Gli alieni di James Cameron

Gli alieni di James Cameron

Di DocManhattan

Tu pensa quanto sarebbe stata diversa, la storia del cinema, senza quella notte – letteralmente – da incubo a Roma, quarantuno anni fa. È storia abbastanza nota, ma comunque: il film che avrebbe fatto decollare nell’84 la carriera di un trentenne canadese, quella storia su una macchina sterminatrice arrivata dal futuro e in fissa con gli elenchi telefonici, trae origini da un incubo fatto da James Cameron tre anni prima, mentre soggiornava in una pensioncina economica della nostra capitale. L’agitatissimo sogno di uno scheletro cromato che emergeva da un lago di fiamme. Cameron si trovava a Roma per girare il suo primo film, Piraña paura (Piranha II: The Spawning), un’avventura non finita particolarmente bene. Ma tanto era bastato per piantare i semi di una delle carriere più brillanti della storia di Hollywood, costellata di successi… e con una bella dose di incontri con gli alieni.

I magnifici sette nello spazio

(XENO)GENESI DI UN SUCCESSO

Alla fantascienza, del resto, Cameron si era dedicato prima di diventare un regista, e prima ancora di muovere i suoi primi passi in questa industria, come modellista e curatore degli effetti speciali per gli studi di Roger Corman. Nel ’78, grazie a un finanziamento di 20mila dollari ottenuto da un dentista, aveva girato con l’amico William Wisher Jr. il suo primo corto, Xenogenesis (lo trovate su YouTube), con un uomo e una donna a bordo di un’enorme astronave. Al dentista che aveva scucito i soldi non era piaciuto, ma a Roger Corman sì, e Cameron si era ritrovato a lavorare agli effetti speciali di uno dei film a basso costo del prolifico produttore, I magnifici sette nello spazio (Battle Beyond the Stars).

Un remake, ehm, nello spazio de I magnifici sette, e quindi un remake del remake (de I sette samurai), in cui l’omaggio a Kurosawa c’era già nel nome del pianeta alieno (Akir) e del suo popolo (gli Akira). Cameron ne approfitta per far pratica, e inizia ad affinare la sua incredibile abilità di cavare sempre un ragno dal buco, indipendentemente dai problemi che si presentano, di budget o di qualsiasi altra natura. Allestisce un corridoio dell’astronave praticamente a costo zero, con i cestini da asporto del McDonald’s, e mette in luce la dedizione al suo lavore, un senso pratico e uno spirito d’iniziativa che gli verranno utilissimi in seguito.

Aliens-Scontro-Finale

ALIENI, GIOCHIAMO A FARE LA GUERRA?

Il colossale successo nell’84 di Terminator, che a dispetto dei timori della sua società di produzione (Orion Pictures) incassa tredici volte il suo budget, consolida il ruolo di astro nascente di Schwarzenegger dopo Conan il barbaro e trasforma immediatamente quello di Cameron in un nome importante della fantascienza degli Eighties. James Francis Cameron da Kapuskasing, Ontario, non si fa pregare e, una volta terminato di co-sceneggiare con Stallone il secondo Rambo, si dedica a un compito ritenuto dai più difficilissimo. Girare un altro seguito, quello di uno dei più grandi successi sci-fi degli anni 70 dopo Star Wars: Alien di Ridley Scott.

Non mi dilungo, perché Aliens – Scontro finale (1986) è uno dei miei film preferiti in assoluto, l’ho rivisto giusto una settimana fa (lo guardo almeno due volte all’anno) e potrei parlarvene per ore. Per quello che conta nell’economia di questo articolo sugli alieni di Cameron, il punto è che ovviamente qui quest’ultimo aveva a che fare con delle creature nate in un altro film, di un altro regista, in un altro continente. La cosa non spaventa però particolarmente il cineasta canadese, che trasforma l’horror dello spazio di Scott nel war movie futuristico definitivo.

Aliens-Scontro-Finale

PERLOPIÙ VENGONO DI NOTTE… PERLOPIÙ

I riverberi del Vietnam assorbiti scrivendo Rambo 2 – La vendetta (Rambo: First Blood Part II) sposano l’immaginario dell’Alien di Ridley Scott e Dan O’Bannon, e lo espandono. Nel riportare in scena una delle più celebri eroine di Hollywood, Ellen Louise Ripley, Cameron si chiede quale sia il ciclo vitale degli xenomorfi (la scena dell’eggmorphing presente nel primo Alien era stata tagliata da Scott in fase di montaggio). Chi li generi, insomma, questi mostri con il sangue acido, due bocche e la cazzimma e la follia di un automobilista bloccato sul raccordo da due ore. Nascono così la regina, il ciclo riproduttivo con uova e facehugger, la scazzottata finale con il power loader, un’altra frase da consegnare al mito come l’Ill Be Back del T-800: “Get away from her, you BITCH!” (da noi “Sta’ lontano da lei, MALEDETTA!”).

The Abyss

UNA DIFFERENZA ABISSALE

Terminato in modo brillante il suo compito, e cioè dimostrare al mondo che quando si parla di “sequel sempre non all’altezza degli originali” è obbligatorio infilare Aliens in un asterisco grosso così, Cameron continua ad occuparsi di alieni e di ambientazioni ostili con il suo progetto successivo, The Abyss (1989). Sempre con Michael Biehn e sempre prodotto con quella che sarebbe diventata di lì a poco la sua ex moglie, Gale Anne Hurd. Il dove è però questa volta non un planetoide terraformato o un’astronave, ma una piattaforma in fondo all’oceano, e gli alieni sono una strana entità tentacolare che sembra composta d’acqua.

Laddove Aliens era stato prima di ogni altra cosa un film d’azione, la declinazione pedal-to-the-metal della formula del primo Alien, un film di pieni piuttosto che di vuoti, The Abyss è al contrario una pellicola di lunghi silenzi, riempiti dall’abbraccio glaciale e oscuro di un luogo non pensato per ospitare molte forme di vita. Men che meno quella umana. Ci sono anche qui le scazzottate meccaniche – tra due sommergibili che calcano il ring al posto di power loader e regina aliena – i momenti di contrasto tra personaggi che vogliono cose diverse, il messaggio antimilitarista che riguarda però solo i militari stronzi, quando l’uragano in superficie si trascina dietro, laggiù nel profondo, un refolo di quanto resta della Guerra Fredda nel 1989 post-discorso di Rocky Balboa davanti al politburo. Come noto la vera causa della caduta del Muro.

“Decolliamo e nuclearizziamo”, aveva detto il caporale Hicks di Michael Biehn davanti al problema mostroni mangiauomini su LV-426. “Andiamo e li nuclearizzo”, dice ora il navy seal con baffi di Michael Biehn davanti al problema possibile sommergibile avanzatissimo russo e/o alieno. Certa gente non cambia mai.

Avatar Jake

PANDORA, ANDATA E RITORNO

The Abyss, oltre che una pellicola di fantascienza ancora oggi affascinante – soprattutto nella versione liscia, scevra di quella scena buffa dell’onda gigante messa in pausa, tagliata durante il montaggio e recuperata poi per la Special Edition – era però un segno inequivocabile dell’amore di Cameron per le profondità marine. Un amore che lo avrebbe portato a ripescare idealmente il Titanic, nel ’97, per uno dei suoi più clamorosi successi in carriera, e a scendere concretamente in fondo alla Fossa delle Marianne nel 2012 su un mini-sommergibile. Il primo uomo nella storia di questo pianeta ad esser andato laggiù da solo. Come fai a non amarlo?

Il viaggetto fino a quasi 12mila metri di profondità del 2012 segue quello sul pianeta alieno di Pandora per Avatar. Un film del 2009 dalla CGI ancora oggi sbalorditiva, con cui Cameron si dedica questa volta a costruire tutto da zero. Il mondo, la sua fauna, la sua flora, i suoi nativi con le trecce di capelli che funzionano come cavetti USB. La curiosità per la grafica all’avanguardia, il ritorno in pompa magna del 3D (che avrebbe provocato un’ondata di pessime trasposizioni in 3D di film nati bidimensionali. Ma quello è un altro discorso) e una serie di proiezioni successive per arrotondare hanno spedito Avatar in cima alla lista dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema, con quasi tre miliardi in totale. Il quarto posto di quella lista è sempre di Cameron, per Titanic.

Tredici anni più tardi, James Cameron si trova ora con La via dell’acqua a doversi confrontare un’altra volta con un primo capitolo di grande successo. Stavolta di se stesso. Una sfida a cui sta lavorando da anni, e in merito al risultato della quale sono curioso: perché sembra un’altra sfida impossibile. Ce la farà un’altra volta, il tre volte premio Oscar e figlio più celebre di Kapuskasing? Lo scopriremo molto presto.

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