Guardiani della Galassia: Vol. 3, la recensione

Guardiani della Galassia: Vol. 3, la recensione

Di Lorenzo Pedrazzi
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Se dovessimo trovare un tema dominante fra i blockbuster degli anni Duemila – per non dire in tutta la cultura popolare – sarebbe certamente quello della famiglia non convenzionale, scelta di propria volontà e non ereditata per linea di sangue. D’altra parte, viviamo nell’epoca della solitudine universale: già dieci anni fa, ben prima del Covid, i sondaggi evidenziavano il problema in larga parte della popolazione, mettendo in luce un isolamento sociale dovuto alla progressiva scomparsa dei luoghi di aggregazione, alla virtualizzazione dei rapporti, all’abbandono dei nuclei d’origine per cercare fortuna altrove. È dunque inevitabile che la tendenza si rifletta anche nei prodotti dell’industria culturale, dove spesso gli eroi restano soli, perdono la famiglia e ne cercano un’altra lungo il cammino.

I Guardiani della Galassia corrispondono in pieno a questa descrizione. Se i Fantastici 4 sono la prima famiglia dei fumetti Marvel, i Guardiani possono vantare questo primato nell’universo cinematografico, ben più degli Avengers (che per diventare un surrogato di famiglia ci hanno messo più tempo, e sono anche molto più instabili nei loro singoli componenti). Disfunzionali e disomogenei, traumatizzati e fallibili, Star-Lord e compagni si sono stretti in un abbraccio che li protegge dal gelo dello spazio profondo, trovando gli uni negli altri la soluzione alle rispettive solitudini. Guardiani della Galassia: Vol. 3 è però il film in cui i nodi vengono al pettine, chiudendo un arco narrativo che sa anche di nuovo inizio, come sempre in questi casi, perché nell’universo marvelliano niente ha mai davvero una fine.

Rivelare la trama non sarebbe corretto, e servirebbe solo a rovinarvi l’esperienza di visione. Sappiate solo che Peter Quill (Chris Pratt), Groot (Vin Diesel), Rocket (Bradley Cooper), Nebula (Karen Gillan), Mantis (Pom Klementieff), Kraglin (Sean Gunn), Drax (Dave Bautista) e Cosmo (Maria Bakalova) hanno fatto di Knowhere la loro base, come abbiamo visto nello speciale natalizio. Peter soffre per la partenza di Gamora (Zoe Saldaña), che proviene da un passato in cui non ha ancora conosciuto i Guardiani, e quindi non si ricorda nemmeno di lui; in compenso, è diventata la leader dei Ravager. A caccia dei nostri eroi c’è Adam Warlock (Will Poulter), il paladino dei Sovereign, ma ulteriori guai arrivano dal potente Alto Evoluzionario (Chukwudi Iwuji), folle genetista che ritiene di poter migliorare gli esseri viventi per costituire una società perfetta. È stato lui ad aver “creato” Rocket, e questa nuova avventura porta i Guardiani a esplorare il tragico passato del loro amico.

Guardiani della Galassia: Vol. 3

Sarebbe stato davvero ingiusto non permettere a James Gunn di finire la trilogia, e non solo per l’assurdità del suo momentaneo licenziamento. Questi personaggi, pur essendo tratti dai fumetti, appartengono in gran parte a lui: è stato Gunn a renderli popolari, a rileggerli secondo la sua sensibilità e il suo umorismo, a dar loro un cuore che batte all’unisono. E, con il passare degli anni, ci accorgiamo che contano qualcosa anche per noi. Fra innumerevoli blockbuster che ci desensibilizzano con il loro chiasso, affollati di personaggi che ci lasciano indifferenti, ai Guardiani della Galassia scopriamo di esserci affezionati. Lo capiamo soprattutto qui: Guardiani della Galassia: Vol. 3 prende molto sul serio i pericoli corsi dai protagonisti, e il memento mori è sempre dietro l’angolo. Abbiamo realmente paura che capiti loro qualcosa, molto più che nelle altre produzioni del Marvel Cinematic Universe.

Ovviamente il film capitalizza sulle precedenti apparizioni dei Guardiani, ma al contempo approfondisce quella vena malinconica che è sempre esistita nelle loro avventure, imponendosi come l’episodio più drammatico della saga (quantomeno nei toni). Gunn conferma di saper alternare il registro comico e quello sentimentale, come fa sin dai tempi di Super, eppure qui la posta in gioco si alza. Sarà che affronta il tema delle violenze sugli animali, molto delicato e vicino al suo cuore: gli esperimenti dell’Alto Evoluzionario non sono altro che la trasposizione fantascientifica di quanto accade sulla Terra, secondo una mentalità antropocentrica che viene messa sempre più in discussione. In fondo, lo stesso Alto Evoluzionario è un estremista dell’antropocentrismo che considera l’ingegno umano – o comunque l’autocoscienza intelligente – come unica forma di vita accettabile, mentre le altre sono un mero balbettio evolutivo.

Guardiani della Galassia: Vol. 3

Non a caso, il suo scopo è “prendere le note stonate e trasformarle in sinfonia”, fedele a una concezione specista dell’universo. Guardiani della Galassia: Vol. 3 è però uno dei blockbuster più animalisti e antispecisti mai realizzati, e combatte quelle idee con tutta l’energia dirompente di James Gunn. Ci strazia il cuore quando racconta il passato di Rocket, ci fa detestare la tracotanza dell’Alto Evoluzionario (uno degli antagonisti più odiosi dell’MCU), ma ci strappa anche le consuete risate con il suo umorismo goliardico e paradossale: forse non più fresco come nel primo film, ma ancora godibile. L’impressione è che il cinema di Gunn funzioni meglio quando è costretto a frenarsi, limando quegli eccessi che in The Suicide Squad – dove gli è stato permesso di fare tutto ciò che voleva – alla lunga risultavano nauseanti, se non deprecabili.

Mantenendo il controllo sui suoi slanci parossistici, il regista evita di sfiancare lo spettatore, e riesce a concentrarsi meglio sui personaggi. La sua sceneggiatura, in effetti, ha il merito di portare in superficie i conflitti repressi tra i protagonisti, che spesso si rimpallano accuse reciproche come accade in famiglia: gli screzi sono sempre in agguato, e i traumi riaffiorano a galla in un battito di ciglia. Tra le apparizioni dei Guardiani, il terzo capitolo è certamente quello che più di ogni altro pone al centro i trascorsi drammatici degli eroi, facendo coincidere l’avventura spaziale con l’elaborazione del lutto. Accadeva qualcosa di simile anche nei primi due film, ma Star-Lord era l’unico a beneficiarne; stavolta, invece, quasi tutti i membri dei Guardiani hanno pari dignità, e il copione è abile a tenere insieme i pezzi, nonostante i personaggi siano parecchi. Persino l’integrazione di Adam Warlock – che rischiava di diventare un corpo estraneo dopo anni di attese – si dimostra coerente con la trama, e Will Poulter ripaga la fiducia di Gunn grazie alla peculiare caratterizzazione fanciullesca dell’eroe (senza nemmeno provare a replicare la solennità di Warlock nei fumetti: è proprio un’altra cosa).

È innegabile che la cura sia maggiore rispetto ad altri film delle Fasi 4 e 5, sia nella scrittura sia nella tecnica. Qui la CGI non sbanda, nemmeno quando gli spettacolari piani sequenza digitali rendono molto complessa l’intera messa in scena, o quando abbondano i green screen. Che poi, non è proprio questa la cura che James Gunn intende portare alla Distinta Concorrenza? Mentre i suoi amati eroi volano “nei cieli infiniti e meravigliosi”, anche lui saluta la Marvel per vivere nuove mirabolanti avventure, dopo aver reso iconico un gruppo di diseredati su cui nessuno avrebbe scommesso, fan compresi. Ci lascia però una ricca eredità di lacrime, risate e ottima musica (anche qui c’è la solita compilation di pezzi vintage mai banali), insieme a un blockbuster di cui c’importa finalmente qualcosa.

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