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FUBAR: la recensione della serie Netflix con Arnold Schwarzenegger

Pubblicato il 25 maggio 2023 di Marco Triolo

In gergo militare americano, l’espressione “FUBAR” è un acronimo che sta per “Fucked Up Beyond All Repair”, che indica quando una situazione è “fottuta oltre ogni rimedio”, cioè quando le cose vanno malissimo, non c’è più soluzione apparente ed è meglio semplicemente ritirarsi con la coda tra le gambe. Nell’omonima serie Netflix interpretata da Arnold Schwarzenegger e Monica Barbaro, l’espressione fa riferimento probabilmente alla dinamica tra padre, il super-agente CIA Luke Brunner, e figlia, la super-agente CIA Emma Brunner, “fottuta oltre ogni rimedio” quando entrambi scoprono che l’altro/a è un agente CIA. L’espressione viene anche pronunciata, una volta sola, a fine stagione, quando le cose sembrano davvero “fottute oltre ogni rimedio” (non è uno spoiler; pensavate davvero che la serie finisse senza un cliffhanger?).

Dopo questa simpatica lezione, entriamo nel vivo: FUBAR racconta, appunto, della forzata collaborazione tra Luke ed Emma, costretti a fare squadra per catturare un pericoloso terrorista internazionale, Boro (Gabriel Luna), con cui Luke ha avuto un rapporto padre-figlio in passato. Né Luke né Emma sapevano che l’altra persona fosse un agente, lo scoprono all’inizio della stagione e questo porta a galla una catena di risentimenti, complicati ulteriormente dal rapporto ambiguo tra Luke e Boro e dalla crisi di coppia che Emma sta affrontando, e che rispecchia quella vissuta dal padre (divorziato). Riusciranno i due a superare queste divergenze e accettare se stessi e l’un l’altra per quello che sono?

Questa è la grande domanda, e il motore che fa andare avanti la serie, composta da otto episodi. Non mancano le auto-citazioni di Schwarzenegger e tutti i cliché delle serie e dei film sulla CIA, conditi però da un umorismo di bassa lega e dalla più classica delle dinamiche da famiglia disfunzionale allargata: tutti i colleghi di Luke ed Emma si vogliono bene, funzionano come una macchina ben oliata sul campo e si aiutano a vicenda nella vita di tutti i giorni. Peccato che tutto questo sia servito un po’ col pilota automatico, da un Nick Santora non all’altezza del lavoro svolto su Reacher.

I problemi sono fondamentalmente due: da un lato, la serie, che fa ampiamente il verso a True Lies, sembra scritta vent’anni fa e non sa leggere l’attuale clima politico e sociale, sfonda spesso la parete del cringe e ci sguazza inconsapevole. In True Lies (che con FUBAR condivide anche l’attore Tom Arnold), la comicità nasce dal fatto che l’agente Harry Tasker usa metodi e risorse della CIA per questioni personali. Eppure James Cameron, sceneggiatore molto intelligente, sapeva che c’erano dei confini da non superare se voleva che Harry ottenesse la simpatia del pubblico. Nel film, dunque, Harry si limita a spaventare il personaggio di Bill Paxton e, quando finalmente rapisce sua moglie, la scena è giocata in modo tale da farci sentire a disagio. In quel momento, lo spettatore sa che anche Harry ha superato un confine di troppo.

In FUBAR questa sensibilità manca totalmente. Luke e i suoi agenti fanno di tutto, usano metodi estremamente discutibili, e non solo per risolvere problemi legati alle loro indagini (uno scenario quasi giustificabile). Non stiamo parlando di uno spavento, ma di tattiche paramilitari usate per sistemare questioni famigliari. Si scade spesso nel cattivo gusto, ed è davvero strano che, in fase di scrittura, non ci sia resi conto che proporre una cosa del genere, oggi, a un pubblico internazionale che non necessariamente vede la CIA come “i buoni” (ma nemmeno gli americani lo fanno, poi!), sia fuori luogo.

Certo, se lo humour fosse all’altezza, non ci staremmo troppo a preoccupare. E qui arriviamo al secondo problema: FUBAR non approfitta della libertà concessa dalla piattaforma per andare fino in fondo, abbracciare l’assurdità della premessa e sfociare in una commedia nera che avrebbe reso tollerabili anche le cadute di stile. Se FUBAR fosse auto-consapevole, potrebbe giocare proprio con il politicamente scorretto e sfociare nel grottesco volontario. Per come stanno le cose, invece, è una serie che presenta sotto una luce positiva una galleria di personaggi con codici morali discutibili, e l’aggressività americana, la giustificazione della violenza che ne pervade la società, come un valore aggiunto.

C’è forse un terzo problema, e ha un nome e cognome: Arnold Schwarzenegger. Spiace dirlo, ma la forza di Schwarzenegger non è mai stata la parlantina. Col tempo, si è trasformato in un attore brillante, con una comprensione istintiva dei tempi comici evidente non solo nelle sue commedie, come I gemelli (apertamente citato in una scena) e Un poliziotto alle elementari, ma anche in certi suoi action, come Commando e Terminator 2. Però Schwarzenegger ha sempre funzionato meglio con le battute brevi e taglienti, mentre il suo pesante accento austriaco mal si sposa con i dialoghi lunghi che una serie TV richiede. Perché in TV si tende a parlare molto più che al cinema, le esposizioni sono di casa e spesso la parola vince sull’immagine. Luke Brunner parla moltissimo e, per quanto Santora si sia premurato di dargli un’origine austriaca nella serie, dopo un po’ sembra che Schwarzenegger faccia davvero fatica a tenere il ritmo.

FUBAR è una serie concepita con l’idea che avere una star come Schwarzenegger al centro basti, e dimentica che le serie corali funzionano bene solo quando tutti i pezzi del puzzle sono al loro posto. Al contrario, Santora si appoggia a cliché ritriti – l’agente e migliore amico di Luke, Barry (Milan Carter), è un nerd che colleziona action figures e parla solo per citazioni pop – senza riuscire a infondere una vita tutta sua alla serie, o a rendere davvero simpatici i personaggi. Anche visivamente, è evidente come la serie sia stata girata in USA nelle più classiche location generiche, camuffate da luoghi esotici. Un aspetto dovuto agli ovvi limiti di budget di una serie TV, ma che, nel caso di una storia di spionaggio che si dipana in scenari internazionali, finisce inevitabilmente per segare le gambe alla sospensione dell’incredulità, facendo assomigliare una costosa serie Netflix a un prodotto per ragazzi da network americano.

FUBAR è ora disponibile su Netflix. QUI ne potete vedere il trailer.