Cinema

Rocky Balboa e Adonis Creed. Due eroi a confronto.

Pubblicato il 01 marzo 2023 di Giulio Zoppello

Creed III arriva in sala, forte di tante attese, della curiosità da parte del pubblico e della critica per il primo vero autentico stand alone del figlio di Apollo Creed, il primo film senza lui, senza Sylvester Stallone. Tuttavia, il legame rimane indissolubile, per quanto ad un’analisi più approfondita, i due personaggi siano diversi, non semplicemente nella caratterizzazione, ma soprattutto nei significati, in ciò che mostrano e soprattutto ci dicono dell’America, della loro visione dell’uomo e dell’eroe.

Un nuovo eroe per una nuova nazione?

Adonis Creed dopo Rocky Balboa, il nero dopo il bianco, eppure in comune hanno tanto: la boxe, l’America che cambia, il sogno di un uomo di farcela, di riscattare la sua esistenza, la necessità di rialzarsi dalle difficoltà. Creed III per la prima volta mette da parte il vecchio pugile di Filadelfia, dopo i due episodi precedenti. Ma parlare di queste due saghe, così connesse eppure così distanti, significa anche fare i conti su quanto l’immaginario collettivo cinematografico è cambiato negli ultimi decenni.
Rocky Balboa affondava le radici nella cosiddetta Golden Age pugilistica, quando i protagonisti si chiamavano Muhammed Ali, George Foreman, Joe Frazier, Ken Norton, fece presa sul grande pubblico americano per la speranza che aveva in sé, antidoto alla tragedia vietnamita e alla crisi economica di quegli anni ’70. Stallone però si ispirò per Rocky solo superficialmente a Chuck Wepner, mediocre pugile il cui unico merito fu quello di arrivare quasi fino alla fine contro the Greatest. La realtà è che Rocky Balboa è stato tanto rappresentativo dell’America bianca, quanto Creed invece di quella nera, che negli anni 2000 ha avuto il suo Presidente, reclamando la propria centralità, con uomini come Floyd o LeBron James, imprenditori e uomini d’affari più che meri idoli sportivi.
Certo, si può anche ragionare su quanto il successo annunciato di questo terzo episodio metterà in atto una vera e propria sostituzione, tanto più palese quanto poco avvertita dal grande pubblico. Pensateci, le tante trasformazioni e sostituzioni di personaggi e significati in nome di una maggiore inclusività e parità di genere altrove hanno animato polemiche, qui invece nulla.
Adonis come figlio e successore di Rocky Balboa? Certamente, ma anche una diversa declinazione del concetto di sport, della sua simbologia negli Stati Uniti che ai miracoli, cinicamente, non ci credono più.

Due diverse fasi della storia americana

Rocky Balboa rappresentava la rivincita bianca, era una “white hope” che si vendicava di Apollo Creed, nientemeno che l’alter ego di Alì, che non si fece assolutamente scappare l’occasione di commentare all’anteprima: “ma quello sono io!”. Balboa è un clone di Basilio, Marciano, Graziano, LaMotta, i paisà figli di immigrati scesi da una nave. Creed invece ci parla del presente, non più semplicemente dominato da atleti afroamericani (in fondo dopo Marciano fu sostanzialmente la regola fino ai fratelli Klitschko), ma ci parla anche di un’evoluzione all’interno di tale universo. Adonis Creed nel primo film era rabbioso, portava con sé come Rocky il puzzo della strada e della periferia, ma in particolare dei ghetti con la loro cultura machista e violenta, il principio per il quale sostanzialmente, devi farcela oppure crepare nel tentativo.
Il che poi è stato il titolo di quell’album che oltre a lanciare la carriera di 50 Cent, di base ha posto anche fine alla cosiddetta Thug Life, dal punto di vista musicale ma non solo. Creed però poi matura, si stacca dalla sua rabbia. Di quel mondo in questo terzo film è simbolo proprio lui, il Dame di Jonathan Majors, armato di aggressività, ferocia, solitudine e una potenza devastante. Lui rappresenta il passato della boxe afroamericana, di gente come Sonny Liston, Foreman, di Mike Tyson cresciuto come Dame seguendo le leggi della strada, anima a pezzi. Rocky Balboa diventava simbolo delle speranze degli altri, non si arrendeva mai, lottava per sé stesso ma non solo, anche prima di diventare la nemesi della falce e martello sovietica. Adonis Creed, invece, il suo rappresentare la rivalsa delle minoranze lo ha sempre abbracciato in modo indiretto tanto dal punto di vista semantico, quanto soprattutto dal punto di vista narrativo. In lui non vi è la volontà di essere un simbolo universale, ma semplicemente di pensare a sé stesso.

La fine del concetto di eroe popolare

Una cosa che è mancata a questa trilogia, che ha lanciato definitivamente Michael B. Jordan, è il fatto che Adonis Creed non è mai riuscito ad arrivarci come un eroe trasversale, un idolo delle folle, come Rocky è stato tanto dentro quanto fuori da quello schermo.
In questo, vi è un significato molto potente, la visione della vita e del successo degli afroamericani. Charles Barkley, uno dei più grandi fuoriclasse della storia dell’NBA, sottolinea che anche oggi, mentre i ragazzi di origine caucasica asiatica o latina, quando visita le scuole gli dicono che vogliono fare gli astronauti, gli attori, i medici o gli avvocati, ogni ragazzino afroamericano ha come obiettivo diventare una star dello sport. Adonis Creed bene o male rappresenta appieno questo credo. Lo stesso Dame, uscito di galera non pensa a trovarsi un lavoro o a rendersi utile alla comunità, ma a tornare sul ring, per riprendersi qualcosa che, secondo l’istinto della strada, gli è stato tolto.
Da chi? Dall’ex amico, che ce l’ha fatta al contrario di lui. Il successo o la ricchezza ancora oggi per una fetta di società afroamericana sono qualcosa di imperdonabile e assieme di magico, un frutto avvelenato.
In American Gangster di Ridley Scott, il Frank Lucas di Denzel Washington si sente dire da un boss italoamericano una grande verità: puoi avere successo e avere dei nemici o non avere successo e avere degli amici. Rocky dopo solamente un film era circondato da fan estasiati, bambini, gente comune, anche negli anni del tramonto, il suo ristorante era sempre pieno. Creed, come Dame, invece è sempre solo, certo in una casa lussuosa e con la sua famiglia, ma solo come Rocky non è mai stato.
Ecco perché questa saga su Creed è così importante: perché ci mostra quanto oggi essere una star dello sport è diventato qualcosa di diverso dall’essere un eroe, un simbolo di speranza come nel passato.