85 anni di Superman significa anche riabbracciare questo film, mitico, il primo vero e proprio cinecomic modernamente inteso, che dimostrò alle case di produzione che gli eroi dei fumetti potevano diventare protagonisti della narrazione sul grande e poi successivamente sul piccolo schermo. A maggior gloria di lui, Christopher Reeve, Superman torna nelle nostre sale, lo fa per tre giorni, dal 24 al 26 aprile, per cercare di onorare quella memoria, quel personaggio, quel film che ha segnato un’epoca. La domanda che però bisogna anche porsi è se Superman, da quel 1978, sia riuscito ad andare oltre il suo essere monumento, se si possa recuperare qualcosa, ora che il genere è in grandissimo affanno.
Superman quando uscì ebbe un impatto che ad oggi non è assolutamente sbagliato porre allo stesso livello di film come Guerre Stellari o Lo Squalo con cui George Lucas e Steven Spielberg avevano fatto la storia.
Perché anche Richard Donner bene o male contribuì in quegli anni ‘70 a cambiare completamente l’industria cinematografica nel profondo. Il progetto di un film su Kal-El era cominciato diversi anni prima, quando ci si era resi conto che l’America voleva ricominciare a sognare, che dopo la tragedia del Vietnam sarebbe arrivata la riscossa, una riscossa innanzitutto culturale e di conseguenza anche cinematografica.
La vecchia autorialità che aveva dominato a lungo la settima arte, venne scalzata dalle nuove generazioni, dalla New Hollywood, di cui facevano parte registi come Scorsese, Coppola, Cimino, De Palma, Altman, capaci di portare in alto la settima arte come profondità e varietà. Però c’erano anche quelli come Donner, che arrivarono nel momento giusto, quando l’America voleva ripartire, aveva bisogno di eroi, di credere di nuovo in sé stessa. Superman fu la risposta, così come lo era stato Rocky Balboa. Un eroe nel senso classico. Certo non fu facile, l’iter produttivo di Superman fu complicato soprattutto perché Ilya Salkind si dimostrò un produttore tirannico, tanto che lo script alla fine arrivò a passare attraverso ben cinque autori diversi. Alla fine, quella vincente fu quella di Tom Mankiewicz, per volere di Donner, divenuto infine il deus ex machina creativo del film, che arrivò a costare 55 milioni di dollari. Era una cifra assolutamente folle per l’epoca secondo molti. Di fatto non furono poche le voci che lo indicarono come un possibile flop senza precedenti.
I detrattori però non si erano accorti che il mercato era cambiato, soprattutto le nuove generazioni, più giovani, chiedevano qualcosa di più, quella fantasia che lo stesso George Lucas stava creando e per la quale dovette rinunciare alla regia proprio di Superman, così come fece lo stesso Spielberg.
Il triangolo edificato da questo momento cinematografico avrebbe infine spinto in alto, oltre alla stratosfera lui, Christopher Reeve, attore all’epoca totalmente sconosciuto, che aveva all’attivo solo qualche partecipazione televisiva ma che sarebbe diventato ciò che è ancora oggi: l’uomo d’acciaio per eccellenza. Gene Hackam, Ned Beatty, Margot Kidder, Glenn Ford e Phyllis Thaxter completarono il cast di un film che abbracciava il fantasy, ma parlava anche della problematicità della figura paterna, grazie al breve ma leggendariamente costoso contributo di Marlon Brando. La straordinaria colonna sonora di John Williams ancora oggi ci distrae dal fatto più importante: quel Superman era in realtà un racconto verosimile, al netto del suo connettersi al meglio della mitologia, sia greca sia soprattutto cristiana.
Avevamo un eroe lungi dall’essere freddo o scostante, ma che si considerava un ragazzo alla ricerca della sua strada, un protettore per necessità e dovere. Nulla però sarebbe stato possibile senza degli effetti speciali, per l’epoca ritenuti grandiosi, con il perenne blue screen e la genialità di Derek Meddings che aggirò il problema della credibilità. Da ricordare anche le bellissime scenografie di John Berry, Norman Reynolds e Peter Howitt, perché quando si parla della potenza di questo film, si parla soprattutto di un racconto esaltante dal punto di vista visivo. Superman anche per questo rimane la realizzazione del concetto di superuomo per eccellenza, per quanto connesso all’empatia e al sogno universale di elevarsi.
Superman ha avuto lo straordinario merito di far comprendere come il cinecomic fosse un blockbuster diverso da tutti gli altri. Non si può in effetti negare, sarebbe folle farlo, come l’universo dei fumetti nell’ultimo secolo sia diventato di base un totem culturale imprescindibile, monumentale nella sua potenza e capacità di penetrazione. Ma trasportarlo sul grande schermo, significò soprattutto una nuova concezione di narrazione generalista, in cui l’umorismo e la drammaticità andassero di pari passo. In Superman la meraviglia andava di pari passo con la metafora della paura dello scontro nucleare, era un film di formazione e di avventura, ma anche di perdita e del classico cammino dell’eroe.
Un eroe che più americano di così non si poteva concepire. Tutti questi elementi però si fusero col giusto equilibrio e la perfetta armonia. Trionfo della pop culture che mutava radicalmente proprio in quegli anni, anticipatore del trionfalismo reaganiano, ma senza esserne contaminato, Superman rimane una pietra miliare della settima arte. Lo è soprattutto per la sua eredità, non solamente definita nella sfortunata figura di Christopher Reeve, in realtà attore incredibilmente sottovalutato e forse limitato da quel ruolo. Superman ha permesso ad un intero genere cinematografico di nascere, camminare con le proprie gambe negli anni ’80, di sopportare qualche fallimento negli anni ‘90, infine di esplodere nel XXI secolo.
Eppure, la realtà è che la cura dell’insieme, la potenza della sua semantica, i sentimenti che sa ancora oggi risvegliare, andrebbero presi ad esempio, dalla Marvel, dalla DC, convinte che la sua immortalità sia stata legata al budget e non piuttosto al suprema fedeltà degli ideali che Kal-El ancora oggi rappresenta per tutti noi.