Carnival Row: la recensione della seconda e ultima stagione della serie Amazon

Carnival Row: la recensione della seconda e ultima stagione della serie Amazon

Di Marco Triolo

La prima stagione di Carnival Row è uscita talmente tanto tempo fa che il mondo era ancora un posto molto diverso da quello che conosciamo ora – e sì, è un eufemismo per dire che non era ancora nemmeno arrivato il Covid. I primi otto episodi della serie fantasy di René Echevarria e Travis Beacham erano infatti approdati su Prime Video il 30 agosto 2019. La lavorazione della stagione 2 è stata lunga, rallentata inevitabilmente dalla pandemia, ma alla fine ci siamo: i nuovi episodi, dieci in tutto, sono ora disponibili su Prime Video. Saranno anche gli ultimi della serie, che Amazon ha deciso di chiudere dopo due sole stagioni, probabilmente anche perché non deve essere affatto economica come produzione.

Dove eravamo rimasti? La memoria si annebbia, è passato troppo tempo. L’importante è ricordare questo: Carnival Row è ambientata in un mondo che ha le caratteristiche del classico universo fantasy – dove gli umani convivono con creature mitologiche come fate, fauni, centauri, orchi – applicate però non alla solita fantasia medievaleggiante, ma a un’epoca più simile all’era Vittoriana, il tardo ‘800 inglese. Le vicende si ambientano a Burgue, una metropoli che somiglia moltissimo a Londra, e si incentrano su Rycroft “Philo” Philostrate (Orlando Bloom), un poliziotto che indaga su una serie di delitti e scopre una cospirazione che, infine, porta alla morte del cancelliere (Jared Harris) e all’ascesa politica di suo figlio. Philo ha avuto una relazione con una fata, Vignette Stonemoss (Cara Delevingne), anche lei trasferitasi a Burgue dopo la caduta della sua città natale. Nel corso degli episodi si scopre anche che Philo è mezzo uomo e mezzo fata, e che è figlio illegittimo del cancelliere. Una trama parallela segue invece Imogen Spurnrose (Tamzin Merchant), un’aristocratica che si innamora, ricambiata, di Agreus Astrayon (David Gyasi), un fauno arricchitosi da solo in una società fortemente razzista nei confronti dei non-umani. La loro storia, sconveniente, li porta alla fine a lasciare Burgue per altri lidi.

La prima stagione conteneva decisamente delle trovate degne di nota, specialmente di world-building e messa in scena, ma la storia finiva un po’ schiacciata da questi elementi ingombranti e da un sacco di esposizione. La cospirazione in sé era abbastanza confusa e non sufficientemente originale da distinguersi nella pletora di gialli e storie di serial killer ante litteram già visti a ripetizione sul piccolo schermo. Eppure, già solo l’idea di un mondo fantasy mescolato a scenari in genere associati allo steampunk era vincente. Per fortuna la nuova stagione si muove in maniera decisamente più snella e riesce a intrattenere con dei cliffhanger riusciti, guidando lo spettatore per mano senza appesantire la narrazione, ma permettendo al mondo di Carnival Row di respirare molto di più.

Echevarria e Beacham ottengono questo risultato concentrandosi su poche ma funzionali linee narrative e conflitti che, per quanto a volte naif, sono chiari e universali. Da un lato c’è una nuova scia di misteriosi delitti, che trascinerà Philo in una posizione scomoda: lui ora è esplicitamente una “creatura”, invisa alla polizia, eppure i vecchi colleghi gli chiederanno aiuto, e questo lo piazzerà nella lista nera di una fazione rivoluzionaria delle fate, quella in chi milita Vignette. Dall’altro, Imogen e Agreus hanno raggiunto le rive del Patto, uno stato lacerato da una guerra civile in cui i ribelli hanno fondato un’utopia paragonabile al comunismo, per combattere l’oppressione dei padroni. Infine, assistiamo alle macchinazioni politiche del nuovo cancelliere Jonah Breakspear (Arty Froushan) e della leader dell’opposizione, e sua amante, Sophie Longerbane (Caroline Ford), entrambi con secondi fini più o meno pronunciati.

La cosa più interessante che emerge da questa stagione è come non ci siano buoni o cattivi, nel mondo di Carnival Row. Sì, quello che i ricchi fanno per mantenere il potere e la presa sulle folle è deprecabile, e il modo in cui cavalcano odio e razzismo (o, meglio, specismo) fa il paio con la condotta di certi leader populisti di oggi. Sì, è comprensibile che questo scateni reazioni da parte degli oppressi, fino a spingerli ad atti di sabotaggio e terrorismo. Però questi ultimi non vengono mai ritratti come degli eroi senza macchia; sono spesso violenti, rabbiosi, irrazionali, gelosi del loro potere esattamente come i loro avversari. Neppure i protagonisti sono esenti da questo: Philo è un brav’uomo, ma spesso si fa trasportare dal suo idealismo e perde il contatto con le persone. Vignette è contraddittoria e ha la tendenza a farsi prendere alla rabbia. Dall’altra parte, Echevarria e Beacham si assicurano di dipingere anche i personaggi più detestabili come degli esseri umani con le loro complessità e motivazioni, senza demonizzare nessuno, neppure il peggiore dei razzisti. È una visione che, finalmente, giustifica anche quei set barocchi e stracolmi di dettagli: tutto si mescola per raccontare un mondo stratificato e non diverso dal nostro, mosso dalle stesse paure, iniquità e incomprensioni.

L’unico vero problema di Carnival Row è che la storia d’amore centrale, quella tra Vignette e Philo, è danneggiata dalla pressoché totale assenza di alchimia tra Cara Delevingne e Orlando Bloom. Molto meglio Tamzin Merchant e David Gyasi: i loro Imogen e Agreus funzionano molto bene insieme, e reggono sulle proprie spalle la sottotrama forse meno interessante della stagione, quell’allegoria del comunismo talmente pedante da smettere di essere allegoria. Detto questo, anche nel mondo del Patto c’è spazio per quanto detto finora: nemmeno gli oppressi ribelli sono delle persone integerrime, anzi. Non appena un oppresso si trova in una situazione di vantaggio, diventa subito oppressore.

Carnival Row non è assolutamente una serie perfetta. Manca qualcosa di realmente iconico e memorabile, qualcosa che giustifichi una narrazione di più ampio respiro. Non è un caso che Amazon abbia scelto di chiudere la serie con la stagione 2, e forse è persino meglio così: almeno, sapendolo sin dall’inizio, Echevarria e Beacham hanno potuto costruire una storia con pochi fronzoli, votata solamente a dare una conclusione sensata e rigorosa alla serie, senza sentirsi in obbligo di espanderne ulteriormente il mondo in vista di stagioni future.

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