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Il processo Goldman, a Cannes un pezzo di storia francese con un thriller teso, ma forse non onesto

Pubblicato il 18 maggio 2023 di Andrea D'Addio

Pierre Goldman fu un delinquente e attivista di estrema sinistra che nel a metà degli anni ‘70 riuscì a trasformare il processo per l’accusa di doppio omicidio durante una rapina a una farmacia in un caso mediatico e politico. Reo confesso per alcuni furti, non solo mentre era in carcere scrisse un libro di estremo successo “Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia”, ma quando si trovò nuovamente davanti ai giudici si rifiutò di chiamare a testimoniare un uomo che avrebbe potuto provare il suo alibi perché voleva evitare di coinvolgerlo.

L’avvocato non lotta per la mia innocenza. Io sono innocente perché sono innocente. È ontologico”. La sua presenza in aula divenne un vero e proprio spettacolo sia per le sue continue esternazioni che per le implicazioni politiche che una sua eventuale condanna o dichiarazione di innocenza avrebbe significato: da una parte le sue origini ebraiche con tanto di padre eroe della resistenza, dall’altra il suo militantismo politico ne facevano, potenzialmente, un ottimo capro espiatorio per mostrare antisemitismo e/o il reazionarismo delle forze dell’ordine. Su questo essere “vittima di un complotto” decise di basare molti dei suoi tentativi di difesa trovando una grande parte del Paese pronta ad ascoltarlo.

Le Procès Goldman, Il processo Goldman firmato Cédric Kahn, film d’apertura della Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2023, racconta l’ultimo processo subito dall’uomo. Escludendo una sorta di prologo, un confronto tra due avvocati della difesa, l’intero film si svolge in tribunale. Khan riesce fin da subito a mostrare il suo protagonista come un uomo tutto di un pezzo e, dall’altra parte, un avvocato dell’accusa antipatico e a tratti razzista: in poco tempo siamo quindi dalla sua parte. Da lì in poi ogni dibattimento diventa un’occasione, agli occhi dello spettatore, per capire se, o meno, quanto emergerà sarà abbastanza per scagionare Goldman. Khan, da questo punto di vista, gestisce benissimo la suspense, complice anche un modo di fare i processi che in Francia, in quegli anni, viene mostrato simile a una riunione di condominio: chiunque si può alzare in piedi, interrompere e parlare. Il ritmo è concitato, l’esito incerto fino alla fine.

Dal punto di vista cinematografico si tratta di un prodotto avvincente. Peccato che, facendo qualche ricerca su quanto accadde davvero, a differenza dell’attore che lo interpreta (Arieh Worthalter) il vero Pierre Goldman davvero assomigliava a un medio orientale (dettaglio dato da vari testimoni) e che su quel giudizio finale anni dopo sorsero ben motivati dubbi.