Ben Affleck e Matt Damon non sono un duo, eppure lo sono, non hanno fatto tantissimi film assieme, eppure tutti ce li ricordiamo. Non sono più giovani, eppure pare sempre che lo siano anche ora, alla soglia dei cinquant’anni. Con questo nuovo film, Air – La Storia del Grande Salto, sulla nascita delle scarpe più famose della storia, su quel contratto con Michael Jordan che ha cambiato completamente la storia del capitalismo moderno, conquistano un altro punto. La verità è che i due che erano amici, che poi non furono più tanto amici, poi si sono riappacificati, hanno fatto nel loro piccolo una fetta di storia di cinema di questi trent’anni per nulla trascurabile.
Matt Damon tra i due è sempre stato quello più precoce, dotato chiaramente di un talento recitativo superiore, una maggiore adattabilità, vuoi anche per una fisicità meno straripante, per quella faccia da falso bravo ragazzo che lo ha reso sempre perfetto. Damon è stato sia un simbolo di perfezione manichea e gelida, sia di ribellione al sistema e di perfidia. Sa essere l’uomo comune e l’eccezione in egual misura.
Ben Affleck invece, paradossalmente penalizzato da un fisico alla Rock Hudson, da quel sorriso da idolo per le ragazzine, da un carisma attoriale che è sbocciato negli anni, ha avuto un percorso più difficile, più irregolare. È stato indicato ad un certo punto come un belloccio inutile, di quelli che fanno successo, un sacco di soldi, ma che sono nel profondo disprezzati dagli addetti ai lavori.
L’inizio li ha visti condividere lo schermo con un altro di quelli che poteva avere una carriera migliore per talento e capacità: il Brendan Fraser recentemente resuscitato da The Whale. Erano in Scuola d’Onore, film di formazione che strizzava l’occhio un po’ a L’Attimo Fuggente e un po’ a Shakespeare. Lì Damon era un giovane rampollo di una famiglia altolocata dell’America degli anni ‘50, pavido, insicuro, traditore e opportunista. Fraser invece era un talentuoso e carismatico ragazzo d’oro di origine ebraica, suo malgrado costretto a difendersi dall’accusa di aver copiato durante un esame. Nel suo genere è un buon film, con Ben Affleck in un ruolo di supporto, al fianco del comune amico Cole Hauser. Qualcosa che in fin dei conti poi sarebbe continuato anche con il film che ha lanciato entrambi verso il firmamento: Will Hunting – Genio ribelle (Good Will Hunting).
Pensavano di farne un film drammatico, un thriller, quando proposero la sceneggiatura scritta da entrambi però gli fu data un’indicazione fondamentale: fatene invece un film di formazione, parlate di un ragazzo pieno di talento, ispiratevi a quel matematico indiano, morto in povertà, incompreso, ma capace di cambiare il mondo. Will Hunting – Genio ribelle arriva dopo Chasing Amy, altra prova dell’amore per l’indie di entrambi. Viene nobilitato da una presenza di Robin Williams ancora oggi leggendaria, di fatto è miglior film di formazione degli ultimi trent’anni, nonché uno schiaffone all’american dream, al consumismo, all’arrivismo. Matt Damon fa quello che gli riesce meglio: mette una maschera su un’altra, ci dona il ribelle per eccellenza, un’interpretazione magistrale, straordinaria, al fianco di un Robin Williams che finalmente abbraccerà l’Oscar che meritava tanto. Ben Affleck però, benché in un ruolo di supporto, lascia il segno. Lascia questa Boston, dice a Will, lascia noi che siamo dei falliti, faremo i muratori tutta la vita, saremo sempre lì nella stessa storia, stesso bar, tu invece devi andare da un’altra parte. In quel dialogo nel cantiere c’è forse il punto più sottovalutato di quel film, dopo il quale la collaborazione tra i due diventa strana, atipica. Ben Affleck va a fare i kolossal che incassano tanto e ricevono sberleffi dalla critica, Matt Damon invece passa da un genere all’altro con grande consenso. Ma entrambi sono legati a Kevin Smith, al suo strano universo. Li troviamo in quel cult che fu Dogma, in Jay & Silent Bob… Fermate Hollywood! e Jay e Silent Bob – Ritorno a Hollywood. Come in Duetto a Tre, pare quasi si divertano a distruggere la loro identità di stelle, a rifugiarsi in un’amicizia artistica che è irriverenza, comicità, il percularsi a vicenda con stile.
Intanto però Affleck dimostra che magari non è Marlon Brando di fronte alla macchina da presa, ma in compenso è un regista della sensibilità pazzesca. Gone Baby Gone, The Town, l’Oscar per Argo, La Legge della Notte. Matt Damon è un attore della Hollywood più originale, lavora con Scott, Mangold, Nolan, Soderbergh, Greengrass, Gilliam. Le strade sono diverse ma solo apparentemente, collaborano in diverse produzioni cinematografiche, discutono di progetti, ma alla fine ci vuole Ridley Scott per farli tornare assieme. The Last Duel è uno dei migliori film storici di questo XXI secolo nonché il simbolo di quanto il pubblico oggi non capisca assolutamente niente, dato il gravissimo insuccesso al box Office.
Ben Affleck è una specie di nobile pappone e dispotico, Damon uno dei ritratti più realistici di cosa era un uomo d’arme del medioevo: orgoglioso, cocciuto, insensibile e brutale. Film straordinario, due interpretazioni robuste, ma soprattutto un’altra grande sceneggiatura scritta assieme. Affleck si dibatte in una vita privata complicata, tra relazioni naufragate, alcool, dipendenza dal gioco. Damon è più regolare, non potrebbe essere altrimenti. Come farli incontrare? Semplice, con questo nuovo film, che già vi possiamo tranquillamente anticipare sarà un titolo molto forte ai prossimi premi Oscar.
Questo data la forza semantica del numero 23 di Chicago, una grandissima interpretazione da parte di Matt Damon ma anche di lui, di Ben Affleck nei panni del CEO della Nike. Regia, sceneggiatura, film, Viola Davis pure sono in ballo. Di certo un’altra prova di come assieme siano stati la nuova strana coppia, abbiano lasciato un segno assieme. L’alto e il basso, quello sottovalutato e quello che forse è stato un po’ sopravvalutato perché non aveva concorrenti. L’unico rammarico è che in realtà abbiano fatto così poco assieme, avendo così tanto da donare.
Air – La Storia del Grande Salto arriverà nelle sale italiane il 6 aprile.