All’ultimo Festival di Cannes ha impressionato molto positivamente Le Otto Montagne, film diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti (Premio Strega 2017) a vincitore in Francia ex aequo con EO del premio della giuria.
Ora finalmente il film, frutto di una collaborazione tra Italia, Belgio e Francia, arriva nelle nostre sale, lo fa portando qualcosa di assolutamente diverso dal solito, una storia di amicizia connessa ad una narrazione e uno stile assolutamente atipici, fortemente reali e personali, distanti da ciò che il pubblico è abituato ad avere su un grande schermo nel nostro tempo, dove la velocità e l’intensità paiono dover dominare sempre e comunque.
Le Otto Montagne gioca tutte le sue carte sull’ennesima collaborazione artistica tra Alessandro Borghi e Luca Marinelli, che tornano assieme dopo quel Non Essere Cattivo, che di fatto aveva lanciato entrambi definitivamente nel firmamento cinematografico italiano.
Sono passati sette anni da quel film, eppure la loro sinergia rimane straordinaria, la loro capacità di donare credibilità ad un rapporto umano è potentissima, soprattutto perché al servizio di una sceneggiatura firmata dagli stessi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, che riesce a conservare il meglio dell’opera di Paolo Cognetti. Protagonista, partendo dall’infanzia e seguendolo verso l’età adulta, è Pietro Guasti (Luca Marinelli da adulto) figlio unico di una coppia torinese, formata da Giovanni (Filippo Timi) e Francesca Guasti (Elena Lietti). Pietro è un ragazzo timido, solitario e ben poco avvezzo ai ritmi di quella montagna dove ogni estate assieme la madre o al padre passa le vacanze.
Lì fa la conoscenza di Bruno Guglielmina (Alessandro Borghi da adulto) l’ultimo bambino rimasto in quel paese da cui tutti bene o male stanno scappando in quegli anni ‘80, completamente diverso da lui per estrazione sociale, formazione, stile di vita e carattere. Eppure, i due leggono immediatamente, forse perché entrambi si sentono bene o male diversi da tutti gli altri, impossibilitati ad avere una vita qualsiasi, privati di un rapporto familiare con la figura paterna.
Sarà l’inizio di un’amicizia che durerà per decenni, tra alti e bassi, ma che soprattutto li vedrà da adulti costruire uno assieme all’altro il proprio destino, la propria identità, pur nelle loro differenze che riguardano non solamente il fatto che Pietro sia nato per essere un intellettuale e Bruno un montanaro. Sono in realtà entrambi incapaci di essere totalmente dentro o totalmente fuori dalla società, perennemente alla ricerca di un senso e di una conoscenza del mondo, simili eppure diversi nel loro moto senza fine.
Le Otto Montagne è un film sicuramente non per tutti, innanzitutto per la lunghezza, sono 2 ore e mezza ad un ritmo a cui non siamo più tanto abituati, dal momento che il film si prende il suo tempo, le sue pause, rende la propria narrativa al servizio di quella montagna su cui tutto bene o male ritorna ciclicamente.
La civiltà sostanzialmente è distante, è terra straniera, Filippo Timi ne tratteggia perfettamente tutte le caratteristiche nel suo personaggio, in questo padre assolutamente incapace di essere altruista, questo ingegnere schiavo del suo lavoro e di quella Torino operaia, classista e grigia da cui suo figlio cerca costantemente di scappare. Marinelli d’altro canto dopo il passo falso fatto con Diabolik, torna nuovamente a brillare di quella luce straordinaria che gli permette di essere convincente in qualsiasi ruolo, di farti credere che quella non è veramente un’interpretazione ma è essenzialmente un personaggio reale.
Risulta molto difficile definirlo come sopra oppure sotto le righe appare piuttosto connesso ad un realismo che parte dai gesti, dalle parole, dagli sguardi e dai movimenti di un corpo che si irrobustisce giorno dopo giorno, a mano a mano che segue quell’amico strano, silenzioso, chiuso nel suo mondo ma soprattutto assolutamente incapace di lasciare la montagna e quello stile di vita ormai in estinzione. Alessandro Borghi fa del suo Bruno una sorta di sopravvissuto, il simbolo di quell’Italia che non c’è più, quella rurale ma soprattutto montana, di cui egli è sostanzialmente una sorta di un Uncas, l’ultimo dei Mohicani che non si arrende alla tecnologia e ai mestieri tutti uguali dai nomi diversi, alla necessità di adeguarsi alla società, cercare nuove strade, nuove identità come fa il suo amico Pietro.
Di base è un uomo che non sa stare con gli altri uomini, la sola cosa che gli dà equilibrio è quella montagna, le stagioni, tagliare la legna, badare agli animali, confondersi con la terra e dimenticare la solitudine, il silenzio, il suo rappresentare sostanzialmente una variabile impazzita nel XXI secolo. Divisi da tutto e accomunati da tutto, Pietro e Bruno assieme cercano di capire chi sono, cosa vogliono da se stessi, che cosa trovano in quei luoghi a tremila metri di quota che riesce a dare un senso alle loro vite.
Dall’interazione tra Pietro e Bruno si genera la forza motrice di un film che ci parla di rapporti umani attraverso le immagini e non le parole, qualcosa di assolutamente più unico che raro nel mondo d’oggi.
Le Otto Montagne ha un qualcosa di quella narrativa che da Hemingway a Fitzgerald, da Rigoni Stern a Mann, ha parlato di uomini soli dento il tutto, connessi all’universo e in lotta con esso.
A metà tra un road movie e un film di formazione, spesso viene dominato dal silenzio, dai suoni della natura, ma è ben lungi dall’essere fautore di una visione della società come gabbia, quanto piuttosto come opzione non adatta per tutti. Pietro e Bruno sono simili eppure sono divisi da tutto, con il primo che diventerà un grande scrittore giramondo, ed il secondo che invece continuerà a voler rimanere fedele a se stesso, a quella vita che poteva essere su un banco di scuola ed invece lo ha portato tra sentieri e neve.
Il film ha sicuramente più di qualche momento che poteva essere messo da parte, per quanto poi l’insieme risulti assolutamente riuscito e coerente, nonostante una narrazione totalmente sottomessa al concetto di passività. Pietro e Bruno per buona parte della loro esistenza subiscono la vita, le sue svolte, i suoi imprevisti, non riescono a fare altro se non a reagire. Solo con il tempo impareranno come dominarla, come scriverla da soli, affrontando dolori e lutti, privazioni e delusioni.
Molto interessante come le Otto Montagne più che un film sull’amicizia, sia un film sulla ricostruzione continua dell’amicizia, che non ignora come le diverse esperienze ed i diversi sentieri infine portino sempre gli individui a incontrarsi e poi a dividersi, ma sempre arricchiti.
Con una straordinaria fotografia di Ruben Impens che valorizza ogni centimetro di una natura maestosa che spazia dall’Italia al Nepal, le Otto Montagne è un film soprattutto sull’importanza dei sentimenti, sulla caducità dei beni materiali, sulla necessità di ridare centralità alla mano che si stringe, al volto che si guarda, al fare a meno di un egoismo che ci ha allontanati gli uni dagli altri.