Aladdin compie 30 anni e non abbiamo mai smesso di amarlo

Aladdin compie 30 anni e non abbiamo mai smesso di amarlo

Di Giulio Zoppello

Pensare che Aladdin compia 30 anni, ci fa sicuramente sentire tutti molto più vecchi, forse stagionati è la parola migliore, ma anche in un certo senso grati per aver avuto il privilegio da bambini o da adolescenti, di poter fruire di uno dei classici Disney più divertenti, spassosi, dinamici e in un certo senso anche rivoluzionari che si ricordano.

Frutto della maestria congiunta di Ron Clements, John Musker, Howard Ashman, Alan Menkel, Ted Elliott e Terry Rossio, Aladdin rimane uno dei titoli più iconici del cosiddetto Rinascimento Disney, fu anche il film di maggior successo commerciale in quel 1992, spazzando via una concorrenza non dà nulla.

Ma per noi, per chi è cresciuto cantandone le canzoni e adorando il Genio, quel film segna sicuramente anche uno dei momenti di maggior popolarità e riconoscenza verso Robin Williams, per noi italiani verso il grande Gigi Proietti.

Un film frutto di un nuovo corso creativo

Aladdin era frutto di un iter complicato, lunghissimo, come del resto toccò a tantissimi film Disney di quel decennio, in cui la casa di Topolino tornò a dominare in modo incontrastata, ma che a vederli oggi, per diversi aspetti parvero sovente un azzardo incredibile.

La computer grafica cominciava ad inserirsi in modo prepotente, la necessità di rinnovarsi dal punto di vista estetico ma anche da quello narrativo, cercando di coinvolgere più culture e creare personaggi maggiormente differenziati, fece la fortuna della Disney dopo gli orrendi anni ’80.

Tratto dal racconto “Aladino e la lampada meravigliosa” contenuto nella raccolta di novelle orientali “le Mille e una Notte”, Aladdin era nato concettualmente come un musical soprattutto, questo grazie all’intuizione geniale del compositore Howard Ashman, che quattro anni prima aveva coinvolto Jeffrey Katzenberg, uno dei più grandi produttori della storia dell’animazione.

Katzenberg intuì immediatamente il potenziale, ma chiese che vi fossero delle modifiche sostanziali, di modo da rendere il racconto più in linea con i gusti del pubblico adolescenziale, ma senza per questo renderlo troppo infantile o scontato.

In particolare cercò di spingere molto sull’ironia e su un personaggio femminile che fosse molto meno passivo e accondiscendente di quanto originariamente concepito e offerto in quegli anni.

Aladdin era pensato inizialmente per essere un adolescente, infine venne reso un diciottenne, con qualità di acrobata e ladro esperto, un fare istrionico ma senza farlo diventare arrogante o un cattivo esempio.

Dal punto di vista narrativo e anche estetico, il film della Disney era chiaramente ispirato a tutta una marea di film avventurosi e produzioni hollywoodiane esotiche che avevano avuto il loro apice probabilmente nel famosissimo Il ladro di Bagdad di Ludwig Berger del 1940. Ed in effetti il Jafar della Disney era palesemente ispirato a quello del grandissimo Conrad Veidt, uno dei più grandi attori di quel periodo, che fu anche prototipo per il Joker di Batman.

Tre personaggi tutt’altro che superficiali

La prima cosa che saltava all’occhio, era il fatto che Aladdin cercasse di muoversi in una direzione opposta rispetto a quella della classicità narrativa, che fin dall’alba dei tempi era stata permeata da un profondo classismo e da una volontà di rendere una storia d’amore anche la storia di un avanzamento sociale.

Il che può sembrare paradossale oggi come oggi, se si pensa che in fin dei conti Aladdin solo trovando la lampada con all’interno il mitico Genio, riesce ad ottenere una chance di avvicinare la principessa Jasmine.

Ma la realtà è che tutta la trama, era volta a confutare l’idea che contassero essenzialmente i beni materiali, l’apparenza, l’immagine che si dava all’esterno di se stessi, poiché sono le nostre azioni, il modo in cui ci confrontiamo con gli altri e le decisioni nei momenti più critici a dire chi siamo veramente.

Aladdin si muove all’interno di un universo che è attraversato da una profonda povertà, assieme alla fedele scimmia Abu sopravvive grazie a furtarelli e piccole ruberie, senza avere una reale prospettiva di vita.

Nella sceneggiatura originale doveva essere presente anche la madre, ma si decise di eliminarla per rendere ancora più l’idea di un isolamento totale del protagonista rispetto alla società di riferimento e alla cosiddetta normalità.

Jasmine risultò essere simile a lui anche da questo punto di vista, dal momento che era completamente isolata, benché ovviamente vivesse da totale privilegiata, ma in realtà completamente asservita alle regole dinastiche che la vogliono sposa di un pretendente in virtù di una mera finalità politica e soprattutto riproduttiva (benché  tale elemento rimanga indiretto).

Ribelle, indisciplinata, sognatrice e soprattutto decisa ad essere indipendente e libera, rappresentò un altro decisivo step della Disney verso una rappresentazione femminile diversa e più moderna, come si era già visto l’anno primo nel bellissimo la Bella e la Bestia.

Aladdin quindi fin dall’inizio si poneva come una storia di ribellione giovanile al mondo esterno, ai suoi valori e principi, basati esclusivamente sul denaro e sul potere, gli stessi che bramava costantemente Jaffar, probabilmente uno dei cattivi più viscidi, egoisti, infidi ma per questo assolutamente realistici nella sua dimensione psicologica che la Disney ci abbia donato.

Ma il vero protagonista era il Genio

Ma diciamocelo, se tutti ancora oggi amiamo questo film visivamente magnifico, con delle musiche fantastiche e canzoni di cui tutti ricordiamo ogni singola parola, il merito è soprattutto di lui, del Genio.

La critica americana si spellò letteralmente le mani per la perfezione totale con cui Robin Williams aveva saputo rendere quello che in teoria era semplicemente un comprimario, il vero, assoluto protagonista di un film Disney che segnò un’assoluta svolta nel rapporto con l’ironia.

Williams, che ebbe non pochi problemi contrattuali con la Disney, fece di questa creatura magica, ad un tempo saggia ed ingenua, un concentrato incredibile di gag, omaggi, parodie, connettendosi ad una marea di colleghi (Schwarzenegger e Nicholson su tutti), film, serie tv, personaggi televisivi e sportivi, in virtù di un’espressività vocale che già all’epoca era semplicemente leggendaria.

Da noi ci pensò il grandissimo Gigi Proietti a reggere sulle proprie spalle l’onere di un compito così gravoso: essere l’altezza di Williams. Nessun altro avrebbe saputo farlo, confrontandosi ad un tempo con la parte musicale e assieme quella più seriosa. A 30 anni di distanza infatti bisogna oggettivamente ammettere che benché Aladdin e Jasmine fossero dei personaggi che portavano con sé il messaggio di un distacco dall’avidità e dal consumismo che avevano imparato negli anni ‘80, era soprattutto il Genio a rappresentare l’elemento di maggior attrattiva semantica: era potentissimo ed assieme era uno schiavo, era di grande compagnia eppure irrimediabilmente solo. In tutto questo, si inserì anche il tema dell’amicizia virile, dell’altruismo. Il Genio diventava l’eroe anche perché incredibilmente altruista, al contrario di Aladdin che paradossalmente aveva moltissime cose in comune con la sua nemesi, Jaffar, dal momento che entrambi vogliono molto più di quello che hanno, sono insoddisfatti di sé stessi e della vita che conducono ma soprattutto sono incredibilmente individualisti.

Il confronto alla fine si risolve nella diversa volontà di confrontarsi con il concetto di potere, nonché di empatia, visto che Aladdin capirà come tutto questo sia un’arma a doppio taglio e come sia giusto avere a cuore la sorte del Genio. Anche per questo, 30 anni di distanza, non sono solo le grandi risate a farci ricordare questo film, ma quanto esse nascondessero tematiche incredibilmente profonde e attuali.

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