SerieTV Recensioni roberto recchioni
All’inizio di questo sesto episodio di The Last of Us, è arrivato l’inverno e vediamo Joel e Ellie camminare nella neve, con i loro vestiti inadeguati per il clima (anche se adesso Joel ha trovato un montone), i loro zaini ridicolmente sottodimensionati per un viaggio del genere e, appesi agli zaini, i loro sacchi a pelo. Qualsiasi escursionista e campeggiatore vi dirà che portare in quella maniera un sacco a pelo senza averlo protetto in qualche maniera dalle possibili intemperie è un’idiozia con la bella stagione, figurarsi con il freddo e la neve e con la propria sopravvivenza in ballo.
E questo è l’unico appunto che mi sento di fare all’ennesima perla che Mazin e Druckmann (questa volta assieme a Jasmila Žbanić, regista della puntata) consegnano alla posterità televisiva, facendo tutta una serie di scelte per nulla ovvie e scontate e dannatamente coraggiose.
Cosa intendo?
Dunque, anche in questo caso, l’episodio porta a schermo una porzione di gioco decisamente ampia, ricca di azione, di scontri, di momenti di tensione e caratterizzata da una lunga deviazione dalla trama principale utile ad allungare un poco il brodo e a creare situazioni ludiche diverse da quanto visto fino a quel momento. Tutto materiale che avrebbe fatto la felicità di un produttore di una serie televisiva tratta da un videogioco a caso (ma dai, facciamo un nome: Resident Evil) e che Mazin e Druckmann decidono, invece, di tralasciare, salvando solamente uno scontro, l’unico davvero rilevante in termini di sviluppo narrativo, per dedicare il resto del tempo a quello che gli interessa davvero raccontare: la psicologia dei due protagonisti e la maniera in cui si relazionano tra loro, con gli altri e con l’ambiente in cui sono calati. Così, invece di rubare del tempo filmico per mostrarci Joel ed Ellie alle prese con gli infetti, Druckmann e Mazin si inventano una straordinaria, divertente ed emozionante scena in una capanna, assieme a due vegliardi. Invece di intrattenerci con Joel che lotta spalla a spalla con il fratello contro i predoni, mentre cerca di riparare il generatore della diga, creano un momento di confronto tra i due per farci capire meglio che tipo di persone fossero (e, in questo senso, è mirabile il momento in cui Tommy dice: “Abbiamo ucciso delle persone, seguendo l’unica strada che conoscevamo, ma ce ne erano delle altre… solo che non facevano per noi”) e per far emergere le ferite di Joel, le sue fragilità, i suoi attacchi di panico, i suoi invincibili sensi di colpa. Invece di raccontarci della incongrua fuga solitaria di Ellie dopo che ha scoperto che Joel la vuole abbandonare, ci mostrano come la ragazzina si relaziona con un mondo civile dove la violenza e il sopruso non sono l’unica legge possibile e, nel farlo, ci raccontano il suo infantile stupore e curiosità nel trovarsi davanti una coppetta mestruale, la sua forza mentre affronta Joel e lo mette davanti alle sue ipocrisie, e il suo amore, quando invece lo difende da chi prova a giudicarlo.
Quello che per altri autori sarebbe stato “inutile tempo perso in chiacchiere, perché chi guarda una serie televisiva tratta da un videogioco vuole azione, tensione e mostri!”, per Mazin e Druckmann diventa l’essenza stessa della loro opera: un’esplorazione profonda, impietosa ma piena di pietà, dell’animo umano. Se proprio mi dovessero puntare una pistola alla testa e minacciare di uccidermi per trovare un difetto in questo tipo di narrazione, riuscirei a segnalare solamente che l’approccio scelto rende ancora più evidente il debito che The Last of Us ha con La strada di Cormac McCarthy, al punto che si potrebbe quasi scambiare questo episodio (e il prossimo) per un adattamento seriale del romanzo capolavoro dello scrittore di Providence (che non smetterò mai di consigliarvi). Ma in quale universo il somigliare troppo a Cormac McCarthy può essere una cosa negativa? Detto questo, e prima di chiudere, bisogna comunque ricordare che la migliore scrittura del mondo (e quella di Mazin e Druckmann è davvero molto buona) non funzionerebbe a schermo se non ci fossero bravi attori a sostenerla e a trasformare in carne ed emozione le parole scritte: fortunatamente, The Last of Us ha attori eccezionali, tanto nei suoi protagonisti quanto in tutte le figure di contorno.
Bravissimo Gabriel Luna nel ruolo di Tommy, molto maturata (rispetto a True Blood) Rutina Wesley in quello di Maria, fantastici Graham Greene e Elaine Miles, ma poi sono Pedro Pascal e Bella Ramsey a brillare come due stelle. In questo episodio hanno entrambi modo di brillare da soli, in delle scene che gli permettono di dare tante ulteriori sfumature ai loro personaggi, ma è quando sono insieme ed interagiscono che tirano fuori il meglio di loro, generando un’alchimia capace di cancellare e sostituire il ricordo del videogioco. Joel ed Ellie sono loro, ormai, e non si torna più indietro.
Detto questo, devo ammettere che quasi mi sto annoiando a ripetere, settimana dopo settimana, quanto questa serie sia straordinaria e di come rappresenti una vetta assoluta per le serie HBO, che sono a loro volta la vetta delle produzioni televisive americane di qualità. In poche parole, The Last of Us sta scrivendo un pezzetto di storia delle serialità televisiva e perdersela è un delitto che faremmo contro noi stessi.
The Last of Us è disponibile in Italia su Sky e in streaming solo su NOW, in contemporanea con gli USA.
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