Cinema Noi fan dell'horror Recensioni
Quando piove, a Roma, i tombini esalano uno strano e denso vapore che, se inalato, porta a galla gli istinti repressi, e violenti, delle persone. Una famiglia devastata da un lutto recente, e divisa da colpe e rancori, dovrà fare i conti con questo e tentare di sopravvivere.
La premessa di Piove, opera seconda (ma prima da solista) di Paolo Strippoli, co-regista di A Classic Horror Story, è di una semplicità disarmante, come nei migliori horror. Viene subito in mente George Romero, con i suoi zombie e rabbiosi che lui non perdeva mai troppo tempo a spiegare, perché non ce n’era bisogno: quello che gli interessava era usarli per parlare degli umani, i veri mostri. Erano uno specchio deformante, una metafora aggressiva e diretta, ma efficace.
Lo stesso fa Strippoli con il suo film: non c’è bisogno di dire da dove arrivi quello strano vapore, anzi, cercare una spiegazione distrarrebbe inutilmente da quello che Piove vuole raccontare. Il vapore è un puro MacGuffin per far procedere la storia e sviscerare i temi che gli interessano. In questo senso, Piove è un film cupissimo, su un’umanità ai margini, che vive vite tristi e difficili, in preda alla precarietà. Un ritratto spietato dell’Italia di oggi, che, per una volta, non è solo sfondo o vuota exploitation dell’attualità, ma diventa personaggio nel momento in cui è proprio il troppo lavoro, la fatica data dalla lotta quotidiana per restare a galla, a causare l’incidente scatenante del film (che non ci viene, però, raccontato subito).
Piove rappresenta un passo nella giusta direzione sulla strada per la ricostruzione di un credibile filone horror in Italia. Di tentativi ne sono stati fatti tanti negli ultimi anni, ma sempre con in testa l’idea di adeguarsi a stilemi internazionali, o americani, che non ci appartengono fino in fondo. Un esempio per tutti è proprio A Classic Horror Story, che gioca con i cliché dello slasher/torture porn in maniera cosciente e post-moderna. Piove non potrebbe essere più distante, e tenta di fare per l’horror italiano ciò che Lo chiamavano Jeeg Robot ha fatto per il cinema fantastico: creare un prodotto internazionale non inseguendo i modelli esteri, ma imponendone uno nostrano. Piove ha una fortissima impronta italiana, perché parla di noi, delle nostre periferie, del nostro disagio urbano, degli squilibri tra vita e lavoro e della mancanza di sicurezza nelle nostre vite. Non è l’America mascherata da Italia, ma un film di denuncia sulla situazione italiana rivestito dei canoni dell’horror.
Tecnicamente, il film è molto curato. Già con A Classic Horror Story Strippoli aveva dimostrato di saper gestire quegli aspetti che tanto a lungo sono stati sottovalutati nel nostro paese, dalla fotografia agli effetti visivi (verso la fine, c’è una sequenza inusuale per il nostro cinema, e parecchio riuscita), passando per il fondamentale sound design (di Marc Bastien). Strippoli sa cosa gli serve per creare atmosfera e tensione, e sa come usarlo.
Il cast funziona bene: Fabrizio Rongione si regge il film sulle spalle con il suo protagonista triste e traumatizzato, mentre Francesco Gheghi è un convincente teenager perduto. È un po’ difficile empatizzare, a tratti, perché Strippoli decide di non indorare la pillola e presentare il trauma per quello che è: una minaccia silenziosa e subdola che ci priva lentamente ma inesorabilmente delle nostre certezze e ci rende incapaci di relazionarci con gli altri. Esattamente come quel vapore che emerge dalle tubature: un trauma collettivo che viene a galla e ci costringe a interfacciarci col peggio di noi.
Dove forse il film cede leggermente è tra secondo e terzo atto, quando situazioni e scenari iniziano un po’ a ripetersi e ci sarebbe stato bisogno di trovare qualche nuova idea per sorprendere lo spettatore, o anche solo per alimentare la narrazione e farle fare un salto ulteriore verso il crescendo finale. Strippoli invece sceglie di tornare indietro, inserendo un lungo flashback che, per quanto fondamentale, smorza inevitabilmente il ritmo.
Piove recupera, tuttavia, in un finale che lascia entrare uno spiraglio di ottimismo. Un senso di speranza che, davvero, non ci si sarebbe aspettati da quest’opera così claustrofobica – è ambientata quasi totalmente in un grosso complesso residenziale – e angosciante. Il trauma può tirare fuori il peggio di noi, è vero, ma è quando siamo con le spalle al muro che possiamo sollevare la testa e tentare di fare del nostro meglio per superarlo insieme.
Piove uscirà nelle sale il 10 novembre, distribuito da Fandango.