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The Witcher: Blood Origin è una piacevole sorpresa

Pubblicato il 24 dicembre 2022 di Giulio Zoppello

Il 25 dicembre arriva su Netflix The Witcher: Blood Origin, serie spin off di The Witcher, quel The Witcher che ha fatto tanto discutere per l’abbandono di Henry Cavill dal filone principale e la sua sostituzione con Liam Hemsworth con tutte le polemiche annesse e connesse. Ed è un peccato che questo abbia distolto l’attenzione da questa nuova serie, tratta dallo stesso universo di Sapkowski, ma capace di camminare con le sue gambe, di portarci a 1000 anni di distanza dagli eventi che hanno visto protagonista il nostro Geralt. Il risultato finale è senza ombra di dubbio interessante, per quanto comunque condizionato da dei difetti sui quali torneremo più avanti.

Al tempo dei regni elfici

La trama di questa serie ci riporta ad un tempo in cui i diversi reami elfici erano in lotta tra di loro per la supremazia, in particolare salta all’occhio la apparentemente inoffensiva ma in realtà alquanto astuta principessa Merwyn (Mirren Mack) capace di sterminare la sua stessa famiglia insieme a quella delle altre dinastie e clan più importanti per poter assurgere al potere supremo.

Tuttavia per lei le cose non vanno come pronosticato, di fatto si ritrova prigioniera nel suo stesso palazzo, costretta a sottostare alla leadership del grande stregone Balor (Lenny Henry) e del Generale Eradin (Jacob Collins-Levy). Come se non bastasse, ecco rispuntare dal suo passato la sua ex guardia del corpo, Fjall (Laurence O’Fuarain) scacciato dal suo servizio dopo essere stato sorpreso a letto con lei.

Questi ha giurato di vendicarsi del massacro e troverà un’inaspettata alleata nella cantastorie ed ex guerriera Éile (Sophia Brown) e nell’esperta capoclan Scian (Michelle Yeoh). Intanto però strani e inquietanti fatti si susseguono, la lotta per il potere non lascia scampo a nessuno, mentre oscure creature dai terrificanti poteri cominciano a penetrare nel mondo, arrivando da altri universi, aperti dall’incoscienza degli affamati di potere.

In breve il trio di vendicatori, troverà altri proseliti ed altri alleati, incamminandosi verso una vendetta che però a poco a poco comincerà ad aprire ad un mondo attraversato da intrighi tradimenti, magia e sanguinosi complotti. The Witcher: Blood Origin sicuramente potrà infastidire i fan più fedeli ed intransigenti della saga, non solo per il fatto che non abbia poi tantissimo in comune con la serie originale, ma anche per la dichiarata volontà di creare un universo inclusivo e diversificato al massimo, forse non particolarmente fedele all’ambientazione nordica creata a suo tempo da Sapkowski.

Tuttavia se andate oltre questo elemento, ammesso e concesso che sia per voi un problema, scoprirete una serie in realtà molto meglio strutturata e più avvincente di quanto ci si aspetti.

Un mondo di eroi molto imperfetti e cinici

The Witcher: Blood Origin fin dal principio omaggia in modo abbastanza plateale I Sette Samurai di Akira Kurosawa, unisce in sé le caratteristiche dei film di cappa e spada, dei fantasy vecchio stile alla Willow (il film, non la serie), Krull o Red Sonja con un uso della violenza alquanto persistente e per nulla alleggerito della sua componente drammatica e orrenda.

Ma questo in fin dei conti è il mondo di The Witcher (più o meno diciamo) e abbiamo immediatamente imparato che qui gli spiriti nobili e altruisti non durano, e di leggerezza e bellezza non è che ve ne sia poi tanta. Questa serie spin-off non fa che confermare tale elemento, creando quello che in fin dei conti è un mondo incredibilmente più simile al nostro. Di base, a mano a mano che si va avanti, appaiono uniti anche i legami con il genere wuxia, più in generale con la filmografia storica e mitologica orientale, con un quadro geopolitico incredibilmente complicato, a base di dinastie, segreti. Interessante come in fin dei conti si verifichi anche la totale assenza di un vero e proprio villain tout court, per quanto ovviamente Balor sia tutto tranne che un eroe. Ma lo stesso in realtà si può dire di ogni altro personaggio presente in questa nuova avventura, prima che i mondi collidessero e strane creature si infiltrassero nel nostro mondo. Tutti qui bene o male appaiono spinti dalla medesima ambizione e volontà di dominio o anche solo di riscatto.

Fjall, Scian, Eile, Callan, Meldof, Syndril e Zacarè risultano essere personaggi tanto connessi all’archetipo eroico degli antichi greci, quindi fallaci, imperfetti, oscuri e contraddittori.

Ecco perché risultano così ben strutturati, delineati ed interessanti, nonché complementari l’uno all’altro, nei pregi così come i miei difetti. Seguirli significa imbattersi in un iter alquanto accattivante, perché ognuno di loro ha sensi di colpa, traumi, ferite mai rimarginate, così come stile ed estetica totalmente differenti perché differenti sono le loro qualità, i loro poteri.

Forse l’insieme avrebbe beneficiato di una maggior ampiezza temporale, di linee narrative un po’ meno sintetiche, ma anche così la serie rimane un prodotto interessante, proprio perché umile, non prende sul serio se stessa ma prende sul serio la propria funzione: quella di prodotto di intrattenimento Fantasy derivato ma non privo di genuinità.

Una storia che forse meritava un’altra estetica

Se si vuole trovare un difetto in the Witcher: Blood Origin, ebbene questo va ricercato nell’estetica, che poi era un po’ lo stesso problema della serie originale, dall’aria così intensamente vintage, qualcosa che poi se allarghiamo lo sguardo è comune a tutte le serie Fantasy.

Da la Ruota del Tempo a Willow, da Winx a Tenebre e Ossa, questo genere sul piccolo schermo ormai sembra essersi standardizzato a livello formale, semantico, ma soprattutto estetico, con scenografie, costumi e l’utilizzo di effetti speciali che si differenziano davvero poco tra di loro.

Soprattutto, pare esservi una scarsa volontà di andare oltre una sorta di upgrade di quello che erano le serie TV di questo genere sul finire degli anni ‘90 e inizio anni 2000. Per dirlo chiaramente, a riproporre oggi quel piccolo cult che fu la Spada della Verità non è che si noterebbe poi tanto la differenza, anzi forse all’epoca c’era una maggiore volontà di connettersi ad una macro narrazione meno sbrigativa anche dal punto di vista della messa in scena. The Witcher: Blood Origin non per questo naturalmente deve essere giudicato una serie brutta, ma piuttosto poco innovativa, poco coraggiosa per quello che offre agli occhi del pubblico, per quanto poi tale l’elemento venga chiaramente messo in disparte da un cast ben assortito, da svolte narrative gustose e ben orchestrate. Alcuni momenti in particolare appaiono magari alquanto prevedibili, ma non per questo mal fatti o poco coerenti.

Interessante soprattutto il finale, che sostanzialmente recupera il concetto di circolarità insito nella linea spazio temporale, nella stessa struttura di questo mondo. Rimane il dubbio su quanto e se tale universo verrà recuperato nelle successive stagioni, o se questo rimarrà semplicemente una sorta di esperimento derivativo; tuttavia la valutazione finale non può essere più che positiva, non fosse altro per l’assenza di buonismo, zuccherosità e retorica. Qualcosa che vorremmo vedere più spesso sul piccolo schermo, non solo perché rende i personaggi più interessanti, ma anche perché allontana il rischio di sentirsi fare la morale ogni tre secondi, qualcosa che ormai è tanto onnipresente, quanto sfibrante in ogni prodotto di intrattenimento che ci viene offerto.