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Rapiniamo il Duce è un doloroso passo falso, la recensione

Pubblicato il 17 ottobre 2022 di Giulio Zoppello

Dimenticatevi Freaks Out di Gabriele Mainetti, dimenticatevi quel coraggioso, ardito e variopinto tentativo di portare il nostro cinema verso lidi fino a oggi inesplorati, cucire assieme il fantasy con il film di genere, l’adventure con il meglio dei riferimenti ad anime e comics di varia origine.

Sì, perché molti speravano in qualcosa di anche solo lontanamente simile per Rapiniamo il Duce, diretto da Renato De Maria e con un cast molto interessante che comprende Pietro Castellitto, Matilda De Angelis, Tommaso Ragno, Filippo Timi, Isabella Ferrari, Maccio Capatonda, Luigi Fedele, Coco Rebecca Edogamhe e Maurizio Lombardi. Lasciate ogni speranza, qui siamo di fronte all’ennesima montagna che partorisce il topolino, all’ennesimo prodotto d’intrattenimento che prometteva tanto e invece regala molto poco, con buona parte di fandom vari, gossip e via dicendo. No, davvero non ci siamo.

Un colpo ardito nella Milano del ‘45

Protagonista di Rapiniamo il Duce è l’astuto ladruncolo Isola (Pietro Castellitto), che nella Milano stretta ancora per poco dalla morsa nazi-fascista nel 1945, sbarca il lunario assieme al mentore Marcello (Tommaso Ragno) dominando il mercato clandestino di armi e materiale vario.

Isola pare rotto a ogni insidia, tanto da avere una love story con Yvonne (Matilda De Angelis), cantante della scena milanese che però è costretta a subire le attenzioni del potente, sadico e violento Borsalino (Filippo Timi), uno dei gerarchi di punta della moribonda Repubblica di Salò, sposata senza più interesse con la diva del cinema Nora Cavalieri (Isabella Ferrari).

Quando Isola viene a sapere che vista l’imminente disfatta delle forze dell’Asse, il tesoro accumulato in vent’anni di ruberie da Mussolini e gli altri gerarchi verrà trasferito in Svizzera, decide di organizzare un colpo presso “la zona nera”, una sorta di fortezza controllata dai fascisti.

Sarà l’inizio di una complicata avventura in cui il non poi così tanto astuto ladro dovrà guidare una squadra tra le più assurde e improvvisate che si siano mai viste, salvare l’amata e cercare magari di non lasciarci le penne, tra sparatorie, doppio gioco, bugie e imprevisti.

Rapiniamo il Duce è diretto da Renato De Maria, che si muove seguendo le linee guida di una sceneggiatura scritta assieme a Federico Gnesini e Valentina Strada, che passati però i primi 30 minuti, comincia a fare acqua da tutte le parti. Il problema sta sia nell’iter narrativo che perde di brio, creatività e consistenza, senza neppure riuscire a divertire o appassionare, sia in una regia che a parte scimmiottare Indiana Jones, l’adventure che fu e un po’ di roba presa qui e lì, appesantisce il tutto, sopprime ogni leggerezza e ogni possibilità di andare oltre un risultato molto povero, per non dire deprimente. E noi che ci eravamo anche illusi, a guardare il cast…

Tanto fumo ma poco arrosto

Partiamo innanzitutto con il dire che il cast ce la mette tutta a creare un universo popolato da personaggi interessanti e che strizzano l’occhio sia agli spaghetti western che furono, al cinema di genere, ai war movie adventures, ai fumetti e a tutto quel cinema che ancora oggi ha in Tarantino il totem.

Tuttavia per molti di loro si tratta di uno sforzo effimero, condizionato soprattutto (ma non solo) da uno script pieno di dialoghi a dir poco improbabili, che condannano il cast a girare in tondo senza poter mai andare oltre una bozza di caratterizzazione.

Pietro Castellitto da questo punto di vista è il grande sconfitto di Rapiniamo il Duce. Se facciamo un confronto con Freaks Out, la valutazione finale sulla sua performance è largamente insufficiente, sovente è tutto tranne che credibile, un mix tra un Sordi e un Tomas Milian poco riuscito e che mette anche talvolta in dubbio il coefficiente di talento dell’attore romano.

Attori di razza come Timi, Ragno e la Ferrari, pur mettendocela tutta non vanno oltre una prova che più che comica e che mira a decostruire i topoi del cinema connesso a quel periodo (compreso il nostro), pare in alcuni casi veramente difficile da digerire. Più si va avanti, più appare evidente che vi sia come una gabbia attorno a loro, che condiziona anche un Macio Capatonda a cui vengono quasi sempre tarpate le ali.

Peccato perché l’idea di per sé non è male, ma il tutto pare avere la stessa mancanza di leggerezza, così come di ambizione che ha condizionato il Diabolik dei Manetti Bros., che però perlomeno miravano ad avere esattamente quel risultato. Qui invece è evidente che qualcosa deve essere andato storto durante la fase di realizzazione, perché in diversi momenti vi è un crollo totale della qualità anche visiva, una scarsissima capacità di evitare il cringe, soprattutto per quello che riguarda le scene d’azione.

La cosa più inquietante? Trovarsi a ripensare al bruttissimo C’era una volta il crimine di Bruno, terzo evitabilissimo episodio di una delle saghe più inspiegabilmente prolungate del nostro cinema, prova suprema della mancanza di vera inventiva e genuinità del nostro cinema.

Un film che ha il fiato dannatamente corto

Rapiniamo il Duce pare avere solo nella De Angelis uno sprazzo di luce, un personaggio indovinato, ma tutto viene abbozzato, dipinto in modo superficiale e senza nerbo, pure le maestranze appaiono onestamente molto distanti da ciò che Freaks Out l’anno scorso aveva offerto.

Le musiche di Yann McCullough appesantiscono ogni momento, le scene d’azione appaiono alquanto scadenti, e anche il montaggio non appare proprio sempre perfettamente a norma, quasi che ad un certo punto si pensasse a chiuderle nel più breve tempo possibile.

Mainetti almeno aveva arricchito il suo mondo con coerenza, fantasia, osando, qui invece alla fin fine ci si accontenta di pitturare la ruggine della solita messa in scena più televisiva che da sala cinematografica, con colpi di scena che diventano di volta in volta sempre meno riusciti.

Non si ride se non a tratti, non ci si diverte, più che commuoversi si sbuffa, non è neppure un’operazione autoironica e di decostruzione, perché in realtà appare sovente prendersi molto sul serio, senza naturalmente poterselo permettere.

Il film di De Maria è l’ennesima delusione, il fatto che sia firmata da Netflix, aggiunge rimpianto all’insieme, visto che faceva sperare a una maggior freschezza del risultato finale, che prova anche a fare del citazionismo, a pavoneggiarsi come anarchica avventura da prendersi così com’è.

Nossignore, non attacca, questo film ci conferma che se sul piano della serialità televisiva nuovi attori, volti ed idee ci stanno portando verso il futuro, quando cerchiamo di creare qualcosa di diverso dal solito dramma borghese o commedietta per famiglie, inciampiamo con risultati davvero mesti.

Rapiniamo il Duce ridimensiona se stesso ben prima dello spento finale, mentre cerca l’epica e la manca alla grandissima, cerca l’emozione e genera irritazione. Rappresenta tutto ciò che in sala non siamo, non vogliamo.

Rapiniamo il Duce sarà disponibile su Netflix a partire dal 26 ottobre.