Nell’universo degli action anni ’80, Danko di Walter Hill occupa uno spazio assolutamente speciale, in virtù di un’identità, di un’estetica, ma anche di una semantica, più uniche che rare. Oggi che compie 35 anni è giusto onorare un film robusto, appassionante, con una delle coppie più indovinate di sempre sul grande schermo, ammantato di uno humour irresistibile, ma capace anche di essere profondamente malinconico.
Per comprendere perché Danko abbia avuto un impatto che ha avuto, bisogna assolutamente ricordarsi che quel 1988, segnò l’apice del cosiddetto disgelo, cioè del dialogo tra l’Unione Sovietica, ormai agli sgoccioli e vicina al frantumarsi, e gli Stati Uniti, che sarebbero in breve passati dalla Presidenza dell’iconico e populista Ronald Reagan all’altrettanto conservatore ma più sfumato George Bush Sr.
Il film però nacque soprattutto dalla volontà da parte di Hill, ancora oggi reputato giustamente uno dei più rivoluzionari della sua generazione, e della mega star di origini austriache, di lavorare assieme, visto il grande rispetto professionale che nutrivano l’uno per l’altro. Danko a tutti gli effetti era un omaggio al concetto di buddy movie che proprio Walter Hill aveva rivoluzionato con 48 Hours, nonché con una miriade di altri film con cui aveva connesso il classicismo narrativo ad una nuova estetica del concetto di azione urbana e non solo. Walter Hill sapeva che del resto un’immagine valeva più di mille parole, ma lo stesso poteva dirsi di un volto o di uno sguardo. Arnold Schwarzenegger, Re Mida di Hollywood insieme a Stallone in quegli anni, secondo lui aveva questa capacità di comunicare per sottrazione; Hill lo convinse di poter andare oltre la mera esibizione di forza fisica. Per il ruolo l’ex Terminator perse diversi chili e, sì, pare quasi un eufemismo a pensare a quanto fosse colossale all’epoca, ma soprattutto studiò approfonditamente i grandi classici del cinema che fu. In particolare, si focalizzò su attori come John Wayne e Greta Garbo in Ninotchka. A fargli da spalla vi era un mattatore come James Belushi, ingrassato apposta per la parte e che Walter Hill rese completamente libero di muoversi in ogni direzione.
Danko si muoveva tra Russia e Stati Uniti, i sobborghi di Mosca e la Chicago che assieme ai Chicago Bulls, a quell’epoca continuava ad avere anche un ruolo molto importante per quello che riguardava il narcotraffico. Walter Hill ebbe la geniale idea di basare tutto il film sulla contrapposizione che non era semplicemente di maniera, ma reale, palpabile, tanto visiva quanto legata all’identità dei due protagonisti. Il capitano Ivan Danko è sostanzialmente un sosia di Ivan Drago di Rocky IV, con la sola variante che è uno dei buoni. Colossale, tenace, risoluto è anche dotato di astuzia e istinto, è un carro armato che è abituato a vedersela con dei tagliagole terrificanti, gente come Victor Rosta a cui Ed O’Ross donò un carisma immenso, un fare serpentino ed infido che avrebbe fatto scuola. Perfettamente a metà tra i due c’è il detective Art Ridzik, un James Belushi irresistibile ma soprattutto realistico. Al contrario di Eddie Murphy, di Bruce Willis e degli altri detective della Hollywood di quegli anni ’80, questo poliziotto è uno dei più concretamente verosimili che si siano mai visti: sovrappeso, single, frustrato, con una carriera orribile e una vita incasinatissima. Ma proprio per questo, riesce a fare breccia nell’armatura del sovietico, che in lui riconosce un poliziotto altrettanto incorruttibile, leale, ligio al dovere per quanto, ovviamente, molto sui generis per quello che riguarda lo stile e la disciplina. Tra pestaggi, sparatorie, inseguimenti Walter Hill con Danko, creò un western urbano sopraffino, in cui si omaggiava continuamente John Ford i grandi classici del western della Golden Age, così come il concetto di amicizia virile e di lealtà.
Straordinario per forza evocativa, per ambientazione anche grazie ad una fotografia di Matthew Leonetti che rende la stessa città dei gangster, i suoi veicoli, le sue notti fumose, quasi una variazione della Gotham City di Batman, Danko è soprattutto però un film su una visione manichea che viene distrutta.
Il film in breve diventa ragionamento ed analisi sul mondo che cambia e anche il confronto tra l’ideologia comunista ormai vicina al baratro e il fallimento del “Kapitalismo” come lo chiama Danko, dell’America yuppie e consumista da una parte e il blocco comunista ormai in disfacimento, corrotto e arrugginito dall’altra. Entrambi i mondi hanno fallito, in Russia come in America ci sono criminali incalliti e feroci, donne disperate e destinate ad una brutta fine, la droga sta distruggendo intere esistenze e la struttura sociale.
Danko a 35 anni di distanza, continua a funzionare in modo egregio per l’alternarsi di humor e una dimensione action tanto violenta, quanto drammaticamente reale; del resto, Walter Hill è sempre stato un regista fedele al motto che “i film sono falsi ma le pallottole sono vere”. Primo film americano ad essere autorizzato aggirare delle riprese sulla Piazza Rossa, Danko rimane centrale nella cinematografia occidentale perché lontano dal cliché del machismo anni ‘80, innovativo per scrittura e caratterizzazione. Soprattutto, rappresentò una variazione tanto indovinata quanto unica nel suo genere, per quello che riguarda il buddy movie, che proprio in quegli anni conosceva un apice non indifferente con la serie di Arma Letale. Non è pari a quest’ultima, ma tuttora rappresenta il meglio di un’era cinematografica in cui i grandi divi, si prestavano agli autori in grado di intrattenere il pubblico con coraggio ed audacia.