Decision to Leave meritava la notte degli Oscar

Decision to Leave meritava la notte degli Oscar

Di Giulio Zoppello

Le candidature agli Oscar 2023 per il Miglior Film Straniero sono arrivate, e non è un caso che non siano mancate proteste per l’esclusione di Decision to Leave del grande Park Chan-wook, ennesima prova del suo straordinario talento di regista ma soprattutto di narratore. Di base è una sorta di incrocio tra noir, thriller e melodramma, capace di riportare al centro dell’attenzione i personaggi, le loro emozioni, la loro evoluzione. Il risultato finale è senza ombra di dubbio di una raffinatezza rara al giorno d’oggi, ed allora grida ancora più vendetta la sua mancata candidatura, dal momento che questo non è solo un film molto originale, è anche un film incredibilmente coerente, dal primo all’ultimo minuto. La grazia della sua composizione, il suo saper essere ad un tempo classico ed insieme incredibilmente innovativo, lo rendono uno dei titoli più rilevanti dell’anno.

Un detective, una morte e una donna bellissima

Jang Hae-jun (Park Hae-il ) è un detective dall’incredibile talento, uno di quelli dotati di una grandissima penetrazione psicologica, un fiuto infallibile, ma soprattutto una passione trascinante per il loro lavoro, all’interno di una Busan in cui di certo non mancano crimini e problemi da risolvere.

Tutti fattori che lo rendono da un certo punto di vista anche abbastanza inviso ad alcuni dei colleghi, molto meno perfezionisti di lui. Tuttavia, Jang risulta essere in ultima analisi anche abbastanza annoiato dalla sua vita, con un matrimonio sostanzialmente fallito al di là delle apparenze e un grande vuoto dentro di sé. Tutto questo viene improvvisamente rivoluzionato dalla morte di Ki Do Soo un dell’ufficio immigrazione, apparentemente precipitato durante una sessione di arrampicata. Tuttavia l’interrogatorio con la giovane e bellissima vedova Song Seo-rae (Tang Wei), sarà l’inizio di una vera e propria ossessione che porterà Jang a dubitare di se stesso, della sua professione, ma soprattutto a sviluppare un sentimento incredibilmente ambiguo per quella donna, così affascinante eppure, almeno secondo il suo istinto, anche infida e pericolosa. Decision to Leave ruota intorno a qualcosa di semplice, apparentemente banale: un uomo brillante invaghitosi di una donna misteriosa. Ma come sovente succede nel cinema, non è la quantità degli ingredienti ma il modo in cui li si unisce a fare la differenza. Chan-wook allo stesso tempo decostruisce i canoni del noir, inteso anche in senso classico, quello dell’hard boiled che a suo tempo rese leggenda Humphrey Bogart, di cui il protagonista appare essere più che una sorta di erede, la sua versione moderna anche per sensibilità, all’interno di un universo in cui verità e menzogna sovente hanno lo stesso volto.

Un film che è tante cose e assieme nessuna

Sono quindi loro due, Jang e Song, a dominare la fantasia dello spettatore, a guidarlo in un regno dei sentimenti che si contraggono e poi esplodono. Lo fanno in modo unico e prezioso; da molto tempo non si vedevano due personaggi così ben scritti ma soprattutto ben interpretati, in iter diegetico dal ritmo solo apparentemente compassato, in realtà pronto a colpire ad ogni disattenzione.

La splendida fotografia di Kim Ji-yong ci guida dentro una realtà dominata degli spazi interni, dai colori freddi ma non necessariamente lugubri, soprattutto notturni almeno nella prima parte, più connessa al thriller classico. Nella seconda invece la luce a tratti è quasi abbagliante eppure irreale, coerente con la mancanza di certezze, il mistero. Vi è costantemente la sensazione di essere persi dentro un labirinto, qualcosa di tanto più palese a mano a mano che si va avanti in questo dramma privato a metà tra tragedia e grottesca parodia. Decision to Leave ha un’identità irregolare ma piacevolissima, attraversata in particolar modo da un’ironia tanto aggraziata quanto capace di non essere mai fuori luogo o fuori contesto.

Anche grazie ad essa che riusciamo ad affezionarci sempre di più ai due protagonisti, ma in particolare a lui, a Jang, uomo incredibilmente sofisticato, intelligente, sensibile ma che si porta dietro un’insoddisfazione tipicamente borghese, quasi l’ambizione sfrenata a voler qualcosa di più dal suo lavoro, da sé stesso, dal mondo dei sentimenti che hai in lei, Song, un simbolo fortissimo. Astutissima, manipolatrice, allo stesso tempo vulnerabile e sensuale, grazie ad una sceneggiatura studiata al millimetro, riesce ad essere molto diversa dal banalissimo concetto di donna fatale o simili. Attraversa i 139 minuti di questo dramma come una sorta di creatura a metà tra il Macbeth e ciò che James Ellroy ha spesso amato creare nei suoi romanzi, con una modernità di identità semplicemente strepitosa.

Tra classicismo narrativo e modernità di analisi

Ma quindi cos’è infine Decision to Leave? La realtà è che rappresenta un monumento al concetto di irraggiungibilità di una definitiva verità o certezza nell’esistenza, con tanto di rimandi non solo al mito della caverna di Platone, ma anche ad una sorta di omaggio alla teoria del caos. Jang crede in un mondo deterministico, in azione che genera reazione lineare, eppure quella donna lo guida verso una negazione di tale assunto, per quanto poi sovente in realtà gliene dia anche piena conferma con ribaltamenti di senso di grande incisività. In questa vaghezza, in quest’assenza di un vero male o di un vero bene, in questa indeterminazione sta gran parte del fascino di questo film, che sovente pare abbattere non tanto la barriera della sospensione di incredulità, ma quella della stessa dimensione spazio temporale.

Non si può che rimanere ammirati a mano a mano che si va avanti, a dispetto di alcune svolte narrative che si allontanano dall’iniziale premessa di un realismo a tutto tondo, per diventare infine una sorta di celebrazione al concetto di incredibile che diventa credibile. I sentimenti sono miraggio, condannati a non essere semplicemente soddisfatti mai, ad una sorta di idealizzazione tossica e morbosa.

Tornano a brillare come si faceva soltanto nel cinema di una volta, rendendo l’insieme un omaggio al cinema in quanto fautore di una perdita di equilibrio, creatore di un’illusione con cui nobilitare la banalissima realtà. Diventa anche critica e sociale ad un paese che continua ad avere enormi problematiche per quello che riguarda non solo e non tanto la corruzione, ma la propria moralità, la mancanza di un mettersi in discussione. Davvero un delitto che questo film sia stato infine ignorato dall’Academy, a favore di opere oggettivamente molto meno innovative e sicuramente molto meno coraggiose.

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