I 55 anni di Daniel Craig in 5 suoi film da riscoprire

I 55 anni di Daniel Craig in 5 suoi film da riscoprire

Di Giulio Zoppello

Ancora oggi ci si chiede se veramente è stata una fortuna per lui diventare lo 007 del nuovo millennio. Certo è che Daniel Craig è molto più di James Bond, lo ha dimostrato più e più volte durante la sua carriera, di cui ha sacrificato una notevole parte per essere a disposizione dell’agente segreto per eccellenza.
Oggi che compie 55 anni, forse la cosa migliore per fargli gli auguri, è quella di indicare i 5 film più sorprendenti e anche sottovalutati della sua carriera. Tranquilli, c’è anche un Bond movie tra questi, ma forse non è quello che vi aspettate.

Elizabeth

Shekhar Kapur nel 1998 dirige lo splendido Elizabeth. Quel film storico, forse il migliore di sempre su quel periodo storico, lancia come un fulmine a ciel sereno la fenomenale Cate Blanchett. Ma non solo lei. Sì, perché oltre alla Blanchett, Joseph Fiennes, Goffrey Rush, Cantona, Richard Attenborough e Vincent Cassel, c’era anche lui, Daniel Craig, alla sua prima apparizione sul grande schermo, dopo tanti ruoli televisivi.
Qui vestiva i panni di John Ballard, gesuita inglese, fanatico cospiratore e assassino che agli ordini del Papa e in combutta con Mary Stuart e l’opposizione interna inglese, cercò di assassinare Elisabetta e restaurare il cattolicesimo in Inghilterra. Craig fu autore di una prova magnetica, benché in una parte secondaria, dominò ogni singola inquadratura, donandoci l’immagine di un uomo determinato feroce spietato ma allo stesso tempo chiaramente sicuro di essere nel giusto, un’idealista e in quanto tale assolutamente scevro da ogni dubbio. In più di un’occasione pare essere veramente vicino al successo, non fosse per il fatto di avere di fronte come avversario un uomo come Warsingam, il capo del servizio di spionaggio di Elisabetta a cui Geoffrey Rush fece corrispondere rispetto a Ballard, una mentalità più fredda, più meccanica e strategica. Ad ogni modo, fu grazie a questa prova attoriale in Elizabeth che Craig attirò su di sé l’attenzione dei produttori più importanti, così come di Barbara Broccoli.

The Pusher

Se da un certo punto di vista si può dire che Quentin Tarantino abbia avuto dei discepoli numerosi, si può anche con certezza affermare che Guy Ritchie e Matthew Vaughn siano stati gli unici degni. Vaughn ha forse dato il meglio di sé in quel pulp crime brillante ed iconico della tradizione british moderna che fu The Pusher, tratto dal romanzo “L’Ultima Partita” di J. J. Connolly.
Daniel Craig era il protagonista di un intricato caso di traffico di stupefacenti, nei panni di uno ambizioso e fighettino spacciatore della Londra che ancora si illudeva di essere la realizzazione della Terza Via. Craig fu abilissimo nel delineare un personaggio umanissimo, ricco di sfumature, debolezze e fragilità, ma anche determinato a non farsi distruggere da quell’ambiente che ha scelto per cupidigia e avidità, ma da cui ora vuole uscire a tutti i costi. Craig fu capace di sopravvivere al confronto con mostri sacri della tradizione cinematografica e teatrale british del calibro di Michael Gambon, Kenneth Cranham e Colm Meaney, all’interno di una sceneggiatura molto intricata, ma comunque anche ammaliante, in grado di regalarci forse uno dei migliori film di genere inglesi del XXI secolo. Ad oggi, quello di XXXX (il suo nome non verrà mai detto) è forse il personaggio più sottovalutato e assieme più difficile da valutare moralmente della cinematografia dell’attore.

Casino Royale

Non ce ne vogliano i fan dell’ultimo James Bond, ma con ogni probabilità il miglior film della nuova saga è stato il primo, Casino Royale, semplicemente per il fatto di avere una scrittura molto più raffinata e sfaccettata degli episodi successivi, sovente condizionati da uno script alquanto grossolano e pretenzioso.
Casino Royale è uno dei migliori film introduttivi di spionaggio di sempre, in virtù di una ferocia che si nasconde viscerale dietro una patina di eleganza, di un gioco di specchi in cui la banalità sfugge sempre, di una bond girl incredibilmente innovativa come quella di Eva Green, ma soprattutto grazie a lui, Daniel Craig.
Il suo 007 esordisce con un piglio molto più ribelle, violento e istintivo rispetto al passato, si distingue per il fare anarchico e ben distante dall’aplomb molto british che aveva avuto in passato con Connery, Brosnan e gli altri. Chiara la contaminazione esercitata dalla saga di James Bourne, niente smoking o quasi, ma muscoli, botte, donne che seduce quasi controvoglia e solo per adempiere alla sua missione. In mezzo, una fantastica mano di poker e una scena di tortura tra le più tremende e umilianti che il cinema moderno ci abbia offerto. Daniel Craig arrivava con grandi dubbi e perplessità da parte di molti, invece qui zittì ogni critica, ogni perplessità, cominciò quel cammino di rinnovamento di uno dei personaggi più iconici della nostra narrazione, a cui ha sacrificato anche parte della sua carriera, che solo recentemente è uscita da quei binari.

Millennium – Uomini che odiano le donne

Nel 2011 David Fincher decide di fare un suo adattamento del romanzo di Stieg Larsson, uno dei più iconici degli ultimi vent’anni, già portato sul grande schermo da Oplev. Per interpretare il reporter d’inchiesta Mikael Blomkvist, Daniel Craig si rivela perfetto, con quel suo modo di fare tra l’impudente e il rapace, con il suo fare sornione e cocciuto. Mikael, donnaiolo ma non per questo narcisista o egocentrico, in Millennium – Uomini che odiano le donne, ci arriva soprattutto come un uomo coerente, uno di quei giornalisti che non guardano in faccia a nessuno, convinti che il loro mestiere sia essere cani da guardia rispetto agli uomini più potenti, quelli come Hans-Erik Wennerström.
Craig creò una chimica straordinaria con la Lisbeth di una bravissima Rooney Mara, personaggio femminile tra i più complessi ed estremi della cinematografia moderna, senza però farsi mettere da parte.
Da certi punti di vista si può quasi sostenere che egli abbia stilizzato una sorta di versione realistica del suo James Bond, dal momento che Mikael è un segugio eccezionale, un infaticabile ricercatore della verità a cui però Craig riesci a donare anche una grandissima umanità, empatia e vulnerabilità.
La stessa che esibisce nel momento in cui comincia a comprendere l’orrenda realtà che si cela dentro la famiglia Vanger che lo ha assunto per far luce su un misterioso delitto di tanti anni prima. Tuttavia è lungi anche dall’essere perfetto, dimostrandosi volubile verso il gentil sesso, impossibilitato a rinunciare alla sua vita da scapolone avventuroso, senza una reale volontà di impegnarsi fino a fondo in una relazione.

Munich

Da certi punti di vista è forse il film più sottovalutato tra quelli di Steven Spielberg, ma è anche una di quelle opere in cui Daniel Craig ha convinto di più. Munich si connette a Il Mucchio Selvaggio, I Sette Samurai e Scorpio, mentre ci parla della controffensiva messa a punto dal Mossad israeliano per vendicarsi della strage di Monaco ‘72, in particolare dell’organizzazione Settembre Nero, responsabile dell’attacco.
Daniel Craig interpretava Steve, uno dei componenti della squadra speciale comandata da Avner (Eric Bana), protagonista del film, a cui alla fine lui farà da spalla, da compagno, sarà al suo fianco dall’inizio alla fine, rappresentando la parte più muscolare, istintiva e collerica del gruppo.
Craig in un film corale per definizione, con un cast di grandissima caratura che comprendeva anche Cirian Hinds, Mathieu Kassovitz, Goeffrey Rush e Hanns Zischler, fu capace ancora una volta di andare oltre lo scolastico, ma soprattutto di rappresentare qualcosa di più di un personaggio di finzione. Steve è volontà di vendetta, cieca violenza, idealismo che non conosce mediazione o alcuna capacità di vedere nel nemico un essere umano. Coraggioso, audace, risulta però anche molto difficile da stimare o rispettare, per la sua incapacità di provare rimorso o anche solo dubbio verso la propria missione omicida. Tuttavia, è anche fedelissimo alla sua causa, coerente, pronto a sacrificarsi per i suoi compagni e per ciò in cui crede. In lui risplende una figura tipica di quella creata da quel conflitto israelo-palestinese che continua ad essere una delle ragioni per cui una certa parte del mondo non conoscerà mai pace.

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