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Carne fredda e il prezzo della creatività: intervista a Roberto Recchioni

Pubblicato il 29 ottobre 2022 di Marco Triolo

Chi segue il fumetto italiano contemporaneo – e chi legge ScreenWeek – avrà certamente sentito nominare Roberto Recchioni. Autore completo, sia sceneggiatore che disegnatore, ma anche scrittore di narrativa e sceneggiatore per il cinema, negli ultimi anni Recchioni si è fatto un nome, presso la Sergio Bonelli Editore, come creatore di Orfani e curatore di Dylan Dog, di cui ha orchestrato il rilancio editoriale. Ora, in occasione di Lucca Comics & Games, è stato presentato l’episodio pilota di Carne fredda, una serie antologica prodotta da Adler Entertainment e Red On Productions, scritta e diretta da Recchioni, che debutta così come regista. Ne abbiamo parlato con lui in esclusiva.

Tu sei scrittore, fumettista, e ora hai anche deciso di cimentarti con la regia. Da dove nascono l’idea di Carne fredda e l’esigenza che ti ha portato dietro macchina da presa?

Dietro la macchina da presa mi ha portato il fatto che sono trent’anni che faccio fumetto, e gran parte delle soddisfazioni che potevo prendere dal fumetto le ho prese. Mi mancavano gli stimoli e la voglia di sperimentare, ero in una comfort zone troppo forte. Quindi, due anni e mezzo fa, a seguito del mio brutto incidente in moto, mi sono ritrovato bloccato sul divano e ho pensato che era meglio che iniziassi a farlo subito il cinema, prima di morire. Mi sono preso questi due anni per mettere insieme un po’ di progetti, Carne fredda, questa serie con Adler, è il primo, poi c’è un film scritto con Fabio Guaglione e altre cose. In questi due anni ho lavorato per apprendere, devo ringraziare i Manetti che mi hanno ospitato sui loro set per farmi vedere come funzionavano.

Carne fredda è un comunque vicina alle cose che ho sempre fatto, perché è una serie horror, si rifà a serie che amo molto, come L’ora di Hitchcock e Ai confini della realtà, ma anche a cose più recenti come il cinema di Robert Eggers, quel tipo di approccio al quality horror in cui si mettono al centro le storie. Ne è nato questo progetto, di cui Carne fredda è il pilota. L’esperienza da regista è stata molto interessante, ora stiamo costruendo la nuova puntata.

Le tue scelte estetiche nel pilot – il bianco e nero, le inquadrature lunghe e statiche – fanno subito pensare al fumetto. È una scelta consapevole?

Sì, però deriva più dal cinema. A me piace il cinema molto formale, il cinema delle inquadrature ricercate, della camera che cerca l’inquadratura. La cosa in cui mi sono messo più vicino al fumetto è il formato: ho scelto il 4:3, al di là del fatto che vada particolarmente ora, perché è vicino al formato della vignetta e mi permetteva un controllo più sicuro dell’inquadratura. Per la regia non ho guardato al fumetto, ma pensavo al cinema che amo. L’esempio più recente è quello di Eggers, ha una grammatica molto simile, molto ferma. Fumetto e cinema si assomigliano in maniera molto superficiale. Il fumetto quando lo fai interamente non ha filtri, il risultato finale è solo ed esclusivamente tuo; il cinema è sempre un lavoro di collaborazione. Il mio direttore della fotografia è Timoty Aliprandi, con cui ho un’intesa fantastica, ma se fosse stato un altro il risultato sarebbe stato inevitabilmente diverso. Il fumetto generalmente è molto più espressione diretta del singolo autore, o del paio di autori, il cinema è filtrato da mille sensibilità, che compongono il risultato finale. Il risultato di Carne fredda mi sembra discreto, ma non me ne prenderei mai il merito.

Gli episodi di Carne fredda saranno tutti scritti e diretti da te?

Dovrebbero essere otto episodi da 25 minuti. In questo momento il progetto vede me come autore unico, ma sto premendo per avere almeno tre episodi che ospitino altri registi e sceneggiatori. Mi piacerebbe convogliare nel progetto una serie di talenti del cinema italiano, in particolare dal mondo dei corti e dei corti horror. Sarebbe interessantissimo riuscire a dare a questa antologia quella che di fatto è una delle caratteristiche delle antologie, cioè avere voci diverse, mantenendone però le caratteristiche, cioè il 4:3, il bianco e nero, il tema della lotta di classe sempre come centro nevralgico di ogni storia.

Nell’episodio, a un certo punto, viene detto: “La creazione è un atto di sacrificio. Non esiste buona scrittura senza un prezzo di dolore e sofferenza”. È un’allegoria della tua esperienza? Creare per te significa esorcizzare qualcosa?

Esorcizzare no, ma l’atto creativo è un atto di sofferenza. Ti diverti, però devi anche prendere pezzi di te, strapparli, metterli dentro la narrazione, cercare di tirare fuori qualcosa nella speranza che quel qualcosa sia in qualche misura significativo. E sanguini. Questo viene dalla mia esperienza su Dylan Dog; dico sempre che le storie di Dylan più deboli sono quelle in cui l’autore non ci ha perso almeno qualche goccia di sangue. Qui è lo stesso, questo episodio di Carne fredda riflette sull’idea della creazione narrativa e la lezione che il personaggio anziano dà al personaggio giovane è che non esiste creazione che non ti chieda di sacrificare qualcosa.

C’è forse anche un po’ di David Cronenberg nel rapporto tra carne e intelletto al centro di questo pilot…

Assolutamente, ci sono Cronenberg, Lynch, Kubrick. C’è il tema della carne in questo episodio, che rimanda automaticamente a Cronenberg, uno dei miei registi preferiti. Quando ci si muove sui percorsi disturbanti e inquietanti è praticamente una scelta obbligata.

A un certo punto si parla anche del pubblico, quando uno dei personaggi dice: “Ne vogliono ancora”…

La condanna nel fare una buona storia è che poi il pubblico ne vuole un’altra. Il pubblico diventa da una parte un mezzo salvifico, perché ti permette di creare le tue storie e di vivere con esse. Dall’altra parte se ne appropria e ti dice come dovresti scrivere. Il rapporto tra autore e pubblico è sempre un rapporto di amore/odio e vittima/carnefice.

Spesso si dice che, una volta che un’opera è là fuori ed entra nella coscienza collettiva, come Star Wars ad esempio, diventa di dominio pubblico ed è come se fosse di proprietà dei fan. Cosa ne pensi?

Io faccio un po’ fatica. Mi sembra molto naturale quando gli autori sono morti, quella cosa è entrata nell’immaginario collettivo e può essere raccontata, reinventata, rielaborata, perché fa parte della tradizione orale reinventare le nostre storie. Metà delle cose che ha fatto Shakespeare esistevano precedentemente e che lui le ha reinventate, o i Grimm nel caso delle fiabe. Quando l’autore è vivo, faccio un po’ fatica a vedere il pubblico che gli va a dire come deve essere fatta la sua creazione. Per quanto il pubblico è quello che ha dato l’energia a quella creazione, poi ha ragione sempre George Lucas. Se Lucas domani vuole fare Star Wars con gli alienini verdi che vivono nei Midi-Chlorian, posso dire che non mi piace però è pieno diritto suo.

Trovo curiosa la scelta del formato breve, 25 minuti. Mi fa venire in mente le vecchie serie antologiche, quando mandavano in onda due segmenti a serata. Era questo l’intento?

In parte sì.

Il pilot è quasi un corto…

Sì, in realtà è una decina di minuti più lungo di un corto normale. Io amo molto le serie con minutaggio breve prodotte dalle piattaforme negli ultimi anni. Scorrono bene, hanno sempre una buona narrazione, non allungano mai il brodo. In più il tipo di storie che compongono Carne fredda funzionano meglio se non si dilungano troppo. Già in questo primo episodio ho giocato solo sui rimandi, sul tirare la corda quanto più possibile, far saltare la pazienza allo spettatore. Ci sono sequenze che dovevano fermarsi qualche secondo prima ed è fatto apposta che si dilunghino un attimo, perché voglio irritarti, voglio metterti in uno stato di disagio. Però l’idea è che la narrazione deve essere coesa, deve essere uno sparo nel buio. Poi c’erano i riferimenti alle serie che amavo e volevo riprendere. Infine, c’è anche la mia parte più produttiva e commerciale, che mi dice che c’è una forte richiesta di quel tipo di serie brevi in questo momento. C’è una piattaforma come Netflix che sta lavorando moltissimo sulle antologiche a minutaggio ridotto, quindi c’era anche un’opportunità di destare l’interesse di partner produttivi.

Non avete ancora una destinazione sicura per il progetto?

Non posso proprio dirtelo. Arriverebbero i ninja della piattaforma…

Ci puoi dare qualche anticipazione sui prossimi episodi?

Ogni episodio è narrativamente autonomo, ma alcuni personaggi ritornano tra un episodio e l’altro e si riuniscono in un episodio finale che chiude tutto il discorso. La mia idea è che questa prima stagione abbia un tema specifico, questo rapporto tra chi ha tutto e chi non ha niente, che cosa sei disposto a fare per avere qualcosa e come chi ha tutto può usare questo desiderio di salire nella scala sociale per ottenere quello che vuole. Tutte queste storie finiscono in un episodio che mi piace molto e non vedo l’ora di girare, che riporta insieme tutti i personaggi e chiude moralmente ed eticamente il centro della narrazione.