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Hello Tomorrow! è, a ora, un gran peccato (no spoiler)

Pubblicato il 17 marzo 2023 di DocManhattan

C’è il Dottor Manhattan, che questa volta la Luna vuole però vendertela. Letteralmente. Che arrivati al settimo dei suoi dieci episodi una serie TV non abbia svelato ancora le sue carte, in genere, non è affatto un problema. In Hello Tomorrow!, serie di Apple TV+ di cui è appunto uscito oggi l’episodio 7, però lo diventa, perché che quelle carte sono – in più di un senso – l’unica cosa che ancora mi spinge a guardare questo show. Avete presente, no? L’ormai convenzionale “se non decolla entro le prime tre puntate, non lo fa più”. Ecco. Ma prima: che cos’è Hello Tomorrow!, di cosa parla e perché mi sarebbe piaciuto tanto farmela piacere.

SE C’È QUALCOSA CHE NON TI VA, DILLO ALLA LUNA

Il motivo per cui Apple mi aveva venduto benissimo questa serie alla vigilia è riassumibile nell’aggettivo “retrofuturistico”. Interpretata da Billy Crudup e creata da Amit Bhalla e Lucas Jansen, Hello Tomorrow! parla di un venditore di multiproprietà… sulla Luna, in una versione degli Stati Uniti degli anni Cinquanta popolata da macchine volanti, robot-camerieri e computer a nastri magnetici.

Non sarà un’idea nuova, siamo d’accordo, ma adoro le ambientazioni retrofuturistiche, un tipo di setting che ha prodotto tra le altre cose giochi ultrapopolari come le serie di Fallout e BioShock. Proprio per questo, mi intrigava la storia di questo abile venditore dal tono di voce rassicurante, del suo team e del mistero legato a questi appezzamenti lunari. Al termine di sette episodi – da una ventina di minuti l’uno – di questo dramedy, l’ambientazione e l’atmosfera sembrano però anche gli unici elementi di rilievo di Hello Tomorrow! Mentre la trama continua a prenderla così alla larga da esser finita in orbita.

E PERCHÉ QUESTO SAREBBE UN PECCATO?

Beh, perché avere un’ambientazione affascinante, in quella Tana delle Tigri sovraffollata in cui le serie TV si trovano a combattere per sopravvivere oggi come oggi, è innegabilmente un lusso. Avessero reso più avvincente il mistero, seminato meglio gli indizi senza sbatterli in faccia, giostrato con più mestiere il carosello di casi umani che ruota attorno al protagonista, e di cui lui stesso è il disastrato capofila, ne sarebbe venuta fuori con ogni probabilità una produzione molto più interessante. Così, invece, resti lì a chiederti quando parte questo benedetto razzo per la Luna chiamato entusiasmo, e niente, dice che è finita la benzina. E l’automatico del distributore è pure chiuso.

Questo non solo sciupa il contesto a disposizione, ma pure gli attori impiegati, tutti sufficientemente in palla nei loro ruoli (c’è anche Hank Azaria, fra le altre cose doppiatore di tutta una serie di personaggi storici dei Simpson), accanto a un credibilissimo Crudup. Dal quale, con quella parlantina e quei modi eleganti, chiunque finirebbe per comprare qualsiasi cosa.

E così, mentre scorrono i titoli di coda di un’altra delle sue brevi puntate, non afferri neanche più cosa ti volesse dire in realtà questa storia abbozzata, con questi personaggi troppo bidimensionali. Perché alla fine, pare, l’unica cosa che il Jack di Crudup non riesce a vendere, è proprio la sua serie: ironico, no?