C’è un passaggio di Lucky, libro in cui Alice Sebold ripercorre lo stupro che subì a 18 anni, dove l’autrice ricorda la sorpresa di suo padre nello scoprire che il violentatore non era armato. «Come ha fatto a violentarti, se non aveva il coltello?» chiede l’uomo, mentre la madre e la sorella di Alice gli urlano di tacere. Con molta calma, Alice lo prende da parte e si rivolge a lui come se fosse un bambino, perché sa che nelle parole di suo padre non c’è alcuna malizia: solo una grande ingenuità, una sostanziale ignoranza. Dalla sua posizione privilegiata, l’uomo non si rende conto di quanto la semplice forza muscolare basti a sopraffare la vittima, nei casi di stupro. È anche da questa disparità fisica che deriva il “potere”, quello citato da Naomi Alderman nel titolo originale del suo romanzo (The Power, per l’appunto, ma distribuito in Italia come Ragazze elettriche). Può sembrare una banalità, eppure non lo è: troppo spesso ci dimentichiamo che moltissime disuguaglianze traggono origine proprio da questo sbilanciamento. «Una differenza fondamentale tra i due sessi è che uno può uccidere l’altro a mani nude» diceva Rachel McAdams nella seconda stagione di True Detective, sintetizzando efficacemente il problema.
Questa premessa è necessaria per comprendere l’intuizione di Alderman, scrittrice britannica influenzata dalla speculative fiction di Margaret Atwood, sua mentore. Nel romanzo, e nella serie di Amazon Prime Video che ne è stata tratta, bambine e adolescenti di tutto il mondo cominciano a sviluppare la capacità di emettere potenti scariche elettriche, grazie a un organo posto all’altezza della clavicola. Seguiamo quindi le storie parallele di cinque personaggi. Jos Cleary-Lopez (Auliʻi Cravalho) è figlia della sindaca di Seattle Margot Cleary-Lopez (Toni Collette), che si ritrova a fronteggiare l’emergenza delle “ragazze elettriche”. Roxy Monke (Ria Zmitrowicz) è invece la figlia illegittima del boss londinese Bernie Monke (Eddie Marsan), e sogna un ruolo negli affari del padre. Allie (Halle Bush) vive con i genitori adottivi, e comincia a seguire i consigli di una voce femminile che attribuisce a Dio. Tatiana Moskalev (Zrinka Cvitešić) è un’ex ginnasta moldava dal passato turbolento, ora sposata con il Presidente del paese. Infine, Olatunde Edo (Toheeb Jimoh) è un aspirante giornalista nigeriano che comincia a indagare sul misterioso fenomeno, e ottiene successo grazie a un filmato virale.
Tunde è anche l’unico protagonista maschile, e non è un caso che il suo ruolo sia di testimone: in quanto uomo, può soltanto osservare l’alba di una rivoluzione che rovescerà il rapporto tra i sessi. I primi tre episodi – quelli che ho potuto vedere in anteprima – sono però molto preparatori, e si limitano a narrare le premesse della trama. Il ritmo incalzante del romanzo era ben altra cosa (nonostante Alderman sia coinvolta come produttrice e co-sceneggiatrice), mentre gli episodi faticano a tenere insieme il cast corale, e tendono a lasciare indietro alcuni personaggi. In compenso, rendono bene l’idea di un timore crescente: quello del genere maschile davanti all’ascesa del potere femminile. Se la lettura del libro induce un terrore che gli uomini – come genere – provano raramente, costringendoli nel ruolo di vittime laddove solitamente sono carnefici, le prime puntate della serie mettono in scena situazioni che rimandano alla geopolitica più o meno recente. In fondo, le reazioni maschili non sono diverse da quelle dei colonizzatori occidentali che fronteggiano le insurrezioni dei popoli colonizzati: il rapporto tra oppressori e oppressi è molto simile, e il contrattacco delle vittime desta sempre incredulità, smarrimento, e quindi paura.
Il potere muscolare si traduce in potere politico, e le ragazze elettriche suscitano l’immediata risposta delle istituzioni. Una risposta organizzata, geometrica e razionale come i box dove vengono isolate le adolescenti, ma destinata a fallire di fronte ai processi di evoluzione naturale. L’emergenza del “potere” finisce allora per riflettere alcune dinamiche del nostro mondo, soprattutto nel rapporto deviato tra la società e il corpo femminile: «Sappiamo cosa succede quando nascondiamo a ragazze e bambine la verità sul loro corpo» dice Margot ai giornalisti, quando il governo cerca di negare l’accaduto. Il “potere” diventa così un mezzo per riappropriarsi del corpo stesso, oltre che per autodeterminarsi. Le ragazze sperimentano una libertà mai vista prima, e sarà interessante vedere se la serie confermerà la visione anti-essenzialista di Alderman (dove le donne abusano del loro potere come hanno sempre fatto gli uomini) o cercherà di moderarla.
Di certo, il momento per adattare Ragazze elettriche non poteva essere più propizio. La serie contribuisce infatti a un discorso che, dal movimento MeToo in poi, è penetrato nella cultura pop come non era mai accaduto prima, e potrebbe avere successo laddove Y: L’ultimo uomo ha fallito. La necessità di interrogarsi sulle relazioni tra i sessi, e su discriminazioni millenarie da superare, trova riscontro persino in segmenti creativi un tempo dominati dallo sguardo maschile, talvolta caratterizzati da aperta misoginia. Il ribaltamento non riguarda solo i rapporti di forza nella finzione, ma il punto di vista adottato dai prodotti dell’industria culturale. Indipendentemente da come proseguirà, Ragazze elettriche è l’immagine emblematica di questa rivoluzione.