Star Wars: Andor – La recensione del finale di stagione

Star Wars: Andor – La recensione del finale di stagione

Di Marco Triolo

La prima stagione di Andor è giunta al termine, e lo ha fatto in maniera totalmente coerente con le sue premesse. La serie di Tony Gilroy ha scelto un approccio diametralmente opposto a The Mandalorian, rinunciando all’aspetto western/fantasy/avventuroso della saga per dedicarsi esclusivamente al suo lato più politico, a quell’allegoria della Resistenza nella Seconda Guerra Mondiale che The Book of Boba Fett aveva bellamente ignorato per adagiarsi su valori incompatibili con quelli propugnati da George Lucas – l’idea di un dittatore benevolo amato dalla gente, per quanto sicuramente non intenzionale, era qualcosa di davvero aberrante.

Qui si torna saldamente nel territorio della trilogia originale e di Rogue One: A Star Wars Story. Anzi, se possibile Andor fa ancora un passo avanti nella rappresentazione della Galassia Lontana Lontana come di un posto reale, tangibile, in cui persone comuni lottano per liberarsi da una dittatura. Naturalmente non bisogna troppo soffermarsi a pensare che il potere oscuro contro cui i ribelli si battono è in mano a un tizio incappucciato che lancia raggi dalle mani, e che a vincerlo sarà un ragazzino armato di spada laser e in grado di muovere gli oggetti col pensiero, altrimenti crolla un po’ tutto.

Eppure la forza di Star Wars sta proprio nella sua duttilità, cosa che finora Lucasfilm non aveva troppo capito, sia sul versante cinematografico che su quello televisivo. Le possibilità sono illimitate, la Galassia è vasta e sfaccettata, ma Gilroy è il primo a mettere in pratica questo concetto. Il risultato è una serie che ci ha restituito fiducia in un franchise che sembrava destinato a sopravvivere di soli spin-off di The Mandalorian o salti in un passato nostalgico. Andor è la dimostrazione che, perché Star Wars possa proseguire, servono nuove leve. E sì, è vero che Cassian era già apparso in Rogue One, ma è un personaggio di cui sappiamo talmente poco da essere perfetto per raccontare una storia diversa e fresca.

Il finale di stagione torna a Ferrix, da dove tutto è iniziato, per il funerale di Maarva, la madre adottiva di Cassian. Lì convergono un po’ tutti: Cassian stesso, la detective imperiale Dedra Meero (Denise Gough) e il pignolo Syril Karn (Kyle Soller), ma anche Luthen Rael (Stellan Skarsgård), intenzionato a uccidere Cassian per evitare che riveli all’Impero i segreti della Ribellione sotto tortura. La serie riesce a imbastire dunque la più classica delle scene madri – tutto il cast riunito in un’occasione importante – senza scadere nel ridicolo (il ricordo di She-Hulk non è tanto distante), e questo già è un grande risultato. Quando la polveriera esplode e il popolo di Ferrix si rivolta contro la guarnigione imperiale, dopo un discorso di incitamento alquanto epico, non ci vuole un genio per capire che il regista Benjamin Caron ha modellato gli scontri tra popolo e polizia militare, armata di scudi e manganelli, sulle immagini delle rivolte urbane che vediamo nei telegiornali.

È qui che Andor scopre definitivamente le carte e si conferma una volta per tutte come una serie che riflette su quanto sia dura e violenta la battaglia per la libertà. A Gilroy non interessa la visione manichea dei film originali, con la Ribellione bianca ed eroica da una parte e l’Impero nero e malvagio dall’altra. Sia nella serie che in Rogue One, la prima volta che lo incontriamo, Cassian fredda qualcuno senza esitazione. All’inizio della serie lo fa per ragioni egoistiche; nel film, quando il suo arco di maturazione si è già compiuto, lo fa invece per proteggere l’Alleanza Ribelle. Ma resta il fatto che lo fa: lottare contro il Male implica dover fare sacrifici, perché non si rovescia un regime fascista solo con atti da cavaliere bianco senza macchia, ma anche e soprattutto sporcandosi le mani.

Attraversando l’inferno della prigionia e dei lavori forzati, Cassian è riemerso come un uomo nuovo, che ha compreso la portata del giogo imperiale e ha trovato una buona ragione per mettere a frutto proprio quella sua attitudine innata a sporcarsi le mani. Ci vuole del coraggio a presentare il protagonista di una serie come un vile egoista, intento solo a sopravvivere. È già stato fatto, sia chiaro, ma in Andor Gilroy e Diego Luna si spingono un po’ più in là, dipingendo Cassian come un individuo a volte deprecabile. Grazie a questo, però, la sua maturazione è ancora più toccante e impressionante, ed è tutta raccontata con le immagini, senza mai cedere ai grandi discorsi e agli spiegoni.

Ora siamo molto curiosi di vedere la stagione 2, che coprirà un lasso di tempo più ampio – i restanti quattro anni che ci separano dagli eventi di Rogue One – e che quindi dovrà muoversi a un ritmo più sostenuto. Questa prima stagione ha contato molto sugli intrighi politici; vedremo se la prossima tornerà anche a includere il gusto spericolato per l’avventura tipico di Star Wars. In ogni caso, Cassian ha smesso di fuggire e ora è pronto a combattere.

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