Intervistato di recente da Variety, Ryan Murphy, creatore di Dahmer: Mostro – La storia di Jeffrey Dahmer, ha risposto alle polemiche scatenate nei mesi scorsi dalla serie. Un successo enorme – ha da poco tagliato il traguardo del miliardo di ore di visualizzazione, terza serie Netflix a farlo dopo Squid Game e Stranger Things 4 – Dahmer è stata però criticata da alcuni famigliari delle vittime e ha scatenato una reazione da parte della comunità LGBTQ+, che ha chiesto la rimozione del tag relativo dalla serie.
Nell’articolo, Variety spiega che Murphy ha scelto di non farà pubblicità alla serie, che infatti è piombata sulla piattaforma senza essere annunciata, data la delicatezza del materiale. Murphy spiega:
Non mi ha mai interessato Jeffrey Dahmer il mostro. Ero interessato a cosa lo avesse creato. Penso che il fatto che tutti i personaggi qui sono visti come veri umani metta a disagio alcune persone. Lo capisco e tento di non avere un’opinione su questo. Abbiamo sempre cercato di centrare tutto sulle vittime.
A proposito delle accuse dei famigliari, che sostengono di non essere stati coinvolti nella lavorazione della serie, Murphy risponde di aver contattato una ventina di famiglie senza ricevere risposta, per poi decidere di affidarsi al suo “grande staff di ricercatori”, che hanno lavorato senza sosta per tre anni e mezzo. Una persona che invece non è stata appositamente contattata è Lionel Dahmer, padre del serial killer e autore di un celebre libro autobiografico sulla sua vita con lui. Prosegue Murphy:
Ho fatto molti biopic. È un po’ come essere un reporter; tento sempre di tenermi neutrale. Stavamo raccontando una storia molto specifica. Penso che Lionel abbia raccontato la sua storia. Questa non era quella storia.
A proposito della rimozione del tag LGBTQ, l’autore spiega:
Credo che il tag sia stato messo in primo luogo per il mio coinvolgimento. Sono gay, perciò la maggior parte delle mie storie affrontano qualche tema LGBTQ e lo faccio egoisticamente. Crescendo, non avevo niente [a cui guardare]. La mia mission è sempre stata parlare di quelle storie e quei personaggi e portare alla luce storie sepolte.
Murphy prosegue dicendo di capire che molte persone nella comunità “vogliono storie edificanti”. Ma lui non è d’accordo:
[Dahmer] parla di omofobia. Dico sempre: “Il mio lavoro come artista è sollevare uno specchio per mostrare cosa è successo”. Sono cose brutte da vedere, non sono belle. Vuoi guardare lo specchio? Se lo fai, guardalo. Altrimenti, distogli lo sguardo. A volte parte di questa indignazione è rivolta allo specchio invece che al riflesso. Quello che cerco di dire è che capisco che ci si possa arrabbiare per l’inclusione [del tag]. Lo capisco, ma personalmente non sono d’accordo.