Michelle Pfeiffer compie 65 anni. Lo fa forte di un’identità assolutamente unica, in un certo senso difficilmente confondibile con quella delle altre sue colleghe, anche all’interno della sua generazione, quella che bene o male attraverso l’epoca della New Hollywood, connettendosi alla nuova narrazione mainstream, quella degli anni ‘80 e soprattutto ‘90. Eppure, tra i tanti personaggi iconici che ha interpretato, è fuor di dubbio che ancora oggi sia fissa nell’immaginario collettivo grazie a lei, a Catwoman.
Non esiste con ogni probabilità un personaggio femminile all’interno del mondo dei fumetti talmente iconico come lei, la ladra più affascinante dell’universo della DC Comics, creata nel 1940 da Bill Finger e Bob Kane, capace nel giro di pochissimo tempo di diventare qualcosa di unico, a livello di innovazione e di caratterizzazione. Non è assolutamente esagerato sostenere che la donna gatto di Gotham City abbia rappresentato un passo in avanti incredibile in termini di rappresentazione e contenuti, per ciò che riguarda l’immagine della donna, la sua stessa concezione all’interno del pubblico, ma più in generale volendo anche della società americana. Il suo rapporto con il Cavaliere Oscuro di Gotham è sempre stato a metà tra rivalità, attrazione reciproca e una volontà comune di rinnegare il proprio percorso. In un certo senso l’uno e l’altra sono una sorta di tentazione reciproca. Sono sostanzialmente identici, due individui assolutamente solitari, diversi dalla norma, esclusi dalla società e coscienti di non potersi veramente legare a nessuno. Eppure, allo stesso tempo, sono incapaci di non farlo. Nel 1966 era stata Lee Ann Meriwether ad interpretarla sul grande schermo. Nella serie televisiva toccò però anche a Eartha Kitt, un casting che segnò anche un grande punto di svolta a livello di inclusività per l’epoca. Ma con buona pace della pur affascinante Anne Hathaway, di Zoe Kravitz, di Camren Bicondova, Halle Barry, solo lei, Michelle Pfeiffer, è stata capace di diventare tutt’uno con questo personaggio, a dispetto di caratteristiche alquanto singolari.
Batman – il ritorno, uscito nel 1992, vide Tim Burton coadiuvato da Daniel Waters alla scrittura, che fece qualcosa di sensazionale nel creare una metamorfosi assolutamente in linea con il decennio che si era appena concluso. Selina Kyle venne rappresentata inizialmente come una donna infelice, timida, insicura e soprattutto vittima di mobbing e sfruttamento a causa del proprio capo, il malvagio Max Shreck. Quest’ultimo la ucciderà per paura che posso rivelare i suoi segreti oscuri, ma la donna verrà sostanzialmente resuscitata da un branco di gatti, cambiando totalmente personalità. La Selina priva di autostima, dimessa e che tirava letteralmente a campare, diventa un animale notturno, dominante, ingannevole e che ama stregare gli uomini con un sex appeal semplicemente tirannico. Ma oltre a questo, la Catwoman di Michelle Pfeiffer è un’eccezionale guerriera, così come uno spirito del caos imprevedibile, audace lungi però dall’essere completamente da una parte o dall’altra. Si può dire che raccolga in un certo senso la componente caotica del defunto Joker, salvo poi muoversi verso una spirale di vendetta, che la rende simbolo di una riscossa femminile verso lui, Max Shreck. Proprio tale rivalità, permise a Michelle Pfeiffer di abbracciare una componente di rappresentazione sociale e culturale per nulla da sottovalutare. Quel secondo film per molti fu soprattutto più un film su di lei, che su il Cavaliere Oscuro, a cui comunque Michael Keaton continuava a donare un carisma incredibile.
Tim Burton ha sempre amato i diversi dalla norma, i maledetti, le creature della notte, magari a metà tra questo mondo e quell’altro. Il gatto da secoli è uno dei simboli del diavolo e Catwoman non è da meno. La Pfeiffer donò anche una disperazione notevole al personaggio, ma la stessa scena della sua genesi potrebbe essere tranquillamente paragonata a quella di una possessione demoniaca. Quel demone è un demone felino, quindi impudente, intrattabile, imprevedibile, capace di slanci di tenerezza così come di una grandissima ferocia. Michelle Pfeiffer era già considerata una delle donne più belle del mondo, con il suo fisico snello, l’ovale perfetto, due occhi da gatta incredibili. Era un concentrato di classe, eleganza con cui si riprendeva il fascino delle dive di un tempo, calato però in una dimensione molto moderna, che lei ha sempre abbracciato nei suoi ruoli. In nessuno come in questo, perché la sua Catwoman, è anche la riscossa delle donne che negli anni ’80, un po’ come il suo personaggio, erano succubi della cultura machista e yuppie. Cinematograficamente erano suppellettili, corpi senza nome, facilmente rimpiazzabili, ad uso e consumo del maschio di turno. Questa Catwoman in quel 1992 invece sovvertì lo storytelling, si mosse con fare rabbioso ma pienamente giustificato, per rifarsi su un Christopher Walken che era emulo dei vari Rockefeller o Trump, del patriarcato capitalista. Sarà molto difficile, anzi probabilmente impossibile, per tutta questa serie di motivi, che qualcuna riesca a sostituire Michelle Pfeiffer nella sua iconicità. Ma questo, infine, è un privilegio che sappiamo spettare solo a pochissime attrici, quelle capaci di arrivare al momento giusto con il personaggio giusto.