accattivante quello che è una sorta di incrocio tra Arlecchino, Jackie Chan, l’ispettore Clouseau, Buster Keaton. Il risultato finale? Questo capitano morto di fame, vanaglorioso, contaballe professionista, ma allo stesso tempo rotto d’ogni insidia, coraggioso, carismatico e astuto come pochi. Dal primo film, la saga poi è andata verso un crescendo discontinuo, fino agli ultimi episodi, alquanto evitabili, dove tuttavia il pubblico ha sempre risposto presente grazie a lui, a Jack Sparrow. Rimane un eroe tra i più popolari soprattutto perché simbolo di libertà, quella vera, quella che già in quel ‘600 e ‘700 nell’Oceano pacifico e indiano, spingeva tantissimi ad abbracciare la vita del bucaniere. Di quel mondo variegato a strano, Johnny Depp rimane il simbolo cinematografico più alto, con quel cappello, il suo fare da commediante, la sua nave e la sua ciurma di sfigati, sempre pronti ad imbarcarsi nell’ennesima avventura.
Uscire illesi da un confronto con un gigante come Al Pacino è qualcosa che solo pochi riuscirebbero a fare, ma riuscire addirittura a non farsi rubare la scena, anzi a convincere in pieno, beh questo solo un grande attore può riuscire a farlo. Johnny Depp con Donnie Brasco di Mike Newell si dedica anima e corpo ad uno dei personaggi più interessanti mai visti in un mafia movie, in un racconto malinconico, struggente, pieno di miseria umana e tragedia. Depp era Joseph D. Pistone, un agente dell’FBI infiltratosi all’interno della cosca dei Bonanno, una delle famiglie che in quegli anni ’70, mettevano a ferro e fuoco la Grande Mela e un pò tutta la East Coast. Al Pacino invece è Lefty Ruggiero, un vecchio soldato della famiglia, eternamente sottovalutato, disprezzato e che garantisce per il nuovo picciotto, a rischio della sua vita.
Tratto da una assurda storia vera, Donnie Brasco permette a Johnny Depp di creare una metamorfosi eccezionale di un uomo che, entrato nel mondo criminale con una missione precisa, nel giro di poco tempo subisce una trasformazione radicale, arriva a comprendere e per certi versi ad applicare coscientemente, il codice di condotta, il linguaggio, la mentalità stessa del mafioso. Johnny Depp diviso tra il dovere della divisa e la certezza che il suo mentore verrà ucciso quando tutto questo verrà a galla, riesce ad esprimere una vulnerabilità, un’angoscia e un’affezione totale verso un Al Pacino dolente, perdente nato, in un film tra i migliori da farci comprendere la tragedia della cultura della morte di cosa nostra.
Da un criminale per finta un criminale vero. Michael Mann decide di offrire a Johnny Depp, nel momento di massimo successo il ruolo nientemeno che di John Dillinger, il bandito più famoso dell’America impoverita e disperata dell’epoca del proibizionismo nel suo Nemico Pubblico. Robin Hood per alcuni, criminale spietato e bugiardo per altri, rimane una figura centrale di quell’epoca. Assistito da un cast di supporto eccezionale, appaiato ad un Christian Bale metallico e gelido, Johnny Depp si muove con maestria serpentina, dipinge il ritratto più realistico da molti decenni a questa parte di un gangster, uno di quelli anarchici per scelta di vita, per volontà di essere distanti da una società, quella americana, che viene descritta come razzista, ingiusta, classista in modo aberrante. Allo stesso tempo, ce ne dona un ritratto spietato, realistico, quello di un uomo capace di uccidere senza rimpianti, ladro e rapinatore privo di ogni incertezza, ma anche dotato di una determinazione, un coraggio, una fedeltà ad un codice personale, che non potevano renderlo leggenda. Assieme a Marion Cotillard, con una love story triste e potente, opera anche una decostruzione totale del mito della pupa e del gangster, in quello che rimane anche un grandissimo affresco storico fatto di realismo. Depp alla fine cancella il mito del gangster movie come connesso al sogno americano. Senza ombra di dubbio una delle sue più grandi interpretazioni, criminalmente sottovalutata dall’Academy.
Senza ombra di dubbio il ruolo che lo ha lanciato, che lo ha reso beniamino di un’intera generazione, quella che, sulle note di Kurt Cobain, trovò in Edward mani di forbice di Tim Burton, il manifesto del proprio disagio. Era del resto un momento in cui ci si ribellava verso una società consumistica, intollerante, prepotente verso i diversi e verso gli ultimi. In quel 1990, Johnny Depp nei panni di Edward, ragazzo artificiale che ha delle forbici al posto delle mani, crea un nuovo Pinocchio. Lo fa in un film che si eleva connettendosi anche al sogno borghese americano degli anni ‘50 e ‘60, così come a “Frankenstein”, “La bella e la bestia” e al fantasy gotico più classico in generale. Questo personaggio gli permette di muoversi con una vulnerabilità meravigliosa, nei panni di questa strana creatura, maledetta dagli uomini, eppure capace bene o male di grande gentilezza e sensibilità. Straordinario racconto incentrato sul concetto di empatia e amicizia, a volte comico, altre volte pauroso, vede Depp nei panni di un protagonista ancora oggi leggendario. Forse il film più bello del genere, con questa sorta di creatura destinata ad una solitudine, da cui però l’arte, la creatività, riescono in qualche modo a salvarlo. Ruolo unico nel suo genere per Deep, che da quel momento creo con Tim Burton un sodalizio artistico tra i più importanti del cinema moderno.
Altra collaborazione con Tim Burton, forse l’ultima veramente significativa tra i due, forse anche l’ultimo vero grande film del regista gothic per eccellenza. Remake del capolavoro del 1971 con Gene Wilder, La Fabbrica di cioccolato è un ibrido tra musical e film fantasy, fiaba cinica e ironica, attraversata da un’inquietudine profonda. Ci troviamo riferimenti al tossico culto dela personalità e una profonda condanna per il sistema capitalistico. Nei panni di Willy Wonka, Johnny Depp strega dal primo all’ultimo minuto, cesella un personaggio a metà tra l’infantilismo più estremo e patologico, e la genialità più ammaliante. Armato di un sorriso da Mentadent con un look bohemienne irresistibile, rispetto al Wonka di Wilder, è molto meno filone, seduttivo, molto più freak a weirdo. Si tratta di un personaggio con cui l’attore ancora una volta ci parla di un uomo solo perché diverso più originale, ma anche più intrattabile degli altri. Capace di strappare frequentemente delle risate irresistibili, Johnny Depp è capace anche di rendere in ultima analisi patetico, a tratti veramente misero, questo genio, questa sorta di decostruzione del mito del guru, del magnate vincente chiuso in quella specie di Regno che, nelle sue mani, diventa una sorta di universo dadaista. Omaggio al nonsense, ma anche laboratorio in cui analizzare la natura umana con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti, La fabbrica di cioccolato è forse il lavoro più dettagliato e atipico della sua carriera, forse più intimo per la natura stessa del personaggio.