Andrea Riseborough ha finalmente rotto il silenzio sulla controversia legata alla sua nomination agli Oscar per To Leslie, che ha spinto l’Academy a mettere in moto un’indagine per capire se la campagna del film avesse avesse violato le sue linee guida. Il dubbio era che Riseborough e il regista Michael Morris, costretti a ricorrere a una campagna di passaparola tra le star amiche vista l’assenza di budget per una vera campagna Oscar, avessero giocato sui cavilli per aggirare le regole su proiezioni e ricevimenti fissate dall’Academy. Alla fine, si è deciso di lasciar correre, in quanto “l’attività in questione non raggiunge un livello tale da farci annullare la nomination al film”.
L’attrice ha detto a The Hollywood Reporter:
Non so che cosa so. Penso che, quando avrò tempo di processare tutta la questione, potrei capirla un po’ meglio.
E ha aggiunto:
È stato tutto molto confuso. Ed è stupendo che il film stia venendo visto. Si può dire che sia un raggio di luce molto luminoso. Quando lavoriamo a qualcosa, vogliamo che quel lavoro venga assorbito in qualche modo. Non puoi controllare come questo avverrà.
Riguardo le misure adottate, Andrea Riseborough ha osservato:
Le campagne per i premi sono aspramente esclusive e lo sono sempre state. Non ho ancora idea di quali misure possano incoraggiare al meglio la meritocrazia. Sto cercando di scoprirle e continuerò a farlo.
Infine, a proposito del dibattito scatenato dalla sua candidatura, ha detto:
Non solo ha senso che questa conversazione avvenga, ma è necessario. L’industria del cinema è tremendamente iniqua in termini di opportunità. Sono attenta a non parlare per bocca di altre persone, perché sono meglio posizionate per parlare, e io voglio ascoltare.
“Sono grata per la conversazione, perché bisogna tenerla. Ha avuto un profondo impatto su di me”, conclude l’attrice.
Di certo, l’Academy si occuperà di rivedere le linee guida dopo gli Oscar 2023, per chiarire alcuni punti. Ma dovrà stare attenta, perché, in difesa di Andrea Riseborough si sono sollevate molte voci, indignate dal fatto che l’Academy volesse apparentemente proteggere un sistema iniquo, che penalizza i piccoli film in favore delle grandi produzioni.