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Donne che (si) raccontano: Il corsetto dell’imperatrice

Pubblicato il 05 dicembre 2022 di Lorenzo Pedrazzi

In The “New Woman” as Prometheus: Women Artists Depict Women Smoking, pubblicato sul Woman’s Art Journal nel 1991, Dolores Mitchell racconta di come tre artiste sovvertirono l’immagine della donna fumatrice tra fine Ottocento e inizio Novecento: Jane Atché, Louise Lavrut e Frances Benjamin Johnston si allontanarono infatti dalla visione tradizionale dell’arte maschile – che relegava il fumo alle donne emarginate e “degenerate” – ritraendo figure femminili ben integrate, pensose e fieramente indipendenti, con una sigaretta accesa tra le dita (celebre l’autoritratto fotografico della sopracitata Frances Benjamin Johnston, con boccale di birra nell’altra mano). Così, se il fumo era utilizzato dai pittori uomini per affermare la virilità dei soggetti maschili, pittrici e fotografe lo interpretavano come un simbolo di autonomia femminile, e di evasione dall’immaginario patriarcale.

Alla luce di tutto questo, non sorprende che la regista Marie Kreutzer segua la medesima iconografia ne Il corsetto dell’imperatrice, dove Elisabetta d’Austria viene spesso mostrata – fra le altre cose – nell’atto di fumare. Le incarnazioni di Sissi su grande e piccolo schermo sono moltissime, eppure la cineasta austriaca trova un’angolazione inedita da cui inquadrare l’imperatrice, e sceglie con arguzia il 1877, quando Elisabetta celebra il suo quarantesimo compleanno. Si tratta di un passaggio delicatissimo per la sovrana, consapevole che l’aspetto fisico sia l’unico campo su cui possa esprimere una piena libertà: ossessionata dal peso e dalla sua lunga chioma, Sissi desidera preservare una figura attraente, e continua a cercare conferma della sua bellezza negli occhi altrui. Al contempo, è anche una donna insofferente alle formalità della corte, oppressa dai giudizi della famiglia e della società. Esemplari, in tal senso, i rimproveri non solo del marito Francesco Giuseppe, ma anche del figlio Rodolfo e della figlia Valeria, che non vedono di buon occhio certe sue abitudini (fumo compreso).

Kreutzer non vuole costruire un’agiografia, ma il ritratto complesso di una donna reale, che sintetizza tutte le battaglie per l’autodeterminazione femminile. Questa Sissi (cui presta il volto una straordinaria Vicky Krieps) non è romantica e ingenua come quella di Romy Schneider nella trilogia di Ernst Marischka, ma nemmeno cinica e disincantata come quella proposta da Visconti in Ludwig, sempre interpretata dall’attrice austriaca. La Elisabetta de Il corsetto dell’imperatrice esercita un controllo rigidissimo sul proprio corpo e sulle dame di compagnia, ben sapendo che il suo potere si esaurisce lì, in quel microcosmo di ginnastica, equitazione, scherma e dispotismo privato. Ma è anche una persona empatica, che prende a cuore la sorte dei malati e dei reduci di guerra, piena di curiosità, sensualità e umorismo. Non a caso, trova sfogo nella neonata arte del cinema, ed è proprio attraverso di essa – in un gioco di scatole cinesi – che può rivelare la sua vera natura.

I sottili anacronismi voluti dalla regista, incluse le canzoni pop-rock e la deliziosa colonna sonora di Camille, contribuiscono a un biopic non convenzionale, persino più ardito (e più coerente con il personaggio storico) rispetto alla Marie Antoinette di Sofia Coppola. Intriso com’è di sobrietà teutonica, il film si nutre del contrasto fra la ribellione di Sissi e il passo greve del racconto, riuscendo così a valorizzare appieno i momenti di liberazione totale, come l’epilogo e la scena di danza che scorre sotto i titoli di coda. Anche chi ignora la storia di Elisabetta non farà fatica a individuare i momenti di pura invenzione creativa: Il corsetto dell’imperatrice non ha alcuna pretesa di fedeltà storica. Ciò che importa, qui, non è la precisione della biografia, bensì lo spessore psicologico del ritratto umano e i suoi rimandi alla contemporaneità. Il conflitto interiore di Sissi, in fondo, riflette uno dei dibattiti più accesi nella terza ondata femminista: quello tra il recupero di una femminilità ostentata e consapevole, che valorizza il corpo per una scelta autonoma di empowerment individuale, sfidando così l’oggettivazione; e la critica a questo atteggiamento, reo di compiacere lo sguardo maschile e certi modelli di derivazione patriarcale.

La Sissi di Marie Kreutzer e Vicky Krieps si trova proprio al centro, divisa fra il desiderio di piacere (spesso per pura gratificazione personale) e l’insofferenza verso quella stessa cultura che la vuole bella, magra, responsabile e appropriata. Il corsetto è l’emblema di questa contraddizione: è l’indumento oppressivo per eccellenza, eppure Sissi vuole stringerlo il più possibile, fino a raggiungere una silhouette innaturale. Se ancora ce ne fosse stato bisogno, Il corsetto dell’imperatrice è l’ennesima dimostrazione che i ritratti femminili sono molto più onesti, taglienti e sfaccettati quando le donne possono raccontare loro stesse. Al punto che persino una figura storica come quella di Elisabetta d’Austria, in apparenza così irraggiungibile, acquisisce un valore universale.