In Scream 6, il personaggio di Samara Weaving dice di essere una professoressa associata di cinema alla Blackmore University, dove tiene un corso sugli horror del XXI secolo «a un gruppo di adolescenti col dopo sbornia». Sin dal primo capitolo della saga – e soprattutto nel secondo, che già si svolgeva in un college – Scream ha sempre cercato una legittimazione “accademica” del genere horror, ma senza attingere ai veri studi universitari sulla materia: piuttosto, la creatura di Wes Craven e Kevin Williamson ha elevato i discorsi dei geek più accaniti al rango di riflessioni socio-antropologiche, dando voce a una sottocultura che non si era mai potuta esprimere nei circuiti mainstream. Accade quindi che anche il sesto capitolo («il sequel del requel», come lo definisce Mindy) si trovi a dover fare i conti con il ruolo giocato dall’horror nel nostro immaginario collettivo, trovando quell’equilibrio fra tradizione e innovazione che permette di tenere in vita una saga quasi trentennale.
Una volta accettato che qualunque nuovo film sia ormai una forma glorificata di fanfiction, i registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett possono dedicarsi al passo successivo: la definitiva evoluzione del franchise in una catena di episodi correlati, dove i legami tra i singoli capitoli sono più forti che in passato, e nessun personaggio è realmente al sicuro (nemmeno quelli storici). Il sangue delle vittime illustri serve a oliare gli ingranaggi della saga stessa, che altrimenti smetterebbero di girare. In questa tendenza al rilancio, i cosiddetti legacy characters non sono più indispensabili, come dimostra l’assenza indolore di Neve Campbell: la saga ha vita propria, e i protagonisti sono solo passeggeri.
Ovviamente, però, Scream 6 ripropone i superstiti del massacro precedente. Tara (Jenna Ortega) si è trasferita a New York City insieme a Chad (Mason Gooding) e Mindy (Jasmin Savoy Brown), accompagnata da sua sorella Sam (Melissa Barrera). Mentre Tara studia alla Blackmore, Sam tira avanti facendo due lavori, e segue delle sedute di psicoterapia per esorcizzare i suoi demoni: anche se le visioni del padre Billy Loomis (Skeet Ulrich) non la perseguitano più, la ragazza è infatti spaventata dalle sensazioni che provò nell’uccidere Richie, l’ultimo Ghostface. Quando una nuova incarnazione dell’assassino comincia a darle la caccia, tutti quelli che le stanno attorno sono in grave pericolo.
L’intenzione di rinnovare la formula è evidente soprattutto nel prologo. Senza rivelare nulla di specifico, vi basti sapere che stavolta l’incipit riesce davvero a spiazzare, poiché gioca sul ribaltamento di prospettiva: ragionando in termini metanarrativi, è come se la sceneggiatura di James Vanderbilt e Guy Busick scongiurasse il pericolo di un brutto sequel per darcene uno migliore. In seguito ci rendiamo conto che la struttura di base rimane la stessa, ma con varie innovazioni mirate che riescono a tenere desta l’attenzione. Il giochino del whodunit ha il merito di lasciarci in sospeso fino alla fine, rievocando la mitologia della saga con la stessa mania di un fan che ne percorre a ritroso la storia. È una scelta sensata, se consideriamo le origini di Sam e la propensione degli autori a rendere questo franchise sempre più organico, con tutti i suoi rimandi interni.
Non assistiamo mai a una rivoluzione, sia chiaro. Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett sanno bene che, nel prendere le redini di una serie tanto famosa, devono sempre pagare pegno alle aspettative del pubblico: ci sono alcuni elementi che forse non cambieranno mai, soprattutto in termini strutturali. Ma se è vero che lo slasher è un genere per sua natura ripetitivo, Scream ne rinfresca gli sviluppi grazie alla contaminazione con il giallo (visto che l’identità di Ghostface cambia sempre) e assegnando al killer delle vere motivazioni. Scream 6 ha poi il merito di stravolgere il contesto, optando per il caos metropolitano di Manhattan come l’ottavo capitolo di Venerdì 13. Le dinamiche sono quindi molto diverse rispetto al passato: gli appartamenti offrono meno vie di salvezza, i personaggi non sono quasi mai soli, e Ghostface non si fa problemi a seminare vittime casuali lungo il cammino (o uccidere in mezzo alla gente, perché si sa che i newyorkesi sono abituati a tutto).
La tensione, insomma, non cala mai, nemmeno quando scopriamo la verità e assistiamo alla resa dei conti. I registi seguono alla lettera il monologo di Mindy – la nuova “teorica” del franchise – sulle regole che governano le saghe, e rendono tutto più grande, più truce, persino più cinico: ogni scontro con Ghostface è più articolato, anche nella gestione spaziale, e gli omicidi stessi sono alquanto brutali. Al contempo, Scream 6 aumenta la sospensione d’incredulità che pretende dagli spettatori, toccando vertici quasi grotteschi. I personaggi mostrano capacità di sopravvivenza quasi sovrumane, le loro azioni non sempre rispondono a una logica condivisibile (ma questo è tipico degli slasher), e c’è almeno un passaggio narrativo che suona molto forzato. Rispetto all’autocontrollo di Wes Craven, Bettinelli-Olpin e Gillett hanno una predilezione per l’assurdo che li porta a strafare, talvolta eccedendo oltremisura: non a caso, Finche morte non ci separi è roba loro. Non si può negare, però, che i due registi abbiano appreso la lezione di Craven e Williamson sulla valorizzazione dell’horror nella cultura popolare, a cui riconoscono un ruolo catartico e dissacrante. Rilanciare una saga del genere non era scontato, ma per il momento i risultati li premiano.