Difficile prevedere in che modo il nuovo film di M. Night Shyamalan verrà accolto dalla critica, quel che è certo è che dare uno sguardo alla cinematografia di questo cineasta, significa confrontarsi con un autore che ha conosciuto alti e bassi, ma che continua comunque e sempre a stupire, ad affascinare.
Bussano alla Porta merita di essere guardato come spunto per un’analisi generale su un tema che Shyamalan ha sovente affrontato nella sua cinematografia: l’Apocalisse. Non è Infatti la prima volta che questo tema domina in un suo film, anzi a guardare bene, il concetto di fine traumatica, collettiva, di stravolgimento della normalità è una delle grandissime costanti e soprattutto dei temi ricorrenti che egli ha sempre cercato.
M. Night Shyamalan l’altrove lo ha sempre voluto, l’ho sempre agognato. Il suo film d’esordio, Praying with Anger, dove era anche protagonista, non a caso aveva la preghiera come tema principale. Ad Occhi Aperti, film di formazione su un bambino di 10 anni alle prese con la scomparsa del nonno, anticipò poi quella coesistenza tra realtà terrena e soprannaturale, quel loro compenetrarsi, che lui ha portato a livelli di stratificazione probabilmente inedita.
Certo, possiamo discutere sul fatto che a livello di qualità la sua cinematografia non sia sempre stata all’altezza del suo talento, soprattutto a causa del suo sopravvalutarsi in qualità di sceneggiatore.
Tuttavia non è un caso che con Il Sesto Senso, nel 1999, Shyamalan ci abbia dato più che un horror, una sorta di manuale narrativo sul nostro rapporto con il concetto di morte, con ciò che di tale elemento e realtà ci terrorizza. Cole e Malcolm non sono tanto una sorta di medium con l’oltretomba e un fantasma che si crede uno psicologo ancora in vita. Sono due entità in grado di comunicare, sono un ponte che ci guida verso l’illuminazione finale sul nostro percorso: è molto diverso da come religione e culti abbiano sempre pensato: si agita la certezza che vi sia molto meno distanza tra queste due realtà.
Ma se i vivi e i morti non sono poi così distanti, ecco allora che tutto ciò che abbiamo sempre pensato a riguardo di un futuro migliore oppure un futuro peggiore viene spazzato via, perché la realtà è che il legame non si interrompe mai, ed essere morti in fin dei conti significa soprattutto agitarsi in mezzo ai rimpianti, così come essere in possesso di una verità che non può essere utilizzata.
Niente Giorno Del Giudizio finale, il giudizio in un certo senso è già arrivato, ed ognuno ha sempre la sensazione di essersene andato molto prima del suo tempo, prima di aver sistemato le proprie cose o fatto i conti con i propri fallimenti.
Se Unbreakable a molti sembrò una semplice variazione dark sul tema del super eroismo, nella realtà conteneva elementi comuni alle più diverse mitologie, cavalcava il tema dell’acqua come simbolo della morte e della vita, lo stesso che poi ha ricoperto in moltissime religioni nella storia.
Ma infine cos’è l’Apocalisse? Per Shyamalan è soprattutto una sensazione, un’emozione che ci travolge, la coscienza della perdita di coesione della nostra esistenza ma soprattutto delle realtà in cui ci rifacciamo, il venir meno della routine quotidiana, l’impossibile e l’orrendo che diventano possibile di fronte ai nostri occhi. Signs, oltre ad essere uno dei film simbolo dell’America post 11 settembre è solo apparentemente un film di fantascienza su un invasione aliena che omaggia i classici degli anni ‘50 e ‘60, quando guarda caso tale genere era soprattutto connesso all’incubo atomico.
Sì, perché Signs, se ci facciamo caso, non ci dona la sensazione di un’entità intelligente con cui confrontarci, ma un nemico demoniaco, della fine di tutte le cose, la cessazione della civiltà, la scomparsa definitiva del genere umano per una qualche volontà superiore. La stessa che si manifesta nei ricordi di un ex prete, della moglie morta in un incidente stradale, di quel “ colpisci forte” che diventa una sorta di manifestazione del volere divino. Qualcosa di simile vi è indubbiamente anche in The Village, dove non a caso quel villaggio sperduto nell’era moderna si rifà ai puritani e ai mormoni, coloro i quali di Apocalisse, divinità vendicatrici e orrendi peccati erano da sempre ossessionati. E se l’Apocalisse fosse un inganno? E se tutta la religione, tutta la nostra paura del peccato, di un mondo invisibile fatto di mostri e di entità oltre l’umano fosse in realtà una gigantesca menzogna? Shyamalan qui si erge come sorta di profeta quasi marxista, nega la religione ma non per questo l’esistenza di Dio. Ma, sì, la religione diventa per lui uno strumento di controllo, di potere.
Lady in the Water strizza l’occhio a Lovecraft, ai profeti dell’Antico Testamento, ad una verità nascosta sotto la superficie che l’umanità, intenta nelle sue piccole miserie quotidiane, ignora, nella sottovalutazione che ognuno di noi ha di sé stesso. Riscoperta della fede? Sì, certamente. Al contrario in E Venne il Giorno non vi è alcuno ottimismo, alcuna speranza. L’apparente tema ambientalista strizza invece l’occhio alle piaghe bibliche, al diluvio universale, solo che non arriva dalle acque ma dei vegetali, con un mischiare scienza e superstizione che da sempre è uno dei tratti distintivi di Shyamalan. L’umanità ha peccato, contro il pianeta, contro le creazioni di Dio, ed è tramite la apparentemente più inoffensiva e allo stesso tempo più importante delle forme di vita su questo pianeta, che arriva la nostra fine. Qui però la religiosità è ancora più negativa di quanto avesse già voluto ritrarre in precedenza Shyamalan, è la moneta degli esaltati, dell’America profonda che conosce come egli ci ha sempre fatto capire, soltanto le tre B: Bibbia, Bossoli e Botte da orbi. Nulla ci può salvare, nulla ci può redimere. L’Ultimo Dominatore dell’Aria, per il quale è stato a lungo fustigato, a ben pensarci nella realtà è un film fantasy post apocalittico, ci parla di quello che è successo dopo una gigantesca catastrofe. After Earth, con ogni probabilità il suo peggior film, non è diverso neppure in tale aspetto, con gli Ursa che paiono demoni sbucati dall’inferno per punire il genere umano.
Ma è anche la famiglia a crollare sotto l’avanzare della follia, quella quasi carpenteriana, come in The Visit. Allo stesso modo, Split e Glass ci parlano di corpi che vengono posseduti e contenuti da più identità, quasi in una sorta di esorcismo, ma anche qui si agita più la presenza spirituale che quella biblica. Bussando alla Porta, come Old, rappresenta l’ultimo atto di un regista che ha sempre cercato di parlarci dell’ossessiva presenza della paura dell’ultraterreno nella nostra civiltà, il nostro quotidiano, di come siamo condizionati culturalmente al di là della nostra volontà. Perché quasi sempre anche se diciamo di non credere in Dio, crediamo nel suo potere, nella nostra impotenza soprattutto, nel perdere sempre il controllo.