Cinema

Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo: 15 anni dopo

Pubblicato il 18 maggio 2023 di Giulio Zoppello

Ora che Indiana Jones sta per tornare nelle nostre sale (l’uscita di Indiana Jones e il Quadrante del Destino è fissata per il 28 giugno), il sentimento più diffuso con cui ci troviamo a che fare virgola e di chi spera di non avere un’altro film come fu Il Regno del teschio di cristallo. Il quarto episodio della saga dell’archeologo più famoso della storia del cinema ancora oggi viene indicato come il perfetto esempio di come non continuare una saga, soprattutto quando lo si è aspettato per così tanto tempo. Ma davvero era così brutto quel film? E se invece dovessimo fare i conti con l’inevitabile metamorfosi del cinema e di noi stessi?

Un film che forse non serviva?

Harrison Ford lo ripeteva da anni, da dopo quell’Ultima Crociata che ancora oggi è reputato da molti il più maturo, il migliore film della saga di Indiana Jones: era già di per sé una conclusione degna.
Harrison Ford è stato lanciato da Han solo, l’antieroe di Star Wars. Il resto della storia la conosciamo tutti, ma molti ancora oggi ignorano come già alla fine del secondo episodio, Harrison Ford sperasse di lasciar perdere completamente il personaggio. Questo proprio grazie a lui, ad Indiana Jones, a quell’arca perduta che gli permise di cogliere un successo travolgente, con un personaggio che non condivideva lo schermo con altri. Soprattutto Jones prometteva di potergli offrire un’evoluzione e una maggior libertà creativa. Il Ritorno dello Jedi per dire, lui sperava di evitarselo, aiutò Lucas, tornò per quello che ancora oggi è indicato come il più debole dei film della trilogia originale. Indiana Jones invece non ha mai avuto punti deboli, almeno fino a Il Regno del Teschio di Cristallo, arrivato così tanti anni dopo, dopo la serie tv, i fumetti, dopo la morte di Phoenix che aveva tagliato le ali a dei possibili prequel. Il rammarico non può essere negato, ma di certo si deve accettare anche un dato di fatto: l’industria cinematografica è cambiata profondamente da quegli anni ‘90. Lo stesso si deve dire anche del pubblico, perché pensare di fare affidamento solo ed esclusivamente sui vecchi fan, è stato dimostrato in tante produzioni che è una scelta assolutamente fallimentare. Questo sempre se non si voglia replicare l’insuccesso al botteghino di film come Blade Runner 2049.

Un nuovo progetto per un pubblico sbagliato?

Il Regno del Teschio di Cristallo ebbe un iter produttivo protratto nel tempo e contraddittorio, ed il risultato ottenuto da Steven Spielberg fu influenzato dall’obiettivo di stregare sia il pubblico millennial, sia soprattutto la generazione Z. Si reclutò Shia LaBeouf, che il suo amico Michael Bay aveva reso una celebrità generazionale con la saga di Transformers. Si aggiunse un villain come quello interpretato da Cate Blanchett, attrice che piace sostanzialmente a tutti. Ma soprattutto si cercò di rievocare le atmosfere esotiche dei primi due film, connettendosi sia ai romanzi di H. Rider Haggard sia ai vecchi film di Fantascienza anni ’50. Il che non può che sorprendere contando che di alieni brutti e cattivi, Spielberg fino a La Guerra dei Mondi non voleva sentirne parlare. Il pubblico però trovò noioso, ripetitivo, eccessivamente prevedibile non solo la trama, ma anche l’emergere della paternità del protagonista, quasi a privarlo della sua essenza di scavezzacollo senza tempo. La civiltà precolombiana con cui infine si confrontavano, maschera dietro cui si celava una suprema intelligenza aliena, arrivò senza particolari svolte. L’insieme risultò per molti incredibilmente telefonato e prevedibile. Tutte cose che i vecchi film di Indiana Jones invece non erano stati mai… oppure sì? Occorre accettare il fatto che Indiana Jones era stato una novità per quell’era cinematografica, ma non è che le sceneggiature fossero perfette, anzi. A pensarci già nel primo episodio, il finale dimostra che Jones era stato sostanzialmente ininfluente.

La difficile scelta della strada da percorrere

Mirando agli under 25, la componente dello spavento, anche blando horror che era sempre stata presente nei primi film, venne notevolmente ridotta. Ma se non ci spaventa, se non c’è veramente un pericolo incombente per i protagonisti, se soprattutto nel finale si strizza per forza l’occhio allo sci-fi, ecco allora che l’insieme perde identità. Eppure, pur tenendo conto di tutto questo, Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo fu fustigato ben oltre le sue responsabilità. Ha sequenze memorabili, una vena ironica, ma soprattutto autoironica, assolutamente coerente con il personaggio. Le sequenze d’azione non sono sicuramente migliori e neppure all’altezza di quelle più iconiche per innovazione, risente un po’ troppo dell’influenza del digitale, eppure funziona. Forse il vero, unico, difetto, è una rievocazione storica troppo plastificata, una fotografia troppo patinata, troppo hollywoodiana. Ma l’inseguimento nella giungla, l’esplosione dell’ordigno nucleare, l’esplorazione delle rovine e tanto altro sono pezzi di grande cinema di intrattenimento. La verità è che quello che noi abbiamo chiesto a Indiana Jones, è di essere come era una volta, ma il tempo, non ha solo invecchiato Harrison Ford, ma anche noi. Siamo legati alle sue avventure perché erano perfette per quel tempo, per quel cinema; ma oggi un film come fu Il Tempio Maledetto, sarebbe assolutamente irricevibile per ritmo, estetica e anche personaggi. Raccogliendo ciò che ci ha insegnato la saga semanticamente derivata de Il Mistero dei Templari, forse la vera speranza è che il prossimo, ultimo ballo di Indiana Jones, abbracci un maggior realismo d’insieme. Dovrà avere risorse diverse, con cui sconfiggere l’ennesimo cattivo di turno, perché renderlo immobile, sempre uguale, non funzionò 15 anni fa.