Cinema

In attesa di TÁR, il meglio di Cate Blanchett nei suoi 5 film più iconici

Pubblicato il 01 febbraio 2023 di Giulio Zoppello

Cate Blanchett protagonista anche nei prossimi Oscar, con un’altra candidatura  –  per la sua interpretazione in TÁR di Todd Field – che celebra la grandezza di quella che con ogni probabilità è l’ultima, vera grande diva, intesa non come mera apparenza, ma piuttosto come coesione più unica che rara di bellezza, talento, classe ed anche popolarità.

Carriera atipica la sua, esplosa in un attimo, con un kolossal storico, quando ancora il genere andava per la maggiore, e che poi è andata via via crescendo in un susseguirsi di interpretazioni magistrali in cui ha dimostrato sempre una grandissima adattabilità, coraggio, la capacità di sapersi sempre distinguere ma soprattutto di donarci i personaggi femminili di enorme impatto.

Mentre attendiamo l’uscita di TÁR, dal 9 febbraio al cinema, ecco i suoi cinque migliori film. Le sue cinque milioni interpretazioni per essere più precisi, quelle che l’hanno resa a tutti gli effetti se non l’attrice migliore del mondo, di certo la più universalmente ammirata, la più originale e sorprendente della sua generazione.

Elizabeth

Shekhar Kapur nel 1998 ci prende per mano e ci guida a metà del XVI secolo, per farci capire qualcosa di più su di lei, sulla Regina più famosa della storia, sulla grande Elisabetta e l’insieme di casualità, scelte, intrighi che la fecero salire al trono, in quanto figlia del leggendario Enrico VIII e della sfortunata Anna Bolena. Cate Blanchett fino a quel momento si era segnalata per Paradise Road e Oscar e Lucinda, ma con questo ruolo, non solo si procurò la sua prima nomination agli Oscar, ma dimostrò a tutti che era nata non tanto una nuova stella, ma una nuova, grandissima attrice.

Il biopic è oggi un genere ormai inflazionato, anche per quello che riguarda il dramma in costume, eppure la resurrezione moderna di questo genere, così come della rievocazione dell’Inghilterra elisabettiana, lo dobbiamo proprio a lei, che riuscì a donarci un concetto di evoluzione unico nel suo genere.

Attorniata da un cast di grandissima levatura e che annoverava tra gli altri Geoffrey Rush, Joseph Fiennes, Richard Attenborough, Christopher Ecclestone e Vincent Cassel, Cate Blanchett stupì pubblico e critica, mostrandoci I due volti di una donna che aveva fatto la storia non solo dell’Inghilterra.

Vi è l’Elisabetta ragazza, ingenua, divorata da paure e amori, che però pian piano si fa strada nel mondo, impara lo spietato gioco del trono e le sue leggi. Questo anche a costo di perdere affetti, abbracciare la ragion di Stato fino a diventare la monarca per eccellenza. Con ogni probabilità, una delle interpretazioni più rivelatrici di sempre.

Carol

Il tema dell’omosessualità ha dominato questi ultimi due decenni di cinematografia mondiale, ma pochissimi film possono vantare la sensibilità e l’intelligenza nonché la profondità di Carol di Todd Haynes. Cate Blanchett qui veste i panni della ricca ma malinconica Carol Aird, che come stabilito già nel romanzo originale di Patricia Highsmith, nella New York anni ’50, è nel mezzo di un complicato divorzio con il marito Harge (Kyle Chandler) per la custodia della figlia Rindy. Carol finirà per incrociare la sua strada con quella della giovane commessa Therese (Rooney Mara), con la quale riscoprirà sé stessa e soprattutto la gioia di un rapporto amoroso. Elegantissima, eloquente, fredda e al tempo stesso assolutamente appassionata, la Carol di Cate Blanchett è una donna divisa a metà dalla morale del suo tempo e dagli obblighi di una società profondamente sessista e brutale. L’attrice australiana creò una chimica semplicemente sensazionale con Rooney Mara, donandoci un’iter sentimentale di grande bellezza e struggente malinconia tra due anime ferite ma decise comunque a trovare assieme la propria strada. Più che un film sentimentale, Carol è un film sui sentimenti, sulla difficoltà di essere donne e libere soprattutto, nella nostra società.

Non a caso per la raffinatezza della sua interpretazione, la Blanchett si conquistò un’altra nomination come miglior attrice protagonista agli Oscar. Ad oggi rimane forse da certi punti di vista il suo ruolo se non più sottovalutato, non abbastanza ricordato a dispetto dei plausi della critica. Soprattutto rimane impareggiabile per la sua capacità di parlarci della diversità dalla norma, con il suo volersi staccare dalle regole della società o cosiddetta tale.

Blue Jasmine

In questo film di Woody Allen, con ogni probabilità Cate Blanchett ha superato sé stessa, ponendosi al servizio di un personaggio femminile torbido, intricato, complicati. Jasmine è una donna spezzata nell’animo, a causa delle malefatte del marito Hal (Alec Baldwin) sostanzialmente un truffatore caduto in rovina. La Blanchett per tutti i 98 minuti di questo film mette costantemente a disagio lo spettatore, che non sa se avere pietà o provare un immenso disprezzo per questa donna, vittima e carnefice di sé stessa allo stesso tempo. Jasmine è decisa a rifarsi una vita ma è incapace di lasciarsi quella passata alle spalle, appare portatrice di una grande verità ma anche capace di mentire con enorme nonchalance.

Probabilmente stiamo parlando del personaggio femminile più importante del decennio scorso a livello cinematografico, perché è anche immagine speculare di quanto essere donne sia una continua battaglia per la propria felicità anche contro se stesse.

La Blanchett lasciò letteralmente a bocca aperta la critica internazionale, con una performance viscerale, intima, incredibilmente realistica nella sua evoluzione, così come nei vari voltafaccia con sui seppe mettere in mostra in realtà tramite questa donna, irrimediabilmente sola per scelte sue ma anche di altri, il fallimento della famiglia e dei valori cosiddetti tradizionali americani. Blue Jasmine a tutti gli effetti è anche una profezia, o meglio un epitaffio verso un certo tipo di sogno americano, fatto di ipocrisia e di una visione assolutamente consumistica ed egoriferita dall’esistenza.

The Aviator

Ironia o grandezza? Cate Blanchett vince un Oscar come miglior Attrice protagonista interpretando Katharine Hepburn, anche lei Premio Oscar, nell’ambizioso e sfarzoso The Aviator di Martin Scorsese.

Impresa difficile, anzi difficilissima, perché la Hepburn era nota per essere una persona tanto originale, kitsch, imprevedibile e unica, da rendere ogni possibile sua rievocazione da parte di un interprete un’impresa quasi impossibile. La Blanchett invece ci riuscì in modo assolutamente disarmante, non solo tramite una performance vocale studiata al millimetro, ma soprattutto ricalcando l’essenza stessa fatta di quella donna, fatta di un linguaggio corporeo, vestiti, sguardi e incertezze. Ne esce il ritratto di una straordinaria attrice in perenne ricerca della libertà. Ciò che ci arriva è però soprattutto una diva che odia essere tale, un’artista che non ha ancora imparato a reggere la pressione, ma soprattutto sogna una vita “normale” al contrario di chi la circonda in quella Hollywood da copertina.

I vari scontri con lo Hughes di DiCaprio sono senza ombra di dubbio la parte migliore di questo film fiume, forse un po’ troppo sfarzoso, ma nel quale la Blanchett è riuscita a rappresentare l’essenza stessa di quella Golden Age che si nutriva tanto di verità quanto soprattutto di apparenza e di falsità.

Calcolando soprattutto quanto DiCaprio fosse un mattatore assoluto per presenza e caratterizzazione, è ancora incredibile quanto la Blanchett sia stata brava nell’evitare di rendere la sua interpretazione una parodia o una semplice riproduzione meccanica. Oscar meritatissimo come lo sarebbero stati tante altri a cui è stata candidata questa attrice straordinaria, per la quale le due statuette all’attivo fino ad ora, sono oggettivamente anche poche.

TÁR

Ebbene sì, tra le sue cinque migliori performance vi è anche TÁR di Todd Field, grazie al quale Cate Blanchett ha vinto la Coppa Volpi all’ultima Biennale di Venezia. Film coraggioso e scomodo, incredibilmente seducente per quanto afflitto da piccole imperfezioni, che ha però nella sua performance un motore assolutamente invincibile. Nei panni di una dispotica, narcisista e spietata direttrice d’orchestra di fama mondiale, Cate Blanchett diventa una sorta di contenitore dentro cui si alimentano allo stesso tempo il giusto e lo sbagliato, la verità e la menzogna, l’egoismo più becero con l’empatia più disarmante.

TÁR è molte cose assieme, soprattutto un dito puntato contro la mancanza di buon senso dei tempi moderni, l’impossibilità di arrivare ad una verità reale perché inquinata dai mass media, dal vociare convulso del mondo circostante. Lei, algida, dominatrice, in realtà incredibilmente più vulnerabile e fragile di quanto immagini, è simbolo stesso del potere che cade di fronte alla moralità dei tempi moderni, ma assieme si erge a protagonista assoluta perché individualista in modo coerente, predatrice in un mondo abitato da suoi simili. Forse il suo personaggio più sgradevole, ma da certi punti di vista anche quello politicamente e culturalmente più attuale, con buona pace della retorica inclusiva o di genere che il cinema post “Me Too” ha cercato di farci digerire ad ogni costo. Il bene e il male risplendono in lei non in quanto donna, in quanto lesbica, ma in quanto persona, perché questo è il tratto più universale di tutti.

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