Cinema

Emily Blunt e i suoi 40 anni in 5 grandi interpretazioni

Pubblicato il 23 febbraio 2023 di Giulio Zoppello

Pochissime attrici nel panorama internazionale possono vantare la popolarità e il prestigio di cui gode Emily Blunt, al secolo Emily Olivia Leah Blunt, londinese doc che negli anni ha saputo ritagliarsi una presenza iconica all’interno del panorama cinematografico e televisivo. La sua incredibile adattabilità di interprete è stata a lungo sottostimata, dal momento che la Blunt si è dimostrata capace di destreggiarsi in ogni genere con incredibile efficacia. Dal musical all’action, dalla commedia al dramma in costume fino al genere fantascientifico, sono tantissimi i film di spessore in cui si è distinta. Quelli di seguito sono i 5 in cui ha saputo darci qualcosa di unico.

The Young Victoria

L’ultimo decennio è stato dominato senza ombra di dubbio da una narrazione cinematografica e televisiva connessa alle vicissitudini della monarchia inglese nell’arco della sua storia. Young Victoria però rimane senza ombra di dubbio uno dei migliori prodotti mai realizzati sul tema, un film in grado di donarci un’immagine quanto più possibile umana di una figura titanica della storia come fu la regina Vittoria, una delle più straordinarie ed influenti monarche di sempre. Emily Blunt nel film di Jean-Marc Vallée riuscì a darci una giovane donna incredibilmente umana ed empatica, che si trovò all’improvviso catapultata sul trono più importante del mondo. Domina molto il tema del melò, il suo matrimonio con Albert (Rupert Friend) dove si cercò di conciliare sia la ragion di Stato che i suoi sentimenti.
Emotiva, sensibile, romantica, a poco a poco grazie ad Emily Blunt, Vittoria diventa protagonista di una metamorfosi che, per quanto slegata da una dimensione di machiavellico cinismo, di certo è utile nel farci comprendere la difficoltà della sua posizione, la sua vita del tutto priva di un’autentica libertà.
Il film è ancora oggi particolarmente accattivante per come la Blunt con Friend seppe mettere in scena la complessità di un legame affettivo unico, creando un parallelo tra i necessari compromessi della vita coniugale e quelli della casa reale.

Sicario

Quello di Denis Villeneuve è il miglior narco-movie del XXI secolo, una pietra miliare della settima arte dal punto di vista formale e semantico. La Blunt nel 2015 fu Kate Macer, agente dell’FBI decisa a fare quanto possibile per ostacolare i cartelli messicani della droga, motivo per il quale finirà coinvolta in una task force guidata dall’astuto ed infido Matt Graver (Josh Brolin), con il misterioso e ferale Alejandro (Benicio Del Toro) come punta di lancia. Per tutta la durata del film, Emily Blunt riesce a darci la perfetta immagine di che cosa significhi essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. La sua Kate è un’idealista che vede il mondo come bianco o nero, quando invece quella guerra al confine tra Stati Uniti e Messico è soprattutto grigia, fatta di sanguinosi compromessi e una mancanza totale di moralità. Coraggiosa e determinata, per quanto assolutamente impreparata a ciò che deve affrontare, in un certo senso è perfetta metafora della nostra mancanza di conoscenza su ciò che è la realtà di quel mondo. Straordinaria la sua chimica con Del Toro, anima nera e dannata di un universo da cui alla fin fine si allontanerà, perché è perfettamente conscia della verità che proprio lui le ha fatto comprendere nel confronto finale, di incredibile caratura attoriale: finirà stritolata da quell’universo, è un agnello in un mondo di lupi.

My Summer of Love

Basato sul romanzo di Helen Cross, My Summer of Love di Paweł Pawlikowski è stato il film che ha lanciato agli occhi della critica Emily Blunt, dimostrandone l’incredibile talento e la grande presenza scenica, all’interno di una delle opere cinematografiche indie di maggior bellezza e ricchezza di contenuti del XXI secolo. Nei panni della annoiata e insincera Tamsin, la Blunt fu capace di costruire un personaggio incredibilmente seducente, torbido, affascinante e allo stesso tempo profondamente negativo.
Figlia privilegiata di un parlamentare britannico rappresenta al meglio l’egoismo e il cinismo di chi usa i sentimenti degli altri per il proprio personale tornaconto emotivo, in questo caso quelli che verso di lei ha Mona (Natalie Press) figlia di operai e condizionata da una storia familiare incredibilmente difficile.
Nel suo crogiuolo di tenerezza e tristezza, questo film rimane uno dei più belli di sempre su quell’incredibile mistura di crudeltà, scoperta, avventura e delusioni che è l’adolescenza, nonché uno dei film più sinceri sul classismo persistente nella società britannica. Emily Blunt di base si pone come interprete di uno spirito post anarchia e post ‘68, ma allo stesso tempo si erge a simbolo della libertà più totalizzante e volendo anche negativa che il mondo femminile sa creare attorno a sé.

A Quiet Place

Diretta dal marito John Krasinski, Emily Blunt mette a segno un’altra grandissima interpretazione in uno dei film di fantascienza più interessanti del nuovo millennio, quel A Quiet Place che di fatto ha ridato linfa al concetto di alieno come simbolo dei nostri incubi, mostrato una nuova visione sia distopica che post apocalittica dell’umanità. Evelyn Abbott, coraggiosa moglie incinta persa nel nulla assieme al marito Lee, e ai figli Marcus, Beau e Regan, cerca di sopravvivere come può dopo mesi di angoscia, morte e distruzione. Dei ferocissimi e misteriosi alieni, totalmente privi di vista ma dotati di una forza terrificante, hanno sostanzialmente raso al suolo l’intera società. A Quiet Place riporta al centro della narrazione il concetto di terrore primordiale, puro, quello che dovevano aver provato i primi uomini, sostanzialmente indifesi contro le fiere. Ma vi è anche il legame con il mito, quello antico e sanguinoso, la manifestazione del divino come terrore e punizione. In tutto questo, Emily Blunt riesce a porsi come straordinaria erede della tradizione delle grandi protagoniste al femminile del genere fantascientifico come il Tenente Ripley o Sarah Connor.
La sua Evelyn è lungi dall’essere un’eroina di quelle che il cinema ci ha volgarmente offerto, privandole di ogni fragilità e umanità, perché la sua incredibile espressività, il realismo che la pervade, ne fanno invece un personaggio tra i più interessanti e commoventi, tra i più coinvolgenti e pregni di significato.

Il Diavolo Veste Prada

Quello di David Frenkerl è il film che l’ha lanciata definitivamente tra il grande pubblico, per quanto in un ruolo da non protagonista, che però le fruttò la candidatura ai Golden Globe. Il Diavolo Veste Prada è una delle più belle commedie degli inizi degli anni 2000, ma soprattutto uno dei film più realistici e cinici nel parlarci della società moderna, soprattutto del mondo della moda. Di quell’universo in realtà così superficiale eppure complesso, così dittatoriale e privo di valori, lei è manifestazione quasi quanto la sua Boss, Miranda Presley (Meryl Streep). Anne Hathaway era la protagonista, con la sua ingenua ma poi sempre più arrivista Andrea Sachs, ma la Emily della Blunt è lungi dall’essere un personaggio privo di spessore o di contenuti, anzi a conti fatti è forse la vera e più tragica immagine di quel mondo. Apparentemente odiosa, altezzosa e privo di ogni reale empatia, nella realtà è una donna chi si sottopone ad uno stress continuo, a ritmi di lavoro terrificanti, rinuncia ad avere una vera vita privata, ad essere felice, in nome della sua carriera. Emily Blunt fu eccezionale nel mostrarne la vera anima ferita e distrutta a poco a poco, mentre si sottopone a diete insensate, si ammala e rimane vittima di incidenti, vede la nuova arrivata scalzarla in men che non si dica. Uno dei personaggi senza ombra di dubbio più interessanti che Emily Blunt abbia interpretato per la sua duplicità, per il suo essere in realtà una vittima dello stesso sistema che produce e poi elimina tante come lei, per preservare invece personaggi come Miranda.