Il cinema ha parlato in molti modi diversi dell’Olocausto, anche negli ultimi anni non sono mancate pellicole che hanno cercato di mostrarci storie inedite, una visione diversa e più approfondita di un dramma che ha segnato la storia dell’umanità.
La Giornata della Memoria è diventata un appuntamento costante anche per chi ama il cinema, quello fatto di verità, sovente terrificante, di una volontà di preservare la memoria in quanto contenitore di lezioni da non mettere mai da parte. Tra i film che andrebbero riscoperti e sicuramente rivalutati su questo tema, ve ne è uno distribuito l’anno scorso dalla HBO e che non è stato valorizzato quanto potrebbe: Harry Haft: Storia di un Sopravvissuto (The Survivor), firmato nientemeno che dal grande Barry Levinson e con un Ben Foster come sensazionale protagonista di uno dei biopic più struggenti e crudi degli ultimi anni.
Poche storie meriterebbero maggiore attenzione di quella di Harry Hart, all’anagrafe Hertzko Haft, nato a Bełchatów in Polonia, uno dei tanti milioni di ebrei che furono travolti dalla furia nazista. Nato nel 1925, Haft fu naturalmente come milioni di altri imprigionato e costretto ai lavori forzati in diversi campi di concentramento, fino a quando nel 1943 non fu internato niente meno che a Jaworzno, uno dei campi satellite di Auschwitz Birkenau. Qui fu notato per la forza fisica e la tempra, nonché per l’atteggiamento indocile che invece di fruttargli una morte immediata, lo vide catapultato su un improvvisato ring dove fu costretto a battersi decine di volte contro altri deportati.
In palio c’era la sua vita e naturalmente anche la possibilità di avere un trattamento leggermente migliore rispetto a chi era quasi sempre condannato a una morte per fame, stenti e naturalmente le famigerate camere a gas. Per ben 76 volte Harry fu costretto a sconfiggere uomini che come lui erano finiti triturati dalla macchina di morte nazista, inflisse loro KO ai quali seguiva sempre un colpo di pistola o di fucile con cui veniva finito il perdente. Sopravvissuto grazie alla fuga a una delle tante marce della morte che seguirono il dissolversi del sistema dei capi di concentramento per l’avanzata dell’Armata Rossa, Harry sarebbe infine finito a fare il pugile professionista negli Stati Uniti. L’apice della sua carriera arrivò nel luglio del 1949, quando fu chiamato a contendere il ring nientemeno che al leggendario Rocky Marciano.
Dalla sua storia nel 2011 il fumettista Reinhard Kleist aveva tratto una bellissima graphic novel, pluripremiata dalla critica. Ed è anche collegandosi a quest’ultima che Barry levinson, avvalendosi di una sceneggiatura di Justine Juel Gillmer che riesce ad essere quasi del tutto fedele alla vita di Haft, ha creato questo The Survivor. Recensire questo film significa guardare con oggettiva incredulità alla scarsa visibilità che è stata data ad un’opera di grande coerenza, impatto, umile ma incredibilmente potente nel parlarci di un sopravvissuto, un uomo che per tutta la vita dovete fare i conti con violenza, dolore e soprattutto dei sensi di colpa terrificanti.
Ben Foster, classe 1980, è con ogni probabilità l’attore più sottovalutato della sua generazione. The Survivor ne è l’ennesima prova. Lo abbiamo visto dotato di un abbagliante talento trasformista in film come Lone Survivor, Quel Treno per Yuma, Hell or High Water, Pandorum o The Messenger.
Qui si conferma interprete a dir poco eccezionale, strizza sovente l’occhio e recupera ciò che Robert De Niro fece per Toro Scatenato di Scorsese, perdendo e prendendo peso, muscoli, muovendosi avvinghiato a rabbia e disperazione in modo unico, sensazionale in un film che si muove sempre seguendo una linea tragica, ben distante dall’epica o dall’eroismo. Il che forse può spiegare perché non sia stato esaltato quanto meritava dalla critica, forse anche per l’essere finito sulla HBO piuttosto che su Netflix o Apple TV+. Foster interpreta Haft dalla fine degli anni ‘30, quando gli fu strappata dai nazisti l’allora fidanzata Lea, all’inizio degli anni ‘60. In mezzo vi è l’inferno, un ritratto straordinario di un pugile affetto da PTSD, traumatizzato da un orrore che aveva dovuto abbracciare per sopravvivere, e che ha in particolare un volto, biograficamente fittizio ma storicamente vero, quello del Capitano delle SS Dietrich Schneider (Billy Magnussen). Schneider lo scopre, lo salva, lo allena, ma solo per renderlo suo schiavo personale, con cui guadagnare soldi e prestigio in ributtanti combattimenti tra uomini disperati e vicini allo stremo per la fame e l’orrore che gli circonda. I colori si alternano al bianco e nero, in un racconto caratterizzato da continui flashback e flashforward, che ci restituiscono l’immagine di un uomo tanto possente, incapace semplicemente di arrendersi, pugile assolutamente elementare come capitava spesso in quegli anni, ma allo stesso tempo fragile, inseguito da un terrore che Levinson riesce a farci arrivare in modo unico, ipnotico quasi. Pochissimi film negli ultimi anni hanno saputo portarci qualcosa di nuovo, di diverso su cosa ha significato finire dentro la Soluzione Finale e convivere con il senso di colpa di avercela fatta, magari strappando un pezzo di pane o la vita ad un altro che era stato marchiato dai nazisti. The Survivor è di conseguenza quasi più una vivisezione emotiva ed esistenziale non un vero biopic, perlomeno non nell’accezione degradante e zuccherosa che il cinema ci ha dato di tale genere ultimamente.
La boxe come condanna e come salvezza, il Ring come tempio dove umiliarsi e assieme riscattarsi? Un altro dei pregi di The Survivor, che ha un cast di contorno di altissimo livello con Vicky Krieps, Billy Magnussen, Peter Sarsgaard, John Leguizamo e Danny DeVito, è anche quello di decostruire il mito della nobile arte come mezzo di riscatto sociale. Lo fu senz’altro, lo era già ai tempi in cui Rocky Marciano, quel piccolo carro armato italiano, diventava l’eroe di un’intera nazione, lo era stato prima anche della Seconda Guerra Mondiale, con le imprese di Joe Louis e la sua rivalità con Max Schmelling.
Ma per ogni Jake LaMotta (di cui rivive l’anima scorsesiana in modo palese qui), per ogni Rocky Balboa che il cinema ci ha dato, poi esiste l’altra faccia, quella reale, quella di uomini come Harry Haft, che erano mera carne da macello per gli organizzatori ed i managers, costretti più che a inseguire un sogno, a fare l’unica cosa che pensavano di saper fare: battersi per sopravvivere.
The Survivor è un film lungi dall’essere sentimentale, ma contiene tanti sentimenti, può sembrare un paradosso ma li viviamo tutti grazie a Ben Foster, a questo uomo aggrappato alla vita per ostinazione più che per amore. La speranza non esiste, esiste solo la furia cieca, la lotta, il senso di colpa per non aver più trovato la fidanzata, per il silenzio e la solitudine che lo circondano.
The Survivor ha avuto diverse nomination, eppure appare sorprendente che un film di questo calibro e di questa caratura, classico nella forma ma incredibilmente innovativo nella sostanza, sia passato così tanto in sordina. Perché pochissimi sono riusciti a rendere veramente tangibile l’importanza della memoria, così come l’oblio che subito si fece strada nel mondo, quasi a voler rifiutare che qualcosa come Auschwitz o Dachau fosse veramente accaduta, quasi a voler gettare un marchio di paria sui sopravvissuti come Harry Haft. Perché finché loro vivevano e ricordavano a tutti cosa era successo, per molti pareva quasi che la guerra non fosse mai finita. Ecco perché in questa Giornata della Memoria, dovreste recuperarlo: non è solo un bellissimo film è un film incredibilmente importante.
Harry Haft: Storia di un Sopravvissuto è disponibile su Sky e in streaming su NOW.