Non accade spesso, ma c’è qualcosa di paradossale nel vedere gli enormi mezzi di Hollywood alle prese con l’infinitamente piccolo. Un tempo, la soluzione consisteva nel riprodurre scenari, oggetti e creature a dimensioni maggiorate rispetto al normale, in modo che gli umani sembrassero minuscoli al loro confronto (pensiamo a Viaggio allucinante o Radiazioni BX: Distruzione uomo, ma anche Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi). Gli effetti erano stupefacenti grazie al sapiente artigianato degli scenografi, che stravolgeva le proporzioni del mondo in cui viviamo. Il caso di Ant-Man and the Wasp: Quantumania però è diverso, non solo perché figlio dell’epoca digitale: qui si tratta infatti di esplorare un vero e proprio universo che esiste a livello subatomico, e che nei fumetti si chiama Microverso, mentre nel Marvel Cinematic Universe è stato ribattezzato Regno Quantico. In altre parole, il regista Peyton Reed e i Marvel Studios hanno dovuto immaginare una realtà “altra”, impercettibile alla nostra esperienza, che rievoca quell’idea di infinito contenuta già in Tre millimetri al giorno di Richard Matheson (romanzo da cui fu tratto il sopracitato Radiazioni BX). Mentre l’MCU espande i suoi confini, insomma, sembra che ovunque ci sia un universo da scoprire: oltre i limiti del sistema solare, nelle profondità oceaniche, nelle linee temporali alternative, e ora persino all’ombra degli atomi.
Ovviamente Scott Lang (Paul Rudd) ha già visitato il Regno Quantico, e la famiglia allargata di cui fa parte è ben consapevole della sua esistenza. Dopo aver salvato l’universo con gli Avengers in Endgame, il nostro Ant-Man si sta godendo la popolarità a San Francisco: la gente lo saluta per strada, le caffetterie gli offrono da bere, e il pubblico affolla le librerie dove presenta la sua autobiografia. Il rapporto con Hope Van Dyne (Evangeline Lilly) procede a gonfie vele, ma è sua figlia Cassie (Kathryn Newton) a provocargli dei grattacapi: in quanto attivista sociale, la ragazza si ritrova spesso nei guai con la legge, e inoltre ha già imparato a usare le particelle Pym. Con il nonno Hank (Michael Douglas), Cassie ha addirittura costruito un satellite per studiare il Regno Quantico, inviando segnali che poi ritornano indietro. Janet (Michelle Pfeiffer) intuisce il pericolo, ma non basta: risucchiati improvvisamente nell’universo subatomico, Scott e gli altri sono costretti ad affrontare un tiranno che vuole solo fuggire da laggiù, il potentissimo Kang il Conquistatore (Jonathan Majors).
Ant-Man and the Wasp: Quantumania conferma una tendenza ormai piuttosto comune nel MCU, le cui avventure si svolgono sempre meno nel “mondo fuori dalla finestra” di cui parlava Stan Lee, e sempre più in dimensioni immaginarie. Non c’è dubbio che, per creare il Regno Quantico, Peyton Reed e la sua squadra abbiamo tratto ispirazione dalla microfotografia, ma gran parte dei riferimenti vengono dalla space opera e dal genere science fantasy, di cui il film rimedia moltissime dinamiche visive e narrative: impossibile non pensare a John Carter (con l’eroe catapultato in un mondo che non conosce, dove trova popoli da aiutare e un tiranno da combattere) e a Star Wars (la resistenza contro l’oppressione, il melting pot subatomico al posto di quello intergalattico).
Ovviamente Quantumania si sforza di elaborare questi modelli a modo proprio, soprattutto nel funzionamento delle tecnologie e nel disegno delle creature. Siamo di fronte a uno dei capitoli stilisticamente più bizzarri del MCU, e il divertimento risiede soprattutto nello scoprire i dettagli più coloriti di questo nuovo mondo. È inoltre il film dei Marvel Studios che si avvicina di più al registro di Rick and Morty, tanto per l’umorismo (ma solo a tratti) quanto per i personaggi stravaganti: non è certo un caso che lo sceneggiatore sia Jeff Loveness, autore di sei episodi della serie. Purtroppo, il copione è anche uno dei suoi limiti principali. Nella prima parte non mancano scene e situazioni che si combinano in maniera forzata o affrettata, forse a causa delle continue riscritture durante le riprese: in tal senso, l’impressione di assistere a uno spettacolo un po’ artificioso è evidente, anche per i dialoghi poco naturali e gli sfondi in CGI non sempre impeccabili. Lo stesso umorismo ha il fiato corto, ormai esausto dopo anni di gag che si ripetono con poche variazioni. Esemplare il caso di Veb, personaggio cui dà la voce David Dastmalchian, probabilmente più spassoso sulla carta che nella pratica.
In compenso, Ant-Man and the Wasp: Quantumania dà il meglio di sé nei momenti drammatici, gradevole paradosso per un franchise che ha sempre puntato molto sull’ironia. Il merito è in gran parte di Jonathan Majors nel ruolo di Kang: distanziandosi completamente dalla giocosità di Colui Che Rimane, Majors infonde nel tiranno una sfumatura malinconica e introspettiva, tipica di chi conosce già tutta la Storia e vive ogni istante della sua vita con disincanto. Anche Paul Rudd ha lo spazio per esprimere i lati più angosciosi di Scott (soprattutto grazie all’amore per la figlia Cassie), insieme a un impegno fisico che non era presente negli altri film. Analogamente, fa piacere che Michael Douglas e Michelle Pfeiffer siano più coinvolti nell’azione: la dedizione di entrambi è palese, credono davvero nei rispettivi personaggi, ma talvolta restano intrappolati in dialoghi non proprio memorabili.
Comunque, lo scarso coraggio negli sviluppi narrativi dimostra che Quantumania è soprattutto un capitolo di passaggio, funzionale al macro-racconto del MCU, nonché il vero inizio della Multiverse Saga dopo gli accenni di Doctor Strange nel multiverso della follia e Loki. Ci troviamo a metà strada fra l’ingenuità del science fantasy e l’autoconsapevolezza dei blockbuster postmoderni, che prendono i sogni psichedelici di riviste come Métal Hurlant o Heavy Metal e li espandono in una produzione sontuosa. L’autenticità di quelle pubblicazioni è lontana, ma l’intrattenimento non manca.