Damien Chazelle a Roma, per presentare Babylon il suo ultimo film, la sua ultima fatica, il grande abbraccio alla settima arte ambientato in quegli anni ’20 in cui il cinema sonoro soppiantava il vecchio mondo del muto. Un’odissea a tre, anzi a quattro, anzi cinque personaggi all’interno di un ecosistema folle e pieno di vita. Babylon arriva nelle nostre sale e naturalmente in quelle europee, portandosi dietro la speranza di un recupero rispetto alla fredda accoglienza che ha avuto in patria, ed è proprio lui, l’Enfant Prodige che tra poco compirà 38 anni, a parlarcene da l’Hotel de la Ville a Roma.
QUI trovate la nostra recensione di Babylon
Le prime domande non possono non essere che per il suo legame con i tre personaggi principali, con Brad Pitt, Margot Robbie e Diego Calva. “Questo come anche altri dei mie film, mi riguarda personalmente, si riflettono diverse parti di me stesso nei protagonisti, così come in fin dei conti era successo in passato” ammette Chazelle.
Nello scrivere i personaggi di Jack, Sidney, Fay Zhu e Nellie sicuramente vi è stato riflesso di alcuni lati della mia personalità. Ma anche in Manny, il ragazzo che cerca di farsi strada, vi è molto di me, ma mai direttamente. Tutti i personaggi sono me per qualche aspetto ma senza essere un ritratto totale”.
Ed eccoci quindi tornare a questo film in cui si riportano le lancette del tempo alla Hollywood degli anni ‘20, con quel passaggio dal muto al sonoro in cui forse la settima arte magari perse qualcosa mentre contemporaneamente guadagnava altro.
“La libertà senza ombra di dubbio fu qualcosa che venne sacrificato in quel periodo, anche perché l’industria cinematografica stava cercando di trovare una propria identità” precisa Chazelle.
“Il cinema era ancora molto giovane, era abitato da personaggi alquanto pittoreschi e sovente contradditori. In questo film ho cercato in tutti i modi di far comprendere come bene o male però vi fosse anche un enorme libertà creativa in quel periodo, proprio per la mancanza di una strutturazione.
Di base bisogna ricordarsi che all’epoca il cinema era considerato a malapena una forma d’arte, di certo non una forma di industria seria, Los Angeles era ritenuta come una sorta di enorme manicomio, una città folle” ricorda il regista.
In quel caos, vi erano quindi possibilità espressive artistiche che poi con il tempo ovviamente si sono gradualmente ridotte, nel momento in cui il cinema diventava una fonte di profitto, e veniva strutturato in modo diverso.
Qualcosa che è perdurato? Qualcosa che oggi ancora facciamo fatica ad avere? “Avremmo molto da imparare da quel periodo, da quella Hollywood. Invece oggi purtroppo questo mondo è abitato da tantissima paura, da tantissimo conformismo, vi è tantissimo moralismo puritano.
Invece penso che soprattutto oggi vi sia la necessità da parte degli artisti di respingere tutto questo, reagire, opporsi, rivendicare quella libertà che è stata soppressa. Questa storia questo film lo raccontano, in forma evolutiva”. Un film dalla genesi comunque lunga.
Babylon ho cominciato a scriverlo quindici anni fa e in questo lasso di tempo Hollywood è cambiata tantissimo e non purtroppo in meglio.
Un film in due atti o due film in uno?
Vi è sempre stata da parte mia l’intenzione di operare un cambiamento all’interno del film, in modo da mostrare anche la trasformazione che la società affrontava in quegli anni, passando dalla commedia alla tragedia. Qualcosa che era necessario per mostrare le due facce di questa medaglia, passare dal momento di massimo di divertimento, con il lusso, queste feste di successo, al dramma e all’orrore. Perché in fondo il mio film parla di un tentativo di scalare il successo, di volare sempre più in alto che poi, inevitabilmente, come tutti sappiamo, porta quasi sempre a cadere rovinosamente verso il basso, negli abissi. Per me di conseguenza l’ultima parte, gli ultimi 45 minuti, sono assolutamente necessari completano il sogno con un incubo, lo scendere negli inferi.
Dagli anni ’20 il finale è invece nel dopoguerra, con il colore, con i musical. La cronaca di una metamorfosi?
È anche per questo che aveva deciso di far terminare film agli anni ‘50, di modo che lo spettatore riflettesse sull’Iter, su quanto tutto era cambiato nel cinema, su come l’insieme era arrivato alla fine di quel periodo di rivoluzioni, in un viaggio lungo 30 anni.
Che forse vi sia in questa sua natura ibrida la ragione dell’insuccesso al botteghino e delle reazioni abbastanza contrastante da parte della critica d’oltreoceano? Chazelle non nasconde il fatto di esserselo aspettato, la coerenza nell’avere affrontato una sfida cinematograficamente molto personale e ambiziosa, giocando sui contrasti, sull’opposizione e rispetto alla prevedibilità che oggi domina Hollywood.
“Devo assolutamente ringraziare i vertici della Paramount per aver scommesso su questo film, che sapevano benissimo sarebbe stato controverso. Non mi hanno mai fatto alcun tipo di pressione dal punto di vista produttivo né creativo” sottolinea il regista “per me è stato davvero molto importante e prezioso sentirmi così libero, senza dover quindi annacquare o attenuare o filtrare il film, la sua componente visiva o i suoi significati” precisa Chazelle, che naturalmente in caso di ogni tipo di interferenza si sarebbe poi rifiutato di completare quest’opera fiume, tre ore e 9 minuti che stando alle sue impressioni e le sue speranze, qui in Europa, dove l’autorità è ancora forte, spera possa trovare terreno fertile, risvegliare in animi, animale e discussioni e riflessioni.
Volevo fare rumore, stimolare discussioni ed emozioni. Ma il mio rapporto con i miei film del resto è quello per il quale una volta che è finito, che è terminato, non esistono director’s cut o rimaneggiamenti, non è neppure più mio film, esso ormai appartiene al pubblico, appartiene al cinema.
E il cinema, che futuro ha? La concorrenza dello streaming probabilmente è tra i motivi principali per il quale il botteghino è stato molto avaro con Babylon. La domanda è se la sala stia veramente per spegnersi.
La risposta di Damien Chazelle è un concentrato di senso della storia e capacità di analisi:
Il film finisce nel 1952 sulle note di “Singing in the Rain”, a quel tempo la televisione cominciava ad entrare nelle case delle persone, molti giustamente si chiedevano se ci sarebbero state conseguenze. Che il cinema stesse per morire era sulla bocca di tutti, si pensava alla sua fine definitiva, invece abbiamo visto che è sopravvissuto, si è adattato, è cambiato. Già all’inizio della sua storia parve che dovesse morire immediatamente, lo dissero gli stessi Fratelli Lumiere. Oggi non penso che sia diverso, mi dà solo fastidio che quando discutiamo del cinema, del sentire comune, pare quasi che si connetta a una cosa del passato. Invece il cinema cambia forma, cambia aspetto ma rimarrà sicuramente centrale nelle nostre vite, vi è un continuo ciclo di nascita e morte nelle cose. Il cinema continua a cambiare da sempre, muore e rinasce. È morto il sistema degli Studios certo, ma è stato sostituito da qualcos’altro, è un continuo rinnovarsi.
Naturalmente non può mancare in chiusura un maggior approfondimento su di lei, su Margot Robbie.
È un’attrice semplicemente straordinaria, abbina un carisma e un talento incredibile, con una capacità di immergersi nel personaggio quasi animalesca, eppure allo stesso tempo è disciplinata, disciplinatissima.
Sa veramente piangere solo da un occhio a comando, da certi punti di vista è stata veramente Nellie mi ha aiutato a parlare della volgarità di Hollywood, di questo universo così contraddittorio. Lei mi ha dato veramente l’anima.