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Hulk, i vent’anni di un cinecomic da riscoprire

Pubblicato il 20 giugno 2023 di Giulio Zoppello

Quando uscì l’era dei cinecomic era agli inizi, i supereroi al cinema godevano già di un grande seguito, per quanto la critica rimanesse ancora parzialmente dubbiosa sulle potenzialità. Lo Spider-Man di Sam Raimi, la saga degli X-Men, avevano conosciuto un successo travolgente; poi arrivò lui, Ang Lee, portò sul grande schermo il titano per eccellenza. Hulk quando uscì fu trattato con una certa freddezza dalla critica e incassò tanto ma non abbastanza. Ma ora, forse, dobbiamo ammettere che questo era e rimane uno dei migliori trattati su un superpotere mai concepiti.

Un film frutto di un percorso complesso e tormentato

Fin dagli anni ‘90 si pensava a portare sul grande schermo il gigante verde. Stan Lee e Michael France nel ‘94 avevano cercato di convincere la Universal, poi per anni la sceneggiatura passò di mano in mano, e pareva che nessuno veramente ci credesse. Davvero, forse non si poteva portare sul grande schermo un personaggio che, a tutti gli effetti, sembrava soprattutto ancorato alla vecchia era dei Comics, e troppo complicato anche visivamente. Alla fin fine, tra innesti e rimaneggiamenti, personaggi da aggiungere e da togliere, si arrivò ad Ang Lee. Questi decise di unire i personaggi più significativi, di cesellare un racconto che, se dal punto di vista visivo ancora oggi è forse quello più vicino all’essenza stessa di un graphic novel classico, dal punto di vista semantico rimane uno dei più complessi, stratificati e più articolati che si siano visti. Bruce Banner, geniale scienziato specializzato nelle radiazioni gamma, a causa di un esperimento andato male si trova infine bombardato dalle stesse, sviluppa una sorta di doppia personalità che nei momenti di maggior stress, paura e pericolo, lo fa diventare Hulk appunto, colossale gigante la cui forza, aggressività, non conoscono limiti se non quelli della sua psiche. Ang Lee tutto questo lo fa arrivare in un film cupo, schiacciato come dentro una capsula che è una deformazione di Alice nel Paese delle meraviglie, un incubo psichedelico. Tutto pare svolgersi nel deserto, poi alla fine si allargherà leggermente a San Francisco, ma è fuor di dubbio che il tutto sia una metafora di quello che esiste nella mente di questo scienziato, connesso ad un padre violento, manipolatore, innamorato di quel potere che non può controllare, che finirà per distruggerlo nel momento in cui ne celebra il possesso.

Un mostro simbolo della psiche umana e della società del XXI secolo

Cast di prima grandezza per Hulk vent’anni fa, Jennifer Connelly, Sam Elliot, Nick Nolte, assieme ad Eric Bana formano i quattro pilastri di un racconto in cui la figura paterna, il rapporto padre-figlio, si connette alla tragedia greca, al mito di Edipo. Hulk ci parla di un’assenza che è anche una presenza, che condiziona la vita di Bruce, schiavo di un Io segreto verso il quale ha un rapporto di paura e terrore.
Oggi possiamo anche ridere degli effetti curati dalla Industrial Light & Magic, che in quell’inizio di millennio parvero già parzialmente superati, ma la realtà è che questo Hulk è forse il migliore per espressività, personalità, per quell’unione di vulnerabilità e maestosa potenza assolutamente fuori controllo.
In tutto questo, il film grazie ad Ang Lee diventa anche un complesso ragionamento del limite etico tra uomo e tecnologia, ma soprattutto tra umanità e potere, quello creato dalla scienza a cui tutto pare che si possa perdonare, che proprio in quegli anni aveva completamente sdoganato la clonazione, gli OGM, faceva compiere l’industria bellica passi da gigante. Ecco che Hulk diventa di conseguenza anche un film che ragiona sulla differenza tra progresso e avanzamento tecnologico, di cui proprio questo gigante che si aggira in una sorta di limbo circondato da macchine di distruzione assurge a simbolo. Lui è la fantasia della nostra rabbia e della nostra paura, è una sorta di bambino dalla forza smisurata che cerca di fuggire da un mondo ostile, cerca di ritrovare quel genitore che nella realtà è in ultima analisi il suo più grande nemico. Il padre da uccidere per creare l’uomo, il tribale che si mescola a Shakespeare, il rifiuto del legame come chiave per la libertà.

Un film cupo, malinconico e incredibilmente coerente

Freud, Jung, si sprecarono analisi e paragoni all’epoca, che per molti furono la prova finale dell’eccesso di ambizione, forse anche di vanità da parte di Ang Lee. Ma la verità è che Hulk, vent’anni dopo, con il suo tono cupo, il suo mettere in mostra una creatura fatta di istinto, paura folle e una ferocia che non può essere arrestata se non dai sentimenti, ci parla anche della duplicità dell’essere umano.
In Hulk già prendeva forma il fallimento della società tecnocratica, e bene o male è soprattutto un film sulle nostre paure, quelle più nascoste e legate all’infanzia, ha una visione della mostruosità che chiaramente si connette a King Kong, alla “Bestia” che è nascosta dentro di noi, al simbolo di qualcosa di possente, ai Draghi, e i mostri a cui tutti noi abbiamo affidato il nostro desiderio malcelato di onnipotenza.
Fu un film che lisciava ben poco il pubblico per il verso giusto già all’epoca, ma perlomeno evitò di darci un Hulk babbeo e depotenziato, come quello che la Marvel bene o male avrebbe messo addosso allo sfortunato Mark Ruffalo; solo 5 anni dopo fu Edward Norton a dargli il volto in un altro film non abbastanza apprezzato, forse perché non abbastanza cartoonesco. A vent’anni di distanza però, Hulk di Ang Lee rimane uno dei cinecomic più ingiustamente maltrattati, a dispetto di una malinconia, un senso di tragedia e di solitudine, che ancora oggi molti film sui supereroi dovrebbero recuperare in toto, se non altro per andare oltre la mera rappresentazione di uomini in calzamaglia ridicoli. Allo stesso modo, la sua analisi della violenza come insita nell’uomo e nella società, il suo parlarci della ribellione al sistema, sono quanto di più affascinante il genere ci abbia dato connettendosi a Frankenstein, al Dottor Jekyll e Mr Hyde.
Siamo tutti dentro un po’ Hulk, tutti sogniamo di sfogare ciò che non possiamo e Ang Lee questo lo sapeva.

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