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The Last of Us – Episodio 8: Sintesi. Molta sintesi. Pure troppa. La recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 07 marzo 2023 di Roberto Recchioni

Ci sono due tipi di spettatore di The Last of Us nel mondo: quelli che non hanno giocato e completato il videogame, e quelli che lo hanno fatto.

I primi sono i più fortunati, non tanto perché non si sono rovinati la sorpresa di scoprire una storia eccezionale, quanto perché camminano verso l’orrore, l’angoscia e la morte con l’animo graziato dal dono della non conoscenza, dell’inconsapevolezza.
I secondi, invece, quelli che sanno sempre quale mostro li aspetta dietro l’angolo, avanzano nella narrazione concepita da Mazin e Druckmann con passo pesante, ben consapevoli che per quanto sia stato duro il colpo che hanno appena ricevuto, quello che ancora dovranno ricevere sarà molto peggio.

Se vogliamo rifarci al pastore errante dell’Asia di Leopardi, chi guarda la serie senza aver giocato al gioco è la pecora, inconsapevole della mostruosità del mondo. Chi, invece, la guarda avendolo giocato (e finito), è il pastore, ben conscio della miseria della sua esistenza nel grande schema delle cose.

Io appartengo alla seconda categoria: sono un giocatore e The Last of Us l’ho giocato e completato tre volte, quindi ho iniziato a guardare la serie HBO ben consapevole di tutti i colpi bassi che sarebbero arrivati (ma Mazin e Druckmann hanno comunque trovato in modo di assestarmene di nuovi), e uno di quelli che mi faceva più paura era di sicuro il racconto di David e della sua comunità, che occupa tutto questo ottavo episodio della serie. E posso dire che, per molti versi, le cose sono andate anche peggio di quanto temessi perché la penultima puntata della serie televisiva di The Last of Us non si tira indietro rispetto agli eventi raccontati nel videogame, ma, anzi, per molti versi li amplifica, lo fa in una maniera controintuitiva e invece di calcare ulteriormente la mano sugli aspetti gore della storia, invece di sottolineare ancora di più la mostruosità di quelli con cui Ellie e Joel finiscono per avere a che fare, fa l’esatto opposto e li banalizza, rendendoli mille volte più spaventosi. Così, se David nel videogame ha la faccia di uno da cui non ti aspetteresti nulla di buono, nella serie, invece, trova il volto del bravissimo Scott Shepherd, uno che ha l’aspetto di quel vicino gentile che ti presta lo zucchero quando lo hai finito. E che dire dei suoi compagni? Gente qualsiasi, rosa dal dubbio, dalla paura e, naturalmente, dalla fame. Non mostri ma essere umani e, per questo, ancora più mostruosi in quello che fanno. L’espediente funziona benissimo e riesce a dare nuovo smalto a una parte della trama che avevamo visto nel videogame che forse era la più canonica e la più referente a opere già ben conosciute dal pubblico (inutile che vi citi, per l’ennesima volta, La strada di Cormac McCarthy, vero?). Insomma, un altro centro per Mazin e Druckmann, coadiuvati in questo caso da quel grande regista che è Ali Abbasi (avete visto Border e Holy Spider? Dovreste).

Però, per quello che mi riguarda, non un centro pieno.

Perché questa volta, in questo episodio (e, ve lo anticipo, un poco anche nel prossimo e ultimo), le necessità di sintesi rispetto al materiale originale si fanno un poco sentire.

Ora, non sono uno di quelli che dice che nella serie ci vorrebbero più infetti perché gli infetti non sono il centro della narrazione di The Last of Us. Rappresentano, piuttosto un fenomeno naturale avverso, come la pioggia o un tornado, con cui i personaggi devono fare i conti mentre portano avanti il loro viaggio, fisico e psicologico. Quindi, non rimpiango particolarmente l’assenza delle due scene d’azione che li vedevano protagonisti in questa porzione del videogame. Come, del resto, non sento nemmeno troppo la mancanza della sequenza in cui Joel fa un massacro per raggiungere Ellie: quello che era importante vedere di Joel, in questo segmento della storia, lo abbiamo visto: la sua brutale spietatezza nel condurre l’interrogatorio. Però, a differenza di altri momenti d’azione presenti nel videogioco ma eliminati (perché non necessari) dalla serie televisiva, in questo caso credo che qualcosa si sia, come dire, perso nella traduzione.
E parlo della gravità e del peso di quelle azioni. L’avvicinamento di Joel alla comunità di David non era solo un momento ludico molto felice e visivamente riuscitissimo, ma anche un attimo in cui potevamo sentire sulla nostra pelle l’ostinata e cieca determinazione dell’uomo ad andare avanti, nonostante le sue condizioni fisiche e a scapito di chiunque gli si fosse parato davanti. Nel gioco, in questa fase, Joel fa un vero e proprio massacro e quel massacro pesa sulle spalle di chi è costretto a guidarne le azioni. Questo elemento, nell’ottava puntata di The Last of Us, non c’è. E io lo capisco che non c’è per non creare un effetto di ridondanza con altre cose che verranno, per non avere, insomma, due momenti speculari in due puntate consecutive. Però, nonostante io capisca, credo che togliere questo momento abbia indebolito la forza della narrazione. Come penso che l’aver tagliato corto sul tempo che Ellie passa con David prima che le cose precipitino (e quindi il non averceli mostrati mentre lottano spalla a spalla contro gli infetti), abbia reso meno interessante il rapporto tra i due. Certo, il tempo risparmiato ha permesso a Mazin e Druckman di mostrarci l’insegnante fattosi predicatore nella sua comunità, approfondendone parecchio la psicologia e gli aspetti più sinistramente inquietanti della sua personalità, ma nulla mi toglie di mente che, se a questa porzione della trama fossero stati dedicati due episodi invece che uno, tutto avrebbe avuto il suo spazio e il suo peso e le cose sarebbero filate ancora meglio del già ottimo risultato ottenuto.
Comunque sia, sul discorso saremo costretti a tornarci anche con il prossimo episodio, quindi taglio corto e confermo che, anche questa settimana, The Last of Us è la migliore cosa da vedere in televisione e che, se non state seguendo questa serie, vi meritate The Walking Dead.

The Last of Us è disponibile in Italia su Sky e in streaming solo su NOW, in contemporanea con gli USA.

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