Tulsa King: la recensione della serie con Sylvester Stallone

Tulsa King: la recensione della serie con Sylvester Stallone

Di Marco Triolo

Nel mondo c’è sempre bisogno di più Sylvester Stallone. Su Paramount+ è ora arrivata una serie, Tulsa King, ideata con lo scopo preciso di darci più Stallone su base settimanale. Ad avere avuto questa giustissima pensata è stato Taylor Sheridan, creatore di Yellowstone, sceneggiatore di Sicario Hell or High Water e regista de I segreti di Wind River. Con lui c’è Terence Winter, veterano de I Soprano e creatore di Boardwalk Empire. Una squadra di prim’ordine per una serie che si trova così ad affrontare un’ansia da prestazione importante: non solo è la prima interpretata da Stallone, ma è creata da due autori di serie A, tra cui uno degli sceneggiatori più richiesti del momento e un maestro delle serie sulla malavita organizzata. Poca pressione.

Ed è forse questa pressione che mina, almeno in parte, i primi due episodi di Tulsa King… o forse sono le nostre aspettative. Perché la serie parte con molta calma, non sembra intenzionata a mettere subito tanta carne al fuoco, quanto piuttosto a prendersi tutto il tempo necessario per introdurre i personaggi e l’ambientazione, così caratteristica. Tulsa King è infatti incentrata su Dwight Manfredi, alias “The General”, alias “Cinque Stelle”, capo di una famiglia mafiosa di New York che, dopo venticinque anni di galera, come “premio” per non aver testimoniato viene spedito a Tulsa, in Oklahoma, per aprire un nuovo mercato alla famiglia Invernizzi. Lui, da buon newyorkese, detesta questa città di vaccari, ma pian piano inizierà ad apprezzarla (almeno questa è la promessa). In breve, Dwight si costruisce una gang di personaggi totalmente improbabili, e comincia a incassare bene per gli Invernizzi. Ma dietro l’angolo ci sono potenziali minacce da sventare.

I primi due episodi di Tulsa King funzionano laddove tengono Stallone al centro dell’inquadratura. Dwight incarna alcune caratteristiche dei suoi eroi più celebri: è meno uno sconfitto rispetto a Rocky e Rambo, giusto per citarne un paio, perché possiede una sicurezza di sé che lo rende un vincente nonostante tutto. Ma la sensazione di essere superato, un dinosauro in un mondo di squali hipster, controbilancia questo aspetto, sposandosi perfettamente con lo sguardo triste e l’aura del perdente che Stallone ha sempre saputo sfruttare alla grande. In Tulsa King si inserisce anche il discorso sulla vecchiaia, da cui comunque Sly non si è nascosto negli ultimi suoi film, sin da quel Rocky Balboa che ne ha rilanciato la carriera nel 2006 (sedici anni fa!).

Il problema, se mai, è che questo è anche l’unico materiale ad essere realmente interessante nei primi due episodi di Tulsa King, dove, per il resto, la scrittura di Winter e Sheridan si adagia su una serie di cliché sul pesce fuor d’acqua, usando la fisicità di Stallone solo per presentarlo come un elefante in una cristalleria, mettendogli in bocca battutine su come si stava meglio quando si stava peggio e una volta qui erano tutti campi. La sua inadeguatezza è un po’ uno stock di sceneggiatura, anziché essere usata per fare dei discorsi più originali su cosa significhi rifarsi una vita dopo venticinque anni e su come il mondo sia davvero cambiato, specialmente per quanto riguarda i modelli di mascolinità. Oltretutto, Dwight è rappresentato come un buono, in fondo, ed è questa immagine del mafioso di una volta, con la testa sulle spalle e un rigoroso codice morale, a risultare davvero tanto invecchiata oggi.

Dobbiamo pur sempre ricordarci che si tratta dei primi due episodi. Forse Winter e Sheridan stanno solo gettando le fondamenta per fare in modo che da esse cresca un edificio solido. E di potenzialità ce ne sono, perché Stallone è carismatico come sempre (ed è bravo, Stallone è bravo. Il fatto che reciti per sottrazione, e che dunque venga inevitabilmente penalizzato dal doppiaggio, che cancella la sua voce, non significa che sia poco espressivo), ed è un piacere seguirlo mentre cerca di capire come funzionare, e come guadagnare, in questo mondo nuovo e così diverso da quello che ricordava. Ma ci sono anche potenzialità nei personaggi di contorno, come Tyson (Jay Will), l’autista e braccio destro di Dwight, e Stacy Beale (Andrea Savage), agente federale che instaura con Dwight una strana e ambigua relazione.

C’è da sperare che Tulsa King cresca, che definisca in maniera più cristallina i propri temi e che, soprattutto, alzi la posta in gioco. Perché, per ora, non ci sono veri conflitti degni di questo nome in quella che è più una commedia che una serie crime. Va bene che ci siano entrambi gli elementi – e, anzi, da Terence Winter è ciò che ci si aspetta – ma per ora c’è uno squilibrio che, alla lunga, potrebbe allontanare gli spettatori.

I primi due episodi di Tulsa King sono ora disponibili su Paramount+. I restanti otto arriveranno a cadenza settimanale, ogni domenica fino al 12 febbraio. QUI il trailer.

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