Un’altra notte degli Oscar è andata e, come sappiamo, a stravincere è stato Everything Everywhere All at Once, con sette Oscar. Il film ha catalizzato l’attenzione e le preferenze dell’Academy, al punto che alcuni film o interpreti, che magari avrebbero meritato di ottenere almeno una statuetta qua e là, sono stati completamente tagliati fuori. Come da tradizione, diamo un’occhiata a film e attori snobbati (e snobbatissimi) di questa edizione 2023 degli Academy Awards.
Elvis di Baz Luhrmann era tra i favoriti nelle nomination, con otto candidature (film, trucco e acconciature, sonoro, attore protagonista, fotografia, costumi, montaggio, scenografie), ma è rimasto totalmente a bocca asciutta. Niente di nuovo sul fronte occidentale, Everything Everywhere All at Once, The Whale e Top Gun: Maverick si sono spartiti i suoi potenziali premi.
Nove candidature e nessuna vittoria per Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh, che è andato a scontrarsi direttamente con Everything Everywhere All at Once in praticamente tutte le categorie, e ne è uscito con le ossa rotte.
Sei le candidature per Tár di Todd Field, tra cui una alla migliore attrice protagonista per Cate Blanchett, che sarebbe stata meritatissima. Anche qui, impossibile arrestare la corazzata Everything Everywhere All at Once.
Era abbastanza inevitabile che The Fabelmans di Steven Spielberg restasse a bocca asciutta, anche se speravamo fino all’ultimo che almeno qualche riconoscimento lo avrebbe ottenuto (ad esempio per la migliore sceneggiatura originale, storico premio di consolazione per gli snobbati). E invece niente. Spiace per Michelle Williams, che avrebbe meritato l’Oscar come attrice protagonista.
Il premio è infine andato a Jamie Lee Curtis, forse, con tutto il rispetto per una grandissima attrice, quello più forzato tra tutti i premi a Everything Everywhere All at Once. Angela Bassett sarebbe stata meglio? Le opinioni possono divergere, certo, ma tutti si aspettavano che vincesse lei. Il film Marvel ha invece ottenuto il premio per i migliori costumi a Ruth E. Carter. Almeno una consolazione l’ha avuta.
Il film di Ruben Östlund, vincitore della Palma d’Oro allo scorso Festival di Cannes, non aveva tante nomination, solo tre: miglior film, sceneggiatura originale e regia. Poteva essere il jolly a vincere per lo meno nelle ultime due, ma ovviamente i membri dell’Academy la pensavano diversamente.
La vecchia regola non scritta prevede che i flop non possano vincere Oscar, e Babylon la conferma, purtroppo. Che vi sia piaciuto o meno, su una cosa possiamo essere d’accordo: Babylon meritava di vincere almeno due delle tre statuette a cui era candidato, migliori costumi e scenografie (la terza nomination era alle musiche di Justin Hurwitz). Il film di Damien Chazelle è una festa visiva, un banchetto stracolmo di portate e dettagli succulenti. Ma il suo insuccesso lo ha condannato all’oblio.
Sei candidature, solo un Oscar tecnico al miglior sonoro. Meglio di niente, sia chiaro, ma considerando che Top Gun: Maverick era candidato a una serie di premi di alto profilo, come miglior film, sceneggiatura non originale e montaggio, si tratta di un premio di consolazione.
Anche qui, era inevitabile. Eppure il terzo maggiore incasso della storia del cinema, Avatar: La via dell’acqua, ha vinto solo un premio agli effetti visivi. Che, per carità, non poteva che andare al film di James Cameron, un enorme passo avanti tecnologico almeno da questo punto di vista. Però, al netto dei suoi difetti, il sequel di Avatar è uno sforzo produttivo mastodontico, che va al di là del concetto di “effetti visivi” e trascende verso un nuovo modo di concepire il cinema. Forse la categoria giusta non è ancora stata inventata.