Cronache dal Sottosopra: due passi nel pop up di Stranger Things a Milano

Cronache dal Sottosopra: due passi nel pop up di Stranger Things a Milano

Di Lorenzo Pedrazzi

L’interregno fra due stagioni di Stranger Things non è mai realmente vuoto: Netflix, consapevole dell’indotto generato dalla serie, trova sempre il modo di riportarci nel Sottosopra, anche quando manca parecchio all’arrivo dei nuovi episodi. Se le installazioni e l’anteprima in Duomo dell’anno scorso cavalcavano l’uscita della quinta stagione, il pop up temporaneo di piazza Beccaria – sempre a Milano – celebra il successo dello show e il suo radicamento nell’immaginario collettivo, in quanto franchise tra i più rappresentativi degli ultimi anni.

In effetti, Stranger Things ha intercettato lo Zeitgeist nostalgico del nuovo millennio con precisione morbosa, alimentando l’idealizzazione degli anni Ottanta come periodo più spensierato, divertente e genuino, lontanissimo dagli affanni del presente. Se è vero che adesso la nostalgia si sta spostando sugli anni Novanta e i primi Duemila, il decennio dei film Amblin esercita ancora un fascino enorme, e il pop up in questione lo dimostra: fra arredamenti vintage e canzoni memorabili, la rievocazione ci proietta in un mondo tanto seducente quanto alieno, come i diorami nei musei di storia naturale.

Prima della prima

L’apertura al pubblico è attesa per venerdì 5 maggio: la visita è gratuita, ma bisogna prenotarsi a questo link, selezionando il giorno e la fascia oraria. All’ingresso troverete il logo di Stranger Things in neon rossi su fondo nero: è la prima photo opportunity, concetto su cui ormai si regge l’intera società occidentale, e che non poteva mancare in questa esperienza “immersiva”. Ne incontrerete molte altre.

Lo schema dei tunnel sotterranei di Hawkins (ricordate i disegni tentacolari della seconda stagione?) guida il cammino al piano di sotto, dove si trova la scenografia più vasta e dettagliata del pop up: è il soggiorno della casa di Joyce, con le lucine colorate e le lettere dipinte sulla tappezzeria. Su scaffali e credenze potrete divertirvi a scoprire tanti piccoli esempi di tecnologia d’antan, insieme a chincaglierie varie, libri (un po’ casuali) e dischi in vinile (questi, invece, ben più centrati). Sul divano c’è persino una coperta colorata, se volete immedesimarvi ancora di più nelle ansie della povera Joyce.

Sul versante opposto, oltre una piccola passerella, ci sono due biciclette Schwinn Sting-Ray come quelle cavalcate da Mike, Will, Dustin e Lucas (o quantomeno dei modelli simili). Lo sfondo ritrae la strada di accesso a Hawkins con il Mind Flayer che incombe tra le nubi, e potete anche montare in sella per un’altra photo opportunity. Ovviamente.

Ancora più giù

Al piano sottostante, visibile già dalla passerella, troverete l’altra sezione del pop up. Questa parte è la più eterogenea, poiché suddivisa in aree tematiche: all’inizio sarete circondati da oggetti e ambienti della Hawkins High School, come gli armadietti, la lavagna degli annunci (piena di riferimenti a personaggi e circostanze ben note), la scenografia del ballo scolastico del 1984, e il logo del liceo. C’è persino l’orologio a pendolo incastonato nella parete, come quello che appare a Max quando è colpita dalla maledizione di Vecna.

Poi, dopo il dovere viene il piacere. L’area successiva è infatti ispirata allo Starcourt Mall, il centro commerciale dove si svolge la battaglia risolutiva di Stranger Things 3, con tanto di angolino dedicato alla pista di pattinaggio Rink-O-Mania (quella in cui Undici, all’inizio della quarta stagione, spacca il grugno con un pattino alla ragazza che la bullizzava). Il merchandise è ovunque: magliette, felpe, berretti, pupazzi, portachiavi, poster (stupendi quelli dei singoli episodi), spille, cartoline e molto altro. Per amore di fedeltà storica, i prezzi sembrano rispecchiare l’inflazione degli anni Ottanta.

Ci sono altre due stanze, separate dallo Starcourt. La prima riproduce la macchina dei sovietici che apre il portale con il Sottosopra, vista nell’epilogo della terza stagione. La seconda rievoca invece la sala giochi Palace Arcade, con tre cabinati funzionanti (Pac-Man, Dig Dug, Galaga) e una moquette alquanto psichedelica. Per la cronaca, Galaga è più difficile di quanto sembri: meno male che non servono le monetine per giocare.

Trascinati dalla musica

Come potete immaginare, l’intera visita è accompagnata in sottofondo da innumerevoli canzoni degli anni Ottanta, con classici come Run to Me di Tracy Spencer o Wake Me Up Before You Go-Go degli Wham!, per citarne alcuni. È proprio la musica a favorire l’immersione nelle atmosfere dell’epoca, più delle scenografie o del merchandise, che non nascondono certo la furbizia dell’intera operazione.

Insomma, ci si diverte senza pretese, magari sentendosi un po’ in colpa per le situazioni che Netflix ha contribuito a creare nell’industria cine-televisiva. Se gli sceneggiatori statunitensi scioperano per il rinnovo dei contratti, è anche perché il colosso dello streaming e le altre piattaforme puntano su prezzi competitivi talvolta insostenibili, con conseguente abbassamento dei compensi per chi realizza i loro prodotti (a partire dagli scrittori). Cosa c’entra questo con il pop up di Stranger Things? Niente, ma è utile ricordare quale realtà si cela dietro le maschere sgargianti dell’intrattenimento. Altrimenti finiamo come gli zombie de La terra dei morti viventi di Romero, distratti dai fuochi d’artificio mentre intorno si consuma l’orrore.

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