Mentre lo spettro del lungoterminismo si aggira per l’Occidente, migliaia di persone in tutto il mondo dimostrano una coscienza civile che la Silicon Valley non ha mai avuto. Bigger Than Us, documentario di Flore Vasseur che sarà disponibile nelle sale italiane dal 22 al 26 aprile, racconta le storie di alcuni di loro: sette ragazze e ragazzi che affrontano situazioni critiche in altrettanti paesi, e lavorano per proporre soluzioni concrete, immediate, ben lontane da qualunque follia utopista.
Ad accompagnarci in questo viaggio è Melati Wijsen, diciottenne indonesiana che combatte l’inquinamento da plastica, ed è riuscita a ottenere il divieto della distribuzione di sacchetti, involucri e cannucce di plastica sull’isola di Bali, dov’è nata. Melati fa visita ad altre sei persone in giro per il globo, dando voce alle loro battaglie. Mary Finn, ventiduenne inglese, collabora con le operazioni di salvataggio dei migranti sulle coste di Grecia e Turchia. Mohamad Al Jounde, diciottenne siriano, ha costruito una scuola per i bambini di un campo profughi in Libano, dove lui stesso ha trascorso l’adolescenza. Memory Banda, ventiduenne malawiana, si è opposta agli stupri istituzionalizzati delle bambine nei campi di iniziazione, facendo alzare l’età minima per sposarsi da 15 a 18 anni, e promuovendo l’educazione scolastica femminile. Rene Silva, venticinquenne brasiliano, ha fondato il giornale Voz das Comunidades, che racconta storie di ineguaglianza, razzismo e resilienza dalla sua favela, organizzando inoltre eventi per i bambini e le loro famiglie. Xiuhtezcatl Martinez, diciannovenne statunitense, sfida la pratica del fracking in Colorado, ed è riuscito a imporre sia un bando all’uso di pesticidi nei parchi per bambini sia una moratoria sulla produzione del gas di scisto. Winnie Tushabe, venticinquenne ugandese, ha lanciato YICE, iniziativa che insegna ai rifugiati stranieri le basi della permacoltura, utili per sopravvivere in terre devastate dai pesticidi.
Le loro storie toccano gli aspetti più sensibili del nostro tempo, dalla salvaguardia dell’ambiente all’immigrazione, passando per la lotta alla violenza patriarcale, la libertà di parola, le disuguaglianze sociali e la resistenza dal basso. Flore Vasseur fa bene a sparire dietro la macchina da presa, lasciando che sia Melati a guidarci fra le storie dei suoi coetanei: laddove Bigger Than Us celebra l’attivismo della Generazione Z, contraddicendo gli stereotipi reazionari che la dipingono come apatica, egocentrica e disconnessa dalla realtà, la presenza della cineasta avrebbe invece forzato un punto di vista esterno, a forte rischio di paternalismo. Vasseur si concentra invece sulle parole e sui volti degli attivisti, e li alterna alle riprese panoramiche con i droni per stabilire un dialogo fra i singoli e il contesto.
Il suo limite, se mai, è di propinarci alcune scene troppo “costruite” (e un po’ stucchevoli), come quelle in cui Melati e Memory camminano in bilico sui binari: il documentario non ne ha bisogno, nemmeno per i suoi fini palesemente didattici. Già così, Bigger Than Us riesce a trasmettere la rabbia di una generazione che si sente inascoltata, e per questo decide di rimboccarsi le maniche e agire in prima persona. Pur non essendo un tema affrontato direttamente dal film, è chiaro che stiamo chiedendo troppo ai singoli individui. Non è sulle loro spalle che dovrebbero posare certe battaglie, o almeno non per intero: le storie narrate qui dimostrano ancora una volta la totale assenza delle istituzioni, e la necessità (indegna di un mondo civile) di affidarsi a singoli atti di eroismo per tutelare il pianeta e chi lo abita.
Mentre i deliri lungoterministi blaterano di pericoli fantascientifici e lontane generazioni da preservare – il tutto a scapito del “qui e ora” – moltissimi giovani hanno capito che possono contare soltanto su loro stessi per garantirsi un futuro. Il potere li ignora, ma in compenso si affida alle nuove sette dell’innovazione (più supposta che reale) per dare ascolto ad assurdi timori apocalittici. Di contro, le attiviste e gli attivisti di Bigger Than Us ci ricordano che siamo tutti connessi, non solo fra di noi, ma con l’ecosistema in cui viviamo. Le loro imprese sottolineano i limiti morali e amministrativi di un “sistema” che ha ormai rinunciato a perseguire il bene comune, pur continuando a illudersi di essere il migliore possibile.