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House of the Dragon: alla fine mi sono sentito a casa (dei draghi) – Recensione stagione 1

Pubblicato il 24 ottobre 2022 di DocManhattan

Lo confesso: ero anch’io uno di loro. Uno di quelli che alla vigilia di questa serie, prima che House of the Dragon arrivasse in TV e iniziasse a macinare morti, propositi di vendetta, fuoco e fiamme, pensava che ormai quel treno fosse partito da tempo. Che il finale non esaltante – poi ognuno declinerà, a gusto suo, quel “non esaltante” come crede – di Game of Thrones calasse un’ombra grigia su questo prequel, smorzando ogni entusiasmo. E invece. Dieci episodi più tardi, conclusa la prima stagione, mi sono ritrovato soddisfatto di quanto visto, e alcuni aspetti di House of the Dragon mi sono piaciuti proprio tanto. Seguono blandi [spoiler] sulla stagione 1, ma oh, uno ve lo dice.

MYSARIA E NOBILTÀ

Sì, come ai tempi delle prime stagioni del Trono di Spade, abbiamo ironizzato pure qui su tutte le scorciatoie che la produzione ha dovuto prendere. Su tutti quei matrimoni celebrati (anche letteralmente) con un cesto di fichi secchi. Al di là di chi si è lamentato per la CGI un po’ così di molte scene (ma, sinceramente, perché tutti sono COSÌ ossessionati dalla CGI di questi tempi? In una serie TV, poi?), abbiamo visto tutti la maestosa scorta reale composta da ben sei tizi a cavallo, le scene girate nello stesso identico set a distanza di anni, l’invecchiamento che ha riguardato solo determinati personaggi, mentre a Ser Criston Cole detto Coccinello non è cresciuta neanche la barba.

Eppure, l’accostamento spesso forzato che nelle settimane scorse si è fatto con l’altra serie fantasy della stagione, Il signore degli Anelli – Gli anelli del potere (che sempre fantasy è, ma di tutt’altro tipo), ci è utile soprattutto per ribadire un concetto molto semplice. Ovvero che puoi spendere tutti i soldi che vuoi in un prodotto destinato all’entertainment, infiocchettarne di dollari come ti pare la confezione, ma alla fine quello che al pubblico davvero importa è la storia che gli racconti e come gliela racconti.

RICORDEREMO SEMPRE IL POVERO, SOFFERENTISSIMO, SMONTABILE RE VISERYS

E allora questo Dallas di Westeros, la lotta intestina dei Targaryen che è ora sfociata in una vera e propria guerra civile solo perché un drago anziano si è indispettito per la maleducazione di un drago giovane e casinista col motorino e il pallone, mi ha personalmente preso sempre di più, episodio dopo episodio. Conoscevo già la storia, avendola assimilata attraverso quel mattonazzo supremo che è Fuoco e Sangue, il non-romanzo di Giorgino R.R. “Questa volta ci sono io, tranquilli” Martin. Ma sapere la sorte che attendeva i protagonisti non mi ha fatto venir meno il coinvolgimento. Anzi, è successo almeno in un caso il contrario.

Quel caso è anche una delle note più piacevoli di tutta la stagione, la superba interpretazione che Paddy Considine dà al suo Viserys I Targaryen detto il Pacifico o anche lo Sbregato. Che Viserys non sarebbe sopravvissuto a questo primo lotto d’episodi, d’altronde, non era scritto solo nel testo di Martin, ma nel modo stesso in cui il personaggio viene presentato. Anzi, qualcuno si sarà stupito semmai del vederlo arrancare fin quasi al termine della stagione. Ma proprio perché persona sofferente e, soprattutto, unico vero buono in un covo di serpi, Viserys brilla proprio quando la sua luce sta per spegnersi.

La via crucis a cui è sottoposto prima di lasciare il mondo dei vivi, quell’incedere lento verso il trono per un’ultima volta, le sue parole conciliatorie in una famiglia non esattamente animata da buoni sentimenti. Quella scena in cui Daemon, il fratello rancoroso, quello che avrebbe voluto il suo posto sul trono, raccoglie la corona caduta e la rimette sul capo del vecchio, stanco, moribondo sovrano. C’è chi davanti a quei momenti ha sentito il cuore fare ciock, e chi mente.

LA TV DELLE RAGAZZE

Ma al di là del grandissimo Viserys di Considine, House of the Dragon trova il suo spazio ideale in un terreno già occupato per anni dalle grigliate della serie madre. Il gioco dei complotti, dei tradimenti, dei morti ammazzati a sorpresa, degli amori folli (in genere tra consanguinei), dei ragni che qui sono lucciole, dei voltagabbana e dei piani B e C, è tornato a viaggiare a pieno regime, e davanti agli ultimi episodi di questa prima stagione ho ricordato le stesse sensazioni che mi hanno dato le stagioni migliori di Game of Thrones.

Quello sguardo, gli occhi di Rhaenyra, su cui si sono chiusi oggi episodio e stagione, ad esempio, vuol dire tante cose. È la polaroid perfetta del momento Ah, ora sì che scoppia il casino, ed è anche il ritratto di una donna forte che nel corso di questa ultima puntata ha ribadito un tema alla base di tutta la serie: le donne qui soffrono, rischiano la morte anche solo per dare alla luce un figlio, sono considerate merce di scambio a corte… ma poi sono loro a prendere le decisioni importanti, mentre gli uomini giocano con troppa disinvoltura a fare i soldatini. Ed è, pure e soprattutto, uno di quei maledetti cliffhanger che ti spingono a desiderare la nuova stagione prima di subito (inizieranno a girarla con l’anno nuovo. Mettiamoci comodi).

E quando succede, quando pensi fortissimo quel NOOOOO appena lo schermo diventa nero e si riempie di nomi, sai che una serie ha fatto centro, e che al centro del bersaglio c’eri tu.

LET’S DO THE TIME WARP AGAIN

Altri pensierini in ordine sparso. I salti temporali possono essere stati stranianti da principio, soprattutto perché due protagoniste assolute della serie, Rhaenyra e Alicent, cambiano letteralmente volto a metà stagione, e tanti altri personaggi no. Ma far scorrere la storia rapidamente, oltre a una necessità (la Danza dei Draghi ha una premessa lunghissima, devi preparare il terreno al momento parenti serpenti della successione del re) è stata anche un’opportunità che la serie ha colto. Per dare ritmo alla narrazione, non impantanarsi mai in episodi filleroni, cavalcando al contrario a briglie sciolte.

Quanto al cambio di attori e attrici, anche quello, con il senno di poi, ha senso. Ha senso che Rhaenyra Targaryen abbia prima il volto furbo ma innocente di Milly Alcock e poi l’espressione matura, sofferta di Emma D’Arcy. Ha senso che Aemond passi dall’essere un minchietto bullizzato dai parenti a un guercio badass che manca solo ricordi a tutti di chiamarlo Jena.

Il trucco del recasting parziale c’è e si vede, in altre parole, ma fa percepire in modo semplice e inequivocabile quanto una persona possa cambiare nel corso degli anni, al mutare delle circostanze e del mondo che la circonda.

IL MODELLO OLENNA (UN OLÉ PER)

Quanto ad alcune scelte che sono apparse ad alcuni forzate, sì, è ovvio che Rhaenys avrebbe potuto dar fuoco a tutti quei tizi lì, al momento dell’incoronazione, e chiudere la partita. E ciao, ci’. Ed è altrettanto ovvio che la giustificazione che lei stessa spende nell’ultimo episodio (non stava a lei dichiarare guerra) è una pezza narrativa. Ma è pure palese che il tutto serviva solo a intavolare la guerra in arrivo, non a farla finire prima che iniziasse. Del resto, parlare di realismo in una serie con i draghi, e in un mondo in cui ci sono i giganti, i mostri dagli occhi di ghiaccio e le streghe con la cura ringiovanente, mi fa sempre molto strano, va detto. Per farlo, devi sempre ricordarti di cosa è plausibile in un mondo implausibile, anche in termini extradiegetici. Se nessuno fosse mai tornato a campeggiare a Crystal Lake, visto l’incredibile tasso di giovani ammazzati, la serie Venerdì 13 non avrebbe collezionato tutti quei sequel. Per dire.

Il bicchiere, a vederlo non mezzo ma tutto pieno, è che quella scena lì, lo spacco-tutto-con-il-drago-ma-non-vi-carbonizzo, il mezzo inchino e il mezzo sorriso di Rhaenys, hanno trasformato La regina che non fu in una precorritrice dei futuri Stacce rifilati con classe infinita dalla grande Olenna. Hai detto niente.

CONCLUDENDO

Insomma, sì, per quanto mi riguarda, questo primo volo in sella ai draghi del passato di Westeros si è chiuso decisamente in crescendo, e mi ha dato più di quanto mi aspettassi, in termini di storia e di coinvolgimento emotivo. Cosa non semplicissima, peraltro, quando ti svegli alle cinque e ti metti a guardare un episodio in compagnia di caffè, cuffie e sonno arretrato. Non si dovrebbero paragonare, le due serie fantasy di questo autunno duemilaeventidue, dicevamo, perché troppo diverse. Ma se a qualcuno interessa, dell’altra, per dire, gli episodi successivi ai primissimi li ho visti anche con settimane di ritardo.

Torniamo alle storie e a come le racconti: alla fine, è sempre quello che conta.

House of the Dragon è per intero disponibile su Sky e in streaming su NOW, in esclusiva.