Henry Cavill compie quarant’anni da oggetto misterioso, perlomeno per quello che riguarda il suo percorso di attore, sicuramente atipico, per molti ancora oggi non poi particolarmente consistente.
Eppure, la sensazione è quella che questo inglese, che alle elementari veniva bullizzato perché sovrappeso, oggi uno degli uomini più belli del mondo, abbia proprio nell’avvenenza il suo tallone d’Achille, che spesso ha lasciato in secondo piano la sua capacità di essere comunque credibile in ruoli non semplici.
Quelli che seguono sono i suoi 5 personaggi più importanti, in attesa del suo Warhammer, nonché di Argylle.
Non si può non partire con ciò che ha reso Henry Cavill famoso in tutto il mondo: interpretare Clark Kent, alias Kal-El, alias Superman, alias il personaggio che tutti quanti, ancora oggi, associano al ricordo di Christopher Reeve. Boccone avvelenato, che già aveva stritolato altri interpreti, su tutti i Brandon Routh, forse paradossalmente anche più adatto di lui ad interpretare il supereroe per eccellenza. Si può dire quello che si vuole nella concezione sicuramente più tormentata, forse oscura non è il termine giusto, più umanizzata e meno solare del Superman di Zack Snyder, ma non si può negare il fatto che Cavill abbia abbracciato il ruolo facendosene quasi compenetrare. Di fatto il suo allontanamento è un’enorme spada di Damocle sulla testa di James Gunn e il suo nuovo corso. Il motivo è molto semplice, Henry Cavill, a tutti gli effetti sembra Superman anche fuori dallo schermo, è armato di un sorriso e due occhi azzurri che aprirebbero qualsiasi cassaforte, ha saputo esprimere tutto quello che questo personaggio dovrebbe essere, anzi lo ha reso più empatico, meno manichino di quanto fosse stato in altre rappresentazioni.
Non si può che schiumare rabbia al pensiero che un tale capitale attoriale, un casting così giusto e perfetto, sia stato sprecato dalla Warner, lasciato ammuffire con solamente due film e una parziale apparizione nel peggior cinecomic corale della storia. L’ironia di tutto questo è che, ancora oggi, Henry Cavill per tutti è Superman . Chi prenderà il suo posto è avvisato.
Da un estremo all’altro. In Mission: Impossible – Fallout, Henry Cavill abbraccia un ruolo di villain che si rivela soltanto nel finale, in quello che rimane senza ombra di dubbio il capitolo più violento, oscuro, cupo della saga di Ethan Hunt. Armato di due baffoni che crearono non pochi problemi alle riprese di Justice League, con la famosa CGI farlocca, Cavill si muove completamente a suo agio nei panni di un individuo inquietante, chiaramente letale, un carro armato che si rivela subito incredibilmente efficiente sul campo. August Walker, il leader dell’organizzazione il Sindacato ora trasformatasi in un gruppo terroristico noto come gli Apostoli, si finge un membro della divisione attività speciali, incaricato di fare sostanzialmente da custode al protagonista, un Tom Cruise che per sconfiggerlo, dovrà dare fondo a tutta la sua abilità, il suo sprezzo del pericolo. In un’avventura serrata tra Parigi, Londra, Pakistan e India, anche grazie a lui Mission: Impossible si stacca completamente da certe atmosfere eccessivamente glamour, irrealistiche, diventa il percorso di un eroe in lotta contro il tempo. Lui è entità astuta, traditrice, incredibilmente diverso da come lo ricordavamo, in una cinematografia che sovente l’ha visto nei panni dell’eroe e di certo non in quello del cattivo. Il tutto con buona pace di chi lo ha sempre visto come un bel manichino espressivamente limitato.
Ancora spie questa volta, però in uno dei film più atipici di quel matto di Guy Ritchie. Operazione U.N.C.L.E. fa il verso alle vecchie serie di spionaggio in generale, a tutto quello universo che James Bond aveva sdoganato, liberando figli e figliocci, di fatto creando un intero genere cinematografico. Cavill, insieme ad Armie Hammer, Alicia Vikander, Elizabeth Debicki e Hugh Grant ci porta nel 1963, nel pieno della guerra fredda, in un intricato complotto tra ex scienziati nazisti, CIA, KGB. Il film abbracciava in pieno una dimensione avventurosa pulp e glamour allo stesso tempo. Nei panni di Napoleon Solo, Cavill utilizzò a piene mani uno charme volutamente eccessivo, di fatto costruendo non tanto una parodia, quanto una sorta di sberleffo affettuoso al mitico 007, al suo irreale perfezionismo di maschio Alfa definitivo.
Anche per questo, il contrasto con il Kuryakin di Hammer funziona perfettamente, sono l’uno l’immagine speculare dell’altro. Armato di una robusta dose di autoironia a metà tra tradizione British e classicità americana, Cavill funziona dal primo all’ultimo minuto, di fatto soprattutto grazie a questo film negli ultimi anni è stato sovente avvicinato proprio lui a 007. Ma questa è un’altra occasione persa dell’industria cinematografica di cui non vogliamo parlare.
Immortals è ancora oggi un oggetto misterioso e forse abbastanza sottovalutato per quello che riguarda il panorama cinematografico degli ultimi anni. Fumettone iper-violento ma non privo di una propria grazia, soprattutto coerenza, figlio illegittimo di Zack Snyder e del suo 300, Immortals mischia tantissimi elementi diversi della mitologia greca, con una struttura narrativa e anche visiva più vicina all’anime.
Con Mickey Rourke in qualità di cattivo carismatico, dannato e instancabile, vede Cavill nei panni di un improbabilissimo Teseo, che nella realtà diventa contenitore di un po’ tutti gli eroi del mito greco.
Cavill, comunque, si dimostra perfetto per il suo ruolo, anche in virtù di una fisicità che qui in particolar modo lo connetteva ai fasti che fu del peplum, del fantasy anni ’80, vista anche l’abbondanza di violenza, sangue, sesso e tutta la compagnia. Immortals è lungi dall’essere un film perfetto, ma se non altro è un film genuino, coerente, con i suoi alti e bassi, soprattutto con lui, nella realtà molto diverso dalla figura dell’eroe classico. Di fatto fa piazza pulita di ciò che era questa figura nella Hollywood di una volta, ma anche per come è stata concepita da uno sterminato numero di fumettisti. Fatto ancora più importante, fu questo il film che lo lanciò definitivamente soprattutto che gli fece assicurare il mantello dell’uomo d’acciaio, battendo una nutrita concorrenza.
Negli ultimi tempi, con tutto quello che è successo nella sua carriera, il suo non essere confermato nei panni di Superman, non ha però distolto l’attenzione dal fatto che la prossima, sarà anche l’ultima stagione in cui lo vedremo nei panni di Geralt di Rivia, in quel The Witcher che al momento ad essere onesti viaggia su alti e bassi abbastanza instabili. Questo a causa di una scrittura non particolarmente puntuale e di un’estetica a volte eccessivamente vintage. Tuttavia, non si può negare che lui si sia dimostrato assolutamente all’altezza del compito, vuoi anche per la sua natura di fan della famosissima saga videoludica. In particolare, nella seconda stagione, da tutti considerata la migliore, Cavill riesce a dipingere un personaggio torbido, moralmente ambiguo, ma capace sempre e comunque di riscattarsi, di muoversi verso la luce. Con Geralt di Rivia si muove in perfetta controtendenza rispetto a ciò che ancora oggi rappresenta per il grande pubblico: il ragazzo perfetto che ogni mamma sognerebbe per la figlia.
Qui invece è esattamente il contrario, è il cattivo ragazzo, è un Cavaliere errante in cui si uniscono le componenti immaginate suo tempo da Kurosawa, Sergio Leone, Bram Stoker. Il fatto che per divergenze artistiche abbia fine rinunciato al ruolo, è un affondo al cuore non indifferente, ma anche un una dimostrazione di quanto, in fin dei conti, stia cercando comunque di legarsi a prodotti di qualità.