Capita che, nella vita, ti chiedano quali siano il tuo film o la tua serie TV preferiti. Spesso le risposte sono inaspettate anche per chi risponde, perché da una parte c’è il Super-io che preme per farti snocciolare qualche titolo rispettato, apprezzato, che ti faccia fare una bella figura. Dall’altra c’è invece l’Es, che ti impone di essere sincero, di rispondere col cuore. Nel mio caso, l’Es mi fa sempre rispondere That ’70s Show.
Mi rendo conto di essere di parte, di essere troppo coinvolto per dare un giudizio lucido su That ’90s Show, revival che salta una decade – perché That ’80s Show esiste già e perché, in effetti, sono passati quasi diciassette anni dalla conclusione di That ’70s Show – e ci riporta a Point Place, Wisconsin, per raccontare cosa succede quando il basement di Eric Forman viene popolato da una nuova generazione di teenager che, invece di Led Zeppelin e Blue Öyster Cult, vanno pazzi per Nirvana e Green Day. Tenterò comunque.
Innanzitutto, That ’90s Show non è un disastro, e già questo possiamo contarlo come un risultato. D’altro canto, la formula di That ’70s Show, nella sua semplicità, non era facile da replicare. Perché, no, la serie di Mark Brazill, Bonnie Turner e Terry Turner non è certamente la definizione di high concept. Non c’è un lampo di genio alla Breaking Bad alla base: ci sono solo dei teenager che si cacciano in situazioni da teenager nell’America del Midwest anni ’70. Il resto lo fanno la scrittura, sempre intelligente e inventiva, il ritmo forsennato delle gag, i comprimari eccezionali e, in generale, un cast affiatatissimo, che rasenta la perfezione.
Ecco perché, si diceva, la formula non è facile da replicare. Quando fai il reboot di Quantum Leap hai il tizio che viaggia nel tempo e salva vite, devi solo scegliere bene il protagonista e già parti con un’idea seriale solida. Quando rifai That ’70s Show ti tocca azzeccare un intero cast di teenager e recuperare la freschezza della comicità originale. Oltretutto, That ’90s Show parte svantaggiata: dieci episodi sono troppo pochi per una sit-com vecchio stampo. Questo tipo di serialità ha bisogno di respirare, ha bisogno di stagioni di lunga durata, perché è solo col tempo che gli sceneggiatori e gli attori riescono a trovare i personaggi e a capirli, ricavandone spunti che renderanno le situazioni ancora più divertenti. Oltretutto, in genere le sit-com non ingranano nemmeno dalla prima stagione, ma almeno dalla seconda – ed è quello che succedeva, in effetti, anche a That ’70s Show. Dieci episodi sono poco più che un prologo di qualcosa che, potenzialmente, potrebbe essere buono, ma che non ha il tempo di sbocciare. Questo matrimonio tra vecchia (le sit-com classiche) e nuova serialità (le serie di breve durata) purtroppo non funziona, dobbiamo rendercene conto e Netflix lo deve accettare.
Detto questo, e tornando indietro di un paio di paragrafi, That ’90s Show avrebbe potuto essere un disastro, ma non lo è. Lo si deve principalmente ai vecchi personaggi: Kurtwood Smith e Debra Jo Rupp sono sempre fantastici nei panni di Red e Kitty, e a Tommy Chong bastano due minuti nei panni di un Leo sempre più spaesato per mangiarsi la scena con tutti i comprimari. Tornano anche i teen originali (a parte Danny Masterson, sotto processo per abusi sessuali), e tra questi è il Fez di Wilmer Valderrama ad avere inaspettatamente il ruolo più interessante – e una parte garantita nella stagione 2, se si farà. Quando questi personaggi entrano in scena, elevano il materiale con la forza del loro carisma, ed è come se i pezzi del puzzle andassero al loro posto e non fossero trascorsi sedici (quasi diciassette) anni dalla conclusione della serie originale.
Alla lunga, non c’è bisogno di dirlo, questo potrebbe essere un problema, perché se l’intento era quello di farci affezionare alla nuova generazione di adolescenti, la missione è riuscita a metà. Un po’ perché gli autori, Gregg Mettler (sceneggiatore e produttore di That ’70s Show) e Bonnie Turner, non sono più giovanissimi; un po’ perché azzeccare un gruppo come quello composto da Topher Grace, Laura Prepon, Danny Masterson, Ashton Kutcher, Mila Kunis e Wilmer Valderrama è semi-impossibile; e un po’ per quello che si diceva prima, la mancanza di tempo per trovare il tono giusto e far fruttare personaggi e dinamiche.
Ne esce una serie innocua ma tutto sommato piacevole, che scivola via senza intoppi ma che, ovviamente, sembra la copia meno riuscita dell’originale. Una serie a cui, soprattutto, manca il senso dell’avventura e del divertimento che alimentava That ’70s Show. That ’90s Show si concentra troppo sui problemi di cuore della protagonista, Leia Forman (Callie Haverda), e dimentica che, come diceva sempre Red Forman, i teenager sono degli idioti, sempre pronti a cacciarsi nei guai pur di fare una bravata. Pur nei ranghi di una sit-com da palinsesto in chiaro, That ’70s Show viaggiava sul filo di una scorrettezza divertita e a tratti inebriante, che ne ha fatto la fortuna. Qui quella scorrettezza non si percepisce, forse anche perché, nel frattempo, tutta la TV è diventata più scorretta. Forse, semplicemente, la formula di That ’70s Show non si può replicare perché ha fatto il suo tempo – e se davvero Netflix avesse voluto replicarla, avrebbe dovuto aggiornare non solo l’epoca, ma anche lo stile.
In ogni caso, i fan troveranno qualcosa da apprezzare in questo revival, mentre gli spettatori casuali potrebbero ritrovarsi confusi di fronte a gag ricorrenti impossibili da comprendere senza aver visto la vecchia serie. Magari questa sarà l’occasione perfetta per andare a recuperare una delle migliori sit-com di fine millennio.
That ’90s Show è ora disponibile su Netflix. QUI il trailer.