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Fidanzata in Affitto, la recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 21 giugno 2023 di Roberto Recchioni

Preceduto in USA da una efficace campagna di comunicazione e da un generale entusiasmo della stampa, No hard feelings (Fidanzata in affitto da noi) debutta in questi giorni in tutto il mondo. Lo storytelling legato al film ci dice che è il grande ritorno delle commedie americane irriverenti, sporche e politicamente scorrette, con espliciti riferimenti a pellicole classiche del genere sia degli anni ottanta (con Risky Business in cima alla lista) che degli anni duemila (diciamo da American Pie in poi).

La storia è presto detta: una Millennial un poco scapestrata e male in arnese (Jennifer Lawrence) si ritrova privata dei suoi mezzi di sostentamento (l’auto con cui lavora come conducente Uber) e decide di investigare su uno strano annuncio di lavoro pubblicato su un quotidiano locale. L’offerta professionale è piuttosto semplice, per quanto controversa: due genitori iperprotettivi e apprensivi (Matthew Broderick e Laura Benanti) cercano una bella e giovane ragazza che sia disponibile a fare sesso con il loro figliolo imbranato (Andrew Barth Feldman). Chiaramente, la progenie non dovrà mai sapere che la sua conquista è stata, in realtà, pagata da mamma e papà. Come pagamento, offrono una Buick di seconda mano che è esattamente quello di cui il personaggio della Lawrence ha bisogno. Il patto viene siglato e, da quel momento, iniziano i problemi, perché il ragazzo da sedurre è un fiero esponente della Generazione Z e ne condivide tutti i tic e le nevrosi più stereotipate: è molto sensibile, attento all’ambiente, ama gli animali, non ha la patente e non la desidera, non beve, è molto attento all’inclusività e alla correttezza e, soprattutto, non sembra particolarmente interessato al sesso.

La Lawrence, quindi, prima ancora di riuscire a portarsi il ragazzino tra le lenzuola, dovrà riuscire a conquistarsi la sua fiducia e a portarlo fuori dal suo bozzolo. Ovviamente le cose si complicheranno e la ragazza finirà per apprendere più che insegnare. Sì, non è la trama più originale del mondo ma non è così importante perché il trailer ce la racconta in maniera genuinamente divertente, mettendo il luce gli aspetti più comici, volgari e sopra le righe del film. Che sono, purtroppo, quelli che si vedono nel trailer e non uno di più. Questo perché delle “commedie americane irriverenti, sporche e politicamente scorrette” il film ha giusto la prima mezz’ora, per poi diventare tutt’altro. La questione che serve da meccanismo comico a tutta la vicenda viene risolta in fretta, le carte vengono scoperte e il film si rivela essere una versione più scema di quel piccolo gioiello di David O. Russell, Il lato positivo (non a caso, c’è Jennifer Lawrence nel cast), cioè la storia di due sfigati che, stando assieme, confrontandosi e scontrandosi, trovano una maniera per fare i conti con la loro vita e, in qualche maniera, pacificarsi con essa. Il problema è che David O. Russell, sia in fase di scrittura che in quella di regia, ha tutto un altro tocco rispetto a Gene Stupnitsky, il regista di questo Fidanzata in affitto.

Ora, devo dire che prima non sono stato del tutto onesto. Per quanto le rotte narrative del film di Stupnitky divergano in fretta dalle commedia scollacciate degli anni ottanta e duemila, il suo film ha davvero qualcosa in comune con una larga fetta di quel genere di produzioni: la sciatteria registica e di messa in scena. Sul serio, erano decenni che non mi capitava di vedere una produzione USA di primo piano così sgangherata nello script, così zeppa di errori di continuità in montaggio, così sgrammaticata nella narrazione e cosi inadeguata nella rappresentazione visiva. Un vero e proprio disastro che, con una mia certa sorpresa, mi è piaciuto lo stesso, grazie alla buonissima prova attoriale di Andrew Barth Feldman ma, soprattutto, grazie a Jennifer Lawrence, che dona al suo personaggio non solo una irresistibile verve comica ma anche un bel portato umano e drammatico. Fidanzata in affitto è un film che funziona per questa attrice straordinaria e, sostanzialmente, solo per lei.

E questo sarebbe, più o meno, tutto quello che ho da dire sul film se non fosse per un dettaglio, per me significativo: dopo Top Gun: Maverick, dove un Boomer rimetteva in riga una manica di sciocchi ragazzini, questa pellicola sancisce ufficialmente la nascita di un filone commerciale ben definito che possiamo definire come “film generazionali che sfottono la generazione successiva alla loro”. Nel caso specifico, un titolo alternativo per questo Fidanzata in affitto potrebbe essere “La rivincita dei Millennial” visto che ci mostra come siano infinitamente meglio dei Gen Z dato che loro sanno davvero come si vive, non hanno paura di guidare, di bere e di fare sesso, non vivono in mondi virtuali e, soprattutto, non sono schiavi della cultura woke. Il ragionamento fatto da Hollywood sembra essere: la Gen Z non va al cinema, tanto vale blandire i Boomer, la Gen X e i Millennial (che, invece, al cinema ci vanno) e sfotterli. Cinicamente, è un’idea commerciale ottima e molto pragmatica, ma mi chiedo se non sia un poco miope, sul lungo periodo.
Comunque, tornando al film in quanto tale, consigliato? No, non molto. Eppure io l’ho visto con piacere. Vai a capire.